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Delitto impunito

Nessuno sparisce per sempre, resta sempre qualcosa da sognare. Patrizia rimase sola, seduta sulla panchina mentre il paesaggio lentamente svaniva attorno a lei. Sull’altra sponda del lago vide la sagoma di un uomo, alto e magro. Marco alzò un braccio in segno di saluto. Lei ricambiò il saluto con un piccolo gesto della mano, poi lo seguì inoltrarsi nel bosco fino quando non scomparve alla vista. Una lacrima le scese lungo la guancia e cadde a terra, mescolandosi ai primi fiocchi di neve che scendevano dal cielo. Al risveglio non ricordò i dettagli del sogno della notte, ma si sorprese a scoprirsi serena. Prima che sparisse Patrizia domandò: Posso chiederti una cosa? Perché il culo sulla neve?
Veronica rise, e alcuni uccellini si levarono in volo. “L’ultima volta che abbiamo fatto l’amore. Era inverno. Faceva freddo.” “Ci rivedremo?” “Adesso tu avrai cura dei tuoi bambini con la tranquillità che serve. Nascosto nei sogni c’è il nostro destino. Marco sognava me e l’inverno, e adesso ci ha incontrato entrambi. Tu” e fece un gesto con il braccio ad abbracciare l’intero lago “Oggi hai la primavera e la quiete. Usale. Fanne tesoro.” Detto questo si alzò. “Si. Qualche tempo fa mi raccontò di quella sera. Lui voleva uccidere Giorgio, invece guidavi tu la sua auto. Mi disse che per un istante credette di impazzire. Io penso che fosse già pazzo, e che quella sia stata la classica goccia. Giorgio lo ammazzammo assieme qualche tempo dopo. Detto tra noi, quello era uno stronzo e se lo meritava. Ma Marco ultimamente stava cedendo. Lo vedevo. Avevo paura che facesse qualcosa di grave. Io ho due bambini.” “Capisco. Hai fatto quello che dovevi.” “E adesso?” “Si. Sorprendente quello che puoi fare con le erbe. É ancora più sorprendente che basta leggere i libri. Trovi tutte le istruzioni. Sono pazzi questi scrittori. Fanno ricerche sui veleni davvero accurate.” Spero che trovi la pace che cercava. Era stanco di questa esistenza. Si stava consumando. “Non è mai stato molto stabile. Tu sai la storia, vero?” L’amica indossava un bellissimo vestito giallo, con stampe giapponesi raffiguranti fiori verdi e rossi. I capelli biondi erano acconciati con i ricci, e la pelle rosa del viso esaltava gli occhi azzurri. Era bellissima, formosa e solare esattamente come Patrizia la ricordava. Si scambiarono un lungo abbraccio poi fu Veronica a parlare, con il suo tono leggero e acuto. “Bello vederti amica mia. Sei riuscita a mandarlo qui.” Più tardi, a letto, contro ogni previsione scivolò facilmente nei sogni. Era primavera, e stava seduta su una panchina in riva al lago, in nervosa attesa. Indossava lo stesso vestito del funerale, corto e nero come i suoi capelli corvini. Quando Veronica si sedette accanto a lei Patrizia le sorrise, e si rilassò leggermente. Al rientro a casa, alla sera, il primo pensiero fu quello di far sparire definitivamente le erbe e i veleni che aveva usato. Terminato quel compito si concesse una doccia. Sotto il getto si lasciò andare, mischiando lacrime e acqua bollente. Quando lo seppellirono Patrizia lo fece collocare accanto alla tomba della vecchia amica. “Ne sarebbe stato felice” disse a tutti. Adesso era toccato a Marco. “Troppo piccolo questo paese per perdere tutti questi amici” disse qualcuno. I genitori di lui la ringraziarono per la serenità che era riuscita a trasmettere al figlio dopo la perdita di Veronica. Alcuni, i più vecchi, ricordarono anche gli altri amici andati del gruppo. Prima l’incidente di Veronica, poi la scomparsa di Giorgio. Tutti abbracciarono Patrizia. Tutti si dissero devastati da questa perdita. Spirò poche ore dopo il ricovero. Di quelli su cui puoi contare. Al funerale gli amici di sempre lo ricordarono come un uomo per bene. Nella settimana che seguì Marco non riferì di sogni, né di incubi. Se ci furono, li tenne nascosti. Le sue condizioni di salute si aggravarono velocemente. Quando si decise ad andare in ospedale era già troppo tardi. Un’infiammazione rapidissima gli aveva perforato lo stomaco. I dottori dissero che a volte succede nelle persone che hanno fatto abuso di alcool nel tempo. E Marco, prima della convivenza con Patrizia, era stato iscritto alla categoria. Spirò poche ore dopo il ricovero. “Vediamo. È molto che non mi alleno. Solo che ho questa continua debolezza. E lo stomaco mi uccide. Credo che mi stia venendo l’ulcera. Magari un minimo di movimento. Male non può fare di certo.” Patrizia non commentò ancora. Nei due anni di convivenza aveva oramai capito che quando Marco non voleva affrontare argomenti delicati si rifugiava nello stress da troppo lavoro. Si limitò ad un bacio sulla guancia e spense la luce “Potresti provare ad andare in palestra domani” sussurrò nel buio “Magari un poco di attività ti farà bene.” “Niente. Guarda e basta” mentì .“ La verità è che sono sotto stress. Lavoro troppo, mangio male e sempre di corsa. Ho bisogno di una vacanza.” Marco ebbe l’impressione che la temperatura nella camera si fosse improvvisamente abbassata di almeno un paio di gradi. Veronica era morta già da tempo ormai, ma restava una presenza importante e viva nella sua mente. Si prese un paio di secondi prima di rispondere “Già proprio lei. Almeno credo. Stesso sogno. I dettagli poi sfuggono. Un bosco, la neve, la slitta. E lei. Si. É proprio Veronica.” “E cosa fa? Dice qualcosa?” “Bene” finse lui rimettendosi a letto “Adesso che Veronica ha fatto la sua visita notturna potrò riprendere il mio riposo e far dormire anche te. Mi spiace per queste cose. Non capisco davvero cosa mi succeda. Forse sono solo stressato dal lavoro e mi sento sempre così stanco. Ho svegliato i bambini? Patrizia fece spallucce “Tutto a posto. Non li svegli nemmeno con un terremoto allora era ancora Veronica?” Lei sorrise a sua volta “è uno dei thriller di quella serie che sta andando forte. In questo c’è un professore che uccide tutti gli studenti della sua classe, avvelenandoli uno a uno. Fa sembrare tutto un incidente, ma viene scoperto da uno dei genitori. Non una grande trama, ma è scritto bene. ”Fece una pausa “Come ti senti tu?” Ripensò al suo incubo. Le immagini erano ancora vivide e chiare in memoria. Era Veronica, adesso ne era certo. In un certo senso si sentì sollevato. Quando tornò in camera Patrizia era ancora a letto. Leggeva. Patrizia accese la luce “Ancora?” la sentì sussurrare mentre si alzava. Gli mancava il respiro. Corse in bagno. Sotto l’acqua corrente cercò di lavar via anche i resti di quell’incubo. La sua faccia nello specchio faceva paura. Era bianco come se la pelle fosse stata messa nella farina. Gli occhi una ragnatela di capillari. Sentiva lo stomaco chiuso in una morsa. Ripensò al suo incubo. Le immagini erano ancora vivide e chiare in memoria. Aveva paura. “Voglio fare l’amore Adesso, il culo sulla neve!” La donna era a pochi centimetri da lui, e gli parlava. Due mani rattrappite e grinzose, con unghie smaltate d’azzurro, lo afferrarono e gettarono a terra. Il mantello che indossava si aprì davanti ai suoi occhi, mostrando il corpo nudo e orribile. Cicatrici ovunque cucivano arti di dimensione e colore diversi. Più pezzi di corpo componevano quell’orribile essere. Sotto il cappuccio brillavano due topazi. Riconobbe gli occhi di Veronica. Marco gridò con tutto il fiato che aveva in corpo. Non avvertiva il freddo attorno, né il peso della slitta carica. Si sentiva leggero, sollevato. Il silenzio era rotto solo dal suono del suo respiro affannato. Davanti a lui, in lontananza, intravide una sagoma. Non avrebbe saputo riconoscerla, ma sentiva che si trattava di una donna. Non voleva incontrala e allora prese la discesa alla sua sinistra. La slitta improvvisamente divenne pesante. Si voltò e vide che era mezza vuota. Molti pacchi erano scomparsi. La verità è che sei andata via troppo presto, e ora sento un buco nella mia vita. Era amore. Era vero amore tra me e te.” Rimase in piedi di fronte alla lapide ancora qualche istante, respirando profondamente, cercando così di assorbire con l’ossigeno anche la serenità del luogo. Mandò un immaginario bacio alla piccola fotografia e si allontanò. Non avvertiva il freddo attorno, né il peso della slitta carica. Si sentiva leggero, sollevato. Il silenzio era rotto solo dal suono del suo respiro affannato. Davanti a lui, in lontananza, intravide una sagoma. Marco fece una pausa e si guardò attorno. La pace del cimitero lo invitava alla quiete. Si sentì rilassato e sereno. Forse Patrizia, in fondo, aveva avuto ragione. Sarebbe dovuto venire prima. “In realtà credo che sia un senso di colpa. Tu sai cosa ho fatto. Tu sai la storia con Giorgio. Un po’ è anche colpa tua. Non avresti dovuto lasciare me per lui. Forse se fossi rimasta con me io, tu, anche Patrizia, adesso saremmo tutte persone più felici. A volte vorrei dirlo a tutti. Gridare che razza di mostro fosse, e come li abbiamo salvati. Ma non posso. E forse tenere tutto dentro mi sta logorando, consumando. Non so. Comunque mi manchi. Stare con Patrizia è bello. Ma non è come con te. Tu mi prendevi in quel modo, con quella forza che nessun’altra al mondo potrà mai eguagliare. “Ciao. Scusa se sono mancato per troppo tempo. L’ultima volta che venni qui c’era un metro di neve. Ma la temperatura era uguale a quella di oggi. In questo posto sembra sempre così tutto fermo. Il tempo, lo spazio, anche il clima. Mi manchi sai? Non lo dico a Patrizia ma credo che lei se ne renda conto. Anzi. Di sicuro se ne rende conto. Ma tu la conosci bene, eravate amiche. Lei mi ha detto di venire qui. Non è gelosa. Credevo che una nuova relazione mi avrebbe fatto fare passi avanti. E sarebbe ingiusto dire che non ci sono stati. Ma dimenticarti no, non è possibile. Stai sempre li, in mezzo ai miei pensieri. Non sto benissimo in questo periodo. Mi sento sempre stanco, debole. Ho spesso dolori alle gambe, e allo stomaco. Prima o poi dovrò decidermi a fare qualche controllo. E poi dormo male. Incubi. Troppi pensieri mi si attorcigliano nella testa e credo che tu sia lì. Nascosta dentro al mio sonno. Prima stavi nei miei sogni, adesso fai visita ai miei incubi. Me lo diresti se fossi tu vero?” Marco sollevò la tazza fingendo un brindisi, e voltandosi verso di lei accennò un sorriso. Meglio della tisana rilassante che mi fai bere la sera? Patrizia notò che le mani gli tremavano ancora leggermente. Questo intruglio che prepari con le tue delicate manine avrà anche un buon sapore ma, detto tra noi, non sembra funzionare moltissimo come rilassante. “La tisana funziona se la lasci lavorare. Però ho un metodo molto, molto, molto più efficace” rispose lei lasciando cadere a terra la vestaglia. Nonostante fosse quasi mezzogiorno e le cicale cantassero l’estate il cimitero non appariva un posto particolarmente afoso. Marco pose i fiori freschi sulla lapide e con un fazzoletto di carta ripulì la foto impolverata. Si vedeva che nessuno le faceva visita da molto. Il volto sorridente di Veronica e i suoi occhi colore del cielo gli trasmisero un senso di benessere. La polizia aveva interrogato tutti quelli che lo conoscevano. Erano andati anche da loro. Giorgio era un nome importante in città, avrebbero fatto il massimo. Il massimo fu un buco nell’acqua. Poche settimane e tutto era svanito. Per qualche mese in paese si era continuato a parlarne, a fare ipotesi e congetture sul mistero di Giorgio. Poi l’argomento passò di moda. “Davvero lo credi? Non ci vado da due anni. Da quell’inverno. Da quando stiamo assieme.” Patrizia comprese perfettamente che “stiamo assieme” non erano le parole che lui avrebbe voluto usare. Marco era un gentiluomo, anche nei momenti in cui esserlo non serviva a niente. Lui fingeva di aver dimenticato. Forse credeva che parlarne l’avrebbe ferita. Un modo di dimostrarle una volta di più il suo rispetto. Non tornavano mai a parlare di quella settimana d’inverno di due anni prima, ma lei ricordava benissimo ogni singolo istante. Ricordava Gabriele Grevi, il “Giorgio”, come lo chiamavano tutti in paese. Ricordava come dopo una serata di bevute “tra amici”, si fosse allontanata in sua compagnia e come lui, ubriaco, l’avesse violentata. Quello che ne era seguito era stato difficile. Si era chiusa in se stessa, allontanata da tutto e da tutti. Aveva perfino allontanato i suoi figli. Poi era arrivato Marco. Era stato vicino a lei, l’aveva aiutata a risollevarsi. Aveva trovato il modo giusto per far scomparire il dolore. Una notte, dopo essere rientrato da una serata di bevute, Gabriele era scomparso. Al mattino avevano ritrovato la sua auto, ma non lui. Non avrebbero ritrovato più lui. Non c’era più alcun corpo da ritrovare. Lo avevano fatto sparire. Assieme. “Dammi retta, Marco. Vai da lei. Credo che ti farebbe stare bene. Manchi da troppo tempo.” “Non sono sicuro. Non credo di essere pronto.” “Io invece si. Se andrai domani dormirai meglio. Senza dubbio. E per farti rilassare ancora di più ho in mente una certa cosa.” “Lo stesso incubo. Di nuovo. Sono nel bosco, su allo chalet, al lago. Da solo. É inverno e c’è la neve. Trascino una slitta con tanti pacchi sopra, incartati come se fossero regali. Forse è Natale non so. Mi sento bene, felice. Poi mi volto, e sulla slitta mancano alcuni pacchi. Riprendo a camminare ma ora sono meno felice. Mi volto di nuovo. La slitta è mezza vuota e inizio ad essere spaventato. Faccio pochi passi, mi fermo e di nuovo guardo, e i pacchi sono scomparsi. La paura mi prende. Mollo tutto e inizio a correre, ma la neve è alta. Sono lento, troppo lento. Mi volto di nuovo. C’è una donna che mi guarda da lontano, tra gli alberi. Indossa un mantello nero e mi sembra Veronica, ma non ne sono certo. Non riesco a vederla bene. Spaventato riprendo a correre. Ma adesso lei è a un passo da me. E di fianco, e poi è di fronte. È ovunque e non posso più muovermi. Parla e mi dice Sei qui! Il culo sulla neve! e mi sbatte a terra. Sta sopra di me. Allora grido. E mi sveglio” Di nuovo il silenzio avvolse la cucina. Come personaggi di una tela di Rembrandt i due restarono immobili, ognuno in compagnia dei propri pensieri. Fu la donna a parlare per prima credo che dovresti andare da lei. Andare a trovarla. Pochi minuti prima si era svegliato con un grido disumano che aveva strappato la quiete della notte. Lo guardò. Doveva esser stato un sogno orribile, di quelli che ti restano appiccicati anche da sveglio. Adesso stava seduto al tavolo della cucina, curvo e raccolto come un bambino spaventato, rigirando tra le mani una tazza dalla quale usciva un filo di fumo e un forte odore di bosco. Lei riconobbe l’aroma. Cercava inutilmente di contenere un leggero tremito e aveva lo sguardo vuoto, di chi ancora tiene un piede dentro a un incubo. Quando parlò lo fece come rivolto a se stesso, senza mai voltare lo sguardo. “Credo sia Veronica. Non riesco a vederla chiaramente. Penso sia lei ma non ne sono certo.” Al nome della vecchia amica Patrizia non batté ciglio. Rimase in piedi ad ascoltarlo, appoggiata alla porta della cucina, come per lasciare a Marco tutto lo spazio, tutta l’aria. L’orologio appeso alla parete segnava quasi le cinque. A quell’ora del mattino la villetta era immersa nel silenzio e per fortuna, considerò lei, quella notte i suoi bambini erano rimasti a dormire dall’ex marito. Sarebbe stato un problema se l’urlo improvviso di Marco li avesse svegliati. Nonostante il caldo della serata estiva adesso Patrizia sentiva freddo e si strinse ancora di più nella vestaglia di seta bianca, aspettando che l’uomo riprendesse il suo racconto, credendo ci fosse ancora dell’altro, ma era tutto lì.



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Opera scritta il 26/02/2018 - 14:50
Da Pica Giulia
Letta n.916 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


Savino ha coniato un termine che condivido"cruciracconto".,comunque intrigante.

Teresa Peluso 26/02/2018 - 18:47

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Una trama molto complessa, come la mente degli assassini (si fa per dire oltre il racconto)

Luca Di Paolo 26/02/2018 - 18:43

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Mi ha intrigato questo tuo racconto; ho fatto fatica nel seguirlo, ma ho provato un grosso sollievo nel ricostruire i flashback e flashforward. Mettere assieme i puzzle e ricostruire la storia è stato davvero edificante. Hai inventato un nuovo genere "il cruciracconto"!

Savino Spina 26/02/2018 - 16:14

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