La linea tenue rinvigoriva
i suoi contorni al dilatarsi piano
della nebbia e i vessilli
smeraldini spuntavano ingenui
dalle fessure rocciose.
si stagliò terrosa la sagoma dell'isolotto
i cui margini eran cinti dallo sguazzare placido
delle spettrali correnti cobaltee.
Le netticore in volo si richiamarono
liberando alto un lamento d'amore,
poi s'accompagnarono struggendosi
e planarono infine regali sulle pieghe
infeste dell'acquitrino che riluceva
coriaceo sottomesso al crepuscolo.
Le ore macinavano lente come
le ruote di un carro nelle fanghiglie della palude.
Il ventre mio fu vessato:
una fortezza in stato d'assedio
nella stoica attesa di vedersi
capitolare sublime.
La brezza piegò l'acqua
in schiere di turgide crespe
che riflettevano nel cuore mio
le stesse inquietudini.
Attesi che le ore diventassero giorni
e i giorni mesi e i mesi anni
lì, sull'altra sponda della riva
e tu non arrivasti mai.
Avrei sacrificato l'ultimo respiro
tra le braccia affamate del destino
affinché tu sapessi quanto ho sofferto,
affinché tu sapessi quanto ti ho amato.
Che ora le onde dell'ansa ti accolgano!
E io allora tornerò ad oscillare incostante
con la disperazione incastrata
nel petto e il divino cielo al di sopra,
che maestoso, ceruleo e mirabile
ospita paterno il lamento delle netticore.
Esse si innalzano con un colpo d'ali,
sollevando gocce di fiume
e si disperdono alte e lontane
dove il sole esaurisce bianco l'ultima luce.
i suoi contorni al dilatarsi piano
della nebbia e i vessilli
smeraldini spuntavano ingenui
dalle fessure rocciose.
si stagliò terrosa la sagoma dell'isolotto
i cui margini eran cinti dallo sguazzare placido
delle spettrali correnti cobaltee.
Le netticore in volo si richiamarono
liberando alto un lamento d'amore,
poi s'accompagnarono struggendosi
e planarono infine regali sulle pieghe
infeste dell'acquitrino che riluceva
coriaceo sottomesso al crepuscolo.
Le ore macinavano lente come
le ruote di un carro nelle fanghiglie della palude.
Il ventre mio fu vessato:
una fortezza in stato d'assedio
nella stoica attesa di vedersi
capitolare sublime.
La brezza piegò l'acqua
in schiere di turgide crespe
che riflettevano nel cuore mio
le stesse inquietudini.
Attesi che le ore diventassero giorni
e i giorni mesi e i mesi anni
lì, sull'altra sponda della riva
e tu non arrivasti mai.
Avrei sacrificato l'ultimo respiro
tra le braccia affamate del destino
affinché tu sapessi quanto ho sofferto,
affinché tu sapessi quanto ti ho amato.
Che ora le onde dell'ansa ti accolgano!
E io allora tornerò ad oscillare incostante
con la disperazione incastrata
nel petto e il divino cielo al di sopra,
che maestoso, ceruleo e mirabile
ospita paterno il lamento delle netticore.
Esse si innalzano con un colpo d'ali,
sollevando gocce di fiume
e si disperdono alte e lontane
dove il sole esaurisce bianco l'ultima luce.
Poesia scritta il 25/08/2016 - 00:05
Da Matih Bobek
Letta n.1009 volte.
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Commenti
Bella poesia
Sildom Minunni 25/08/2016 - 11:38
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