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Vita di Learco Furdenio

“Il tempo è denaro” frase immortalata a grandi lettere nella mente di Learco Furdenio dal padre, già dall’adolescenza, quando suo malgrado, restava imbambolato ad ammirare i dipinti che venivano esposti d’estate a Livorno, alla manifestazione artistica “ La Rotonda”.
Alcuni disegni e annotazioni, giunteci, ci mostrano come la sua mente spaziava in essi e fantasticava d’essere al fianco dei personaggi che vi erano raffigurati e di vivere nel mondo degli artisti dell’ottocento.
Fu un’ottimo punto di partenza per le sue aspettative scolastiche future, infatti desiderava fare studi artistici e letterari, invece suo malgrado, fu obbligato a frequentare scuole di tutt’altra specie, come rimarca nel suo diario scolastico del tempo, dove alle parole ed ai dipinti si sostituivano le formule finanziarie.
Argomento questo che cercò di portare all’attenzione dei genitori con una lettera rinvenuta postuma tra i suoi oggetti, probabilmente mai consegnata agli stessi.
Arrivato all’università decise di prendersi la rivincita e si iscrisse a Lettere moderne anziché a Economia e commercio. Creò non poco scompiglio in famiglia, basti dire che portò per anni il segno del frustino che lo colpì sui glutei, scena del quale Learco produsse una vignetta che regalò ad un amico anni dopo.
Non riuscì mai a portare a compimento gli studi che aveva in proposito, dovette mettersi repentinamente in gioco come pedina dell’apparato produttivo della società, andò a lavorare per mantenere la famiglia visto che il padre morendo aveva lasciato una situazione finanziaria pessima.
Nonostante tutto, gli studi tecnici, ebbero la sua importanza in questo frangente, gli dettero possibilità di lavoro interessanti e remunerative.
Guardò negli occhi ben cinque diversi dirigenti d’azienda mentre lo sottoponevano alla classica vivisezione prima dell’assunzione e risultò vincitore a tutti e cinque gli incontri. Dalle verifiche fatte sul suo libretto di lavoro, infatti, prendiamo atto che i vari impieghi da lui assunti nel tempo furono di alto livello fin dall’inizio.
Non era il classico tipo assuefatto e statico ma seguiva senza remore alcuna il desiderio di cambiamento che a volte esplodeva incontenibile dentro di lui. Furono ben tre le aziende in cui prestò lavoro nell’arco di dieci anni.
Non sempre, devo dire, fu un’iniziativa libera, quella di sostituire un lavoro ad un’altro, perché, in particolare modo nelle prime sue occupazioni, trattandosi di impieghi nei trasporti internazionali, legati a paesi che in un secondo tempo avevano preferito spendere in armamenti anziché in beni e prodotti Italiani, si ritrovò a lavorare in filiali di agenzie di spedizione e di navigazione poi chiuse, da un giorno all’altro. Le cronache di allora riportano spesso interventi di Learco a dibattiti e partecipazioni a gruppi di lavoro organizzati dalla camera di Commercio di Livorno, dove si ribadisce tale problematica crescente.
Visse anche all’estero per un breve periodo della sua vita lavorativa, in particolare in Kenia ed in Libia.
In kenia spese un anno di vita per sovrintendere alla produzione di birra di una nuova fabbrica.
Tale periodo accrebbe molto la sua stima verso la popolazione del luogo, con la quale ebbe modo di intrattenersi a feste e cerimonie riservate agli appartenenti alle tribù di etnia Masai. A testimonianza di ciò Learco illustra in molte lettere, indirizzate ai suoi datori di lavoro, gli spaccati di vita del popolo Keniota. Il suo ricordo restò indelebile in alcuni personaggi poco raccomandabili, di altre tribù, poiché rifiutò di assumere persone da loro proposte, ma dovette cedere alla minaccia armata di uno di loro che volle dargli per moglie sua sorella. Non che Mailin non fosse attraente, come lo stesso Learco ci narra nel suo diario, ma aveva circa quattordici anni contro i trenta di Learco, il suo modo di pensare non razionalizzava il fatto.
Un evento disastroso lo segnò in quegli anni, la perdita di una persona a lui affidata durante una battuta di caccia grossa. Lo sfortunato che distrattamente uscì dalla jeep su cui viaggiava, accompagnato da un uomo armato e da Learco alla guida, fu sbranato da tre leoni mentre cercava di fotografarli durante il loro pasto su di una carcassa di Gnu.
A niente servì uccidere un leone e mettere in fuga gli altri due, le fauci avevano affondato nelle arterie del torace in modo irreparabile.
Il personaggio sbranato o quel che ne restava era il figlio del proprietario dell’azienda in cui Learco operava e dalla quale fu prontamente licenziato.
Esaurita questa esperienza, all’età di quarantacinque anni Learco fu inviato in Libia da un Pool di aziende Italiane ad organizzare il trasporto via ruote dal porto alle varie destinazioni sparse sul territorio, e di terra parlo, non di centri abitati.
Inizialmente abituarsi ai modi e costumi Libici comportò non pochi problemi, come ben rimarcato in alcune copie di telex scritte da Learco alla direzione in Italia.In esse spiegava che gli autisti di camion, nativi, hanno esigenze diverse dagli Europei. Si fermano a pregare ad ore prestabilite, non passano con il mezzo sulla strada dove ha attraversato un particolare animale senza aver pregato, mangiano ad orari diversi e soprattutto non sanno cosa è il rispetto del codice stradale.
Learco riuscì in due anni a completare la consegna delle forniture per costruire quattro industrie, ma solo dopo aver reclutato autisti dall’Italia.
Cosa più importante, riuscì a vendere Mailin ad un capo tribù di etnia Kurda, in cambio ricevette un cucciolo di gatto che chiamò Milù. Il suo matrimonio era stato celebrato con un rito valido solo nelle tribù Zulu’ del kenia, quindi legalmente era libero.
Poi finì tutto, con l’avvento delle ribellioni del popolo Libico e tornò a cercare lavoro a Livorno. Appena rientrato decise di dare un volto nuovo alla sua esistenze ed iniziò col disfarsi dei disegni e dei diari composti fino ad allora. Cedette il tutto alla libreria Belforte di Livorno che tutt'ora ne ha cura.
Le sue esperienze ebbero la sua ovvia influenza nel curriculum vitae presentato a molte aziende livornesi, ma non era il periodo giusto per nuove assunzioni e il mercato internazionale subiva un momento di flessione. In alcune lettere che Learco scrisse al cugino si percepisce la disperazione da lui sofferta per le conseguenze di una tale situazione economica. Beffa della sorte la richiesta dello sperato colloquio arrivò, dopo alcuni mesi di ricerca infruttifera, da Pistoia.
Learco suo malgrado riuscì a soddisfare le aspettative del direttore, nonostante cercasse in tutti i modi di apparire inadatto e fu così che ottenne il posto di lavoro, guardiano addetto alla manutenzione ed alla cura dei felini dello zoo di Pistoia.
Usica, la donna che faceva coppia con lui rifiutò questo nuovo stato di cose e dopo un breve periodo si accompagnò con un collega di lavoro presso la banca dov’era impiegata. Learco probabilmente fu felice del suo allontanamento, gli ultimi litigi avevano reso Usica violenta e spesso doveva ricorrere all’addetto dell’infermeria dello zoo per farsi curare graffi e ferite. Sul muro accanto allo spogliatoio che fu di Learco tutt’ora si possono leggere le date e le violenze che Usica perpetrava ai suoi danni.
Trascorse molti anni svolgendo il suo mestiere con dedizione, si creò un rapporto amichevole tra Learco e gli animali al punto che lo stesso si offriva spesso per sostituire il guardiano notturno dei felini, come lo stesso ricorda ancora ai suoi apprendisti inservienti. Morì all’eta’ di cinquanta anni per un’infezione provocatagli dagli sgraffi sul collo che il suo amico inseparabile, il gatto Milù, gli fece mentre Learco carezzava un leone malato, in un momento di eccesso di gelosia.
P.s: Il gatto Milù fu sbranato il giorno dopo dal leone, ormai guarito!



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Racconto scritto il 04/05/2015 - 15:46
Da paolo signorini
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