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Raul

(parte I)


Raul non aveva genitori, già da molto, da quando arrivò un giorno, lui giocava con i suoi amici in un grigio pomeriggio di marzo, e la sua vita si focalizzo' per sempre in quegli istanti. I nonni in rappreso silenzio nella piazza gli corsero incontro, con passo affrettato, loro rimasero immobili increduli a guardarli, il pallone continuava a scorrere da solo, lo presero per un braccio e lo trascinarono via con lacrime sotto occhi rosei che già avevano pianto. "Tuo padre e tua madre sono morti! .... Sono caduti nel burrone della curva! Li stanno ritrovando fra i pezzi del carro. E’ morto anche il tuo cavallo Niki ", dobbiamo fare i funerali! Vai a casa vatti a lavare , se hai fame vieni a dormire con i tuoi poveri babbi, oh che miseria! Che tragedia! Vai Raul!!
Raul correva, con lacrime che lasciavano le guance a gocce fredde di un sentimento che non capiva. Correva andando in una casa ormai buia, una casa senza l'eco delle sonore risate di suo padre, degli scriccioli dolci che sua madre sussurrava ai gatti per farli mangiare. Correva verso un caminetto rosso ormai per sempre spento dell'odore di legna, quando la mattina intirizzito con la coperta rossa sulle spalle, i suoi piedi nudi si scaldavano al calore di un fuoco sereno. Le nubi che viaggiavano sotto un cielo di cristallo mattutino sopra la sua finestra, con la mamma che nelle mani gli dava la tazza del latte stiepidito, ed un bacio sulla fronte. L'odore della minestra di ceci, che svaniva all'uscita della porta con in mano una mela verde e la cinghia dei libri, correva verso scuola, verso la sua infanzia verso la sua unica spensieratezza. Si udiva un miagolio lento continuo, sembrava richiamare la normalità in quel pomeriggio grigio di marzo. Vicino la porta, le chiavi che cadono in un piangente vuoto di solitudine. Era solo, afferra il pomello ed entra nell'odore della casa, che rimaneva un affresco immerso nella solitudine che attendeva ancora il suo sopraggiungere. Fermo in quell’atrio ancora caldo della presenza della sua dolce famiglia, fissa davanti a se l’impertubabile sbalordimento di ciò che appena successe. Un affresco di casa avvolto in quel paese lagunare, dove ogni fiume ogni costa di mare faceva sfondo alla briosità della vita. Sale le scale velocemente con gli scricchiolii del legno avvolto nella moquette verde. Nella sua camera a letto singolo delicatamente poggiate magliette appena lavate dalla madre, le prende insieme ad altri indumenti nell’armadio, li mette in una sacca di pelle nera, le poggia sul baule dell’ingresso e vi si siede. Con il pugno appoggiato sulla mascella, guarda il pavimento laccato di parquè e pensa, fissi i suoi grandi occhi neri, scende una lacrima dal suo viso avvolto da lunghi capelli platino. Vicino al vaso di porcellana, splendidi gladioli profumati guardavano la finestra del corridoio vicino allo specchio dove si pettinava sempre sua madre. La porta della camera dei suoi genitori socchiusa, non si udiva più il papà russare come un orso brontolone. Le lacrime che scivolarono dai suoi occhi si lasciarono dietro la scia della corsa giù per le scale, afferrò il giubetto ed uscì dalla porta. Saltò su un tram affollatissimo. Una signora da dietro lo chiamò “Simone, Simone che ci fai tu qui ?”, e lo abbracciò dalle spalle credendolo suo nipote, ancora un colpo alla sua piccola vita appena ferita, quando senti lo stesso profumo all’arancio di sua mamma. Il cielo si ombrava nel pomeriggio e già sui viali degli isolati dei suoi nonni, gocce di una pioggia esile si poggiavano sulla sua pelle bianca, con il naso all’insù guardava le nuvole muoversi come avvolgere le figure dei suoi genitori, che allontanandosi continuavano a guardarlo ed a sorridergli come facevano ogni giorno.
(parte II)
Giunge alla casa dei nonni che lo attendevano insieme ad altri parenti. Seduti con le sedie a cerchio nel soggiorno, disposero dei ceri alti mezzo metro nella parte centrale ove si sarebbero inserite le due bare. La luce delle lampade basse ad ocra ed il brusio delle voci dolenti e pazienti, misero occhio su Raul che a testa bassa entrava nel soggiorno con la sua borsa di pelle nera. Si avvicina a suo nonno e gli cade in braccio in una triste consolazione, il nonno gli accarezza i suoi lunghi capelli platino calmando la sua furia cieca, raccontandogli qualche bel momento trascorso con loro insieme, rassicurandolo che la loro vita sarebbe comunque trascorsa felicemente, portandolo a fare una passaggiata nel loro giardino interno. L’indomani arrivarono le due bare, recitarono tutti insieme un’omelia con il sacerdote ed a piedi si recarono nel cimitero per la cerimonia del funerale. Sotto un cielo limpidissimo, i primi fiori che sembravano voler sbocciare, cinguettii di fringuelli allegri che insieme volavano verso l’arrivo della nuova stagione. Un angolo di verde e muschio avrebbe ospitato i genitori di Raul in quel grigio e taciturno cimitero, sotto enormi cipressi e salici piangenti che costeggiavano i numerosi viali delle piccole cripte. Finì il suo corso di studi vicino all’estate, ed i nonni lo mandarono a continuare la scuola in un colleggio privato, dove avrebbe trascorso molto tempo con altri coetanei impegnati esclusivamente nella musica e nell’educazione fisica. Sarebbe potuto tornare nella sua città quando voleva, anche con il treno. Il suo sentirsi orfano lo rendeva a lezione molto più indipendente di quanto pensasse. Rendersi partecipe di sentirsi leader di un gruppo avvertendo oltre all’età giovanile la trasgressione, la possibilità di evocare negli altri capacità incustodite, non rappresentate nelle loro personalità, lo faceva sentire ribelle ma intimamente intellettuale nelle sue scelte. Sapeva che poteva osare, anche se il colleggio rimaneva ordinato diligente e con la predisposizione dei docenti molto elegante ed educata. Sentiva nel suo animo che oltre a poter divenire un pianista, e forse anche un atleta, poteva contare su raggi che le conseguenze della vita, e l’ambiente in cui viveva, potevano dargli anche altro di ciò che credeva ancora non necessariamente di amare. La passione per l’arte ed il culto si fondevano nei suoi occhi quando di domenica con i suoi compagni nel tempo libero, attraversavano musei ed opere sacre. Lo impressionava il modo in cui noi, e la società, mantenevano in perfetto equilibrio il senso del passato con l’importanza e la ricchezza del presente. Lasciando custodite ed intatte, creazioni illustri cui il bagliore solo della rappresentazione, e del loro significato li facevano sognare e realizzare ciò che uomini passati, con tutto il loro ingegno e dilemmi sociali, tentarono di evocare, e secondo lui molti vi riuscirono. Non pensava minimamente a poter sfiorare quelle opere così di prestigio e con quella sfera intatta di sacralità, dove anche la polvere entro quegli enormi vetri sembrava emanare il riflesso dell’autenticità. E poi tutte quelle telecamere e custodi in frac con il tovagliolo bianco sul braccio, che si inchinavano anche al loro passaggio. Come poteva osare di immagginare che una di quelle opere, anche la meno risultante, come la mano dorata intarsiata di anelli a gemme, potesse essere sua. Come poteva immagginare che quell’enorme quadro con la rappresentazione mistica di un boia nella Bastiglia parigina, potesse divenire il suo dietroangolo della camera. Se ne sarebbero accorti i docenti. Non tutti i compagni ne sarebbero stati grati di un furto quasi internazionale, ma lui si sentiva partecipe di quel mondo. I suoi occhi scrutarono le posizioni, gli angoli le direzioni delle entrate, il numero degli inservienti, gli afflussi mondani ora di quel museo ora di quella basilica. Il suo mondo si custodiva sugli enormi arazzi degli absidi, sulle arcate orate dei palatinati, sugli affreschi nelle volte, sui capitelli delle cupole. Ne era sempre affamato, e i tesori nascosti il culto del sacro e del profano, la divinità celata in un aforisma intarsiato su una roccia, facevano del suo animo ricco, e plasmava la sua persona nell’intimo. Alla fine del corso degli studi, decise di lavorare in una sala dedicata ai souvenir come allievo custode. Si trovava sull’apice di un altare che dedicava quasi ogni opera agli sforzi politici passati. In tale museo venivano rappresentate le guerre i loro artefici, i protagonisti gli indumenti, l’artiglieria, ed ogni fonte ed opera dei relativi artisti. Il flusso dei visitatori era veramente strabiliante, per riguardare un argomento di guerra, che poteva essere attinente solo alla frustrazione del proprio popolo, o semmai ancorata a qualche trapelo d’onore. Molti frangenti riguardavano turisti in parte europei in parte asiatici, che non rispettavano esattamente i canoni del loro conoscere, visitando qualunque struttura fosse a tiro. Aveva libero accesso ad ogni museo cittadino ed intraprese l’intento di divenire guida turistica, riuscì a dedicarsi ampiamente ad ogni sua motivazione culturale e condividerla con ogni sua aspirazione. Si sentiva al centro della sua intera esistenza in quel momento, un’esistenza che rimaneva costellata dall’oblio di affetti veri e di affetti persi nel mare del tempo, pur sempre ricambiati comunque, dalla ricchezza di ogni sua fantastica meraviglia.




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Opera scritta il 23/02/2018 - 19:44
Da Luca Di Paolo
Letta n.874 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


Bel racconto. Piacevolissimo.
Bravo.

Anton Reiken 24/02/2018 - 06:11

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Il tuo racconto è trascinante, emoziona e addolora...
Bravo

Grazia Giuliani 23/02/2018 - 21:44

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