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Dopo tre giorni puzza (capitolo 1 - parte prima)

Bene, pare che non si sia arrabbiato nessuno. Quindi... oso ancora.
In realtà, avevo pensato di lasciar perdere: nessuno aveva protestato, è vero, ma nessuno aveva neppure espresso alcuna opinione sul mio scritto. Totalmente ignorato, pareva. Deprimente. Il che sembrava rendere superfluo insistere.
Poi è arrivata Vera, qui su Oggiscrivo. Con la sua simpatia, il suo affetto, la sua cordialità... prima che scoprisse con orrore che sono un attempato ed austero ingegnere. Tutto risolto, comunque. Ma il suo commento, pieno di inestimabili quanto ormai inattesi apprezzamenti, mi ha infuso coraggio, e convinto a provarci ancora, magari per l'ultima volta. Così ecco il primo capitolo del mio romanzo "Ospiti". Non è proprio brevissimo, tant’è che, per i limiti imposti dal sito, l’ho dovuto dividere in due parti, ma, parafrasando Manfredi, la lettura è un piacere, se non è lunga che piacere è?
È una fantascienza vecchio stile, un po’ ingenua, della prima metà del secolo scorso. Quella che amo di più, tipo ometti verdi che invadono la Terra o scienziati che costruiscono un'astronave in cantina con le lattine di birra. Niente di serio o impegnato, senza messaggi o insegnamenti morali. Giusto una proposta per passare qualche ora in maniera spero divertente e piacevole. L'esatto contrario degli articoli con cui mi sono presentato finora in questi lidi.
Se poi qualcuno fosse interessato a qualche informazione in più, come per esempio dove trovarlo, o come è nato ed il perché di questa diversità di titoli, potrà trovarla all'indirizzo "http://blog54.altervista.org/dopo-tre-giorni-puzza/".


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1. Primo contatto


Probabilmente, il primo contatto fu quella sera.
Già, una bella serata di febbraio, calda e stellata come fosse maggio.
In giro per il mondo, grandi luminari discutevano di inquinamento, effetto serra, surriscaldamento del pianeta e stravolgimenti del clima, ponendo preoccupanti interrogativi.
Si sa, i cervelloni prendono sempre tutto per il verso sbagliato.
Raffaele Ceraso non era uno che potesse fare sfoggio di grande ingegno. Questo gli consentiva, in compenso, di affrontare la questione con la dose di superficialità necessaria per fermarsi a considerare solo gli aspetti positivi del fenomeno. E goderseli tutti. Come, ad esempio, aver modo di starsene nella sua vecchia e arrugginita Volkswagen, parcheggiata sotto un grosso albero, sul ciglio di una strada poco trafficata a trafficare sotto la gonna di Elena Mirabella, inibendo le sue legittime quanto puramente formali proteste con un bacio da Guinness dei primati. Giusto qualche mugolio, che non doveva essere per forza interpretato come una protesta contro le sue oscure (?) manovre. Solo quando le loro labbra si staccarono il giovane si irrigidì un po', attendendo il sacrosanto ceffone che si era deliberatamente meritato. Con sua grande sorpresa, la sberla non arrivò. Neanche una recriminazione (sarebbe stata di pura circostanza, lo sapeva benissimo, ma il copione lo prevedeva e lui se l'aspettava) contro la sua impudenza.
Macché, lei non lo stava nemmeno guardando!
Si era chinata in avanti ad osservare qualcosa al di sopra del tetto dell'autovettura.
- Elena?
- Cos'era?
- Come cos'era? Era un bacio a ventimila volt! E ti stavo palpando le...
- No, non quello.... - Un attimo di esitazione, poi: - quello!
Indicò con il dito qualcosa che era sopra di loro. Che si stava muovendo sopra di loro, infatti si chinò a seguirlo finché il “qualcosa” non scomparve dal campo visivo consentito dall'angusto abitacolo.
A Raffaele venne in mente il detto “la curiosità è femmina”. Miseria, macché femmina!? È asessuata, altro che femmina. Una femmina, in quel contesto, o ti prende a sberle, se non è d'accordo, o ti salta addosso e te lo leva dalle brache lei stessa. Non corre dietro gli uccellini che svolazzano nell'aria primaverile di una degenerata sera di febbraio!
- Là, ancora... un altro - continuò lei, ignorando il burrascoso avvilimento che stava stravolgendo l'equilibrio ormonale del suo boy-friend. - Cosa saranno?
Il ragazzo obbedì, rassegnato, sperando che, una volta accontentata, gli fosse possibile tornare ad occuparsi di faccende più terrene e meno contemplative. Spiò oltre il parabrezza. Restò sorpreso anche lui nel veder passare, sopra di loro, ad un'altezza impossibile da determinare, un puntino luminoso delle dimensioni di una stella di prima grandezza, circondato da un alone di luce bluastra grande, grosso modo, quanto una pallina da golf.
Il misterioso oggetto apparve fra i rami dell'albero, li superò spostandosi in linea retta, e scomparve sopra di loro, nascosto dal tetto della macchina.
- Hai visto anche tu? - chiese Elena, ansiosa. - Secondo te cosa... oh, eccone un altro!
Il nuovo punto luminoso solcò il cielo sopra le loro teste, seguendo lo stesso itinerario del precedente. Di tutti i precedenti.
Incuriosito, Raffaele aprì lo sportello e scese dalla vettura. Elena lo imitò. Entrambi, naso all'aria, videro comparire la nuova luce bluastra che, passando oltre i rami dell'antica quercia che li sovrastava, attraversava il cielo e scompariva al di là della collina di fronte.
Si spostarono a centro strada per non avere ostacoli nel loro campo visivo, e attesero il successivo transito. All'incirca cinque, sei secondi. Poi, comparendo dal nulla, sullo sfondo di una splendida e limpida volta stellata, si materializzò il nuovo puntino.
Indistinguibile dalle stelle che lo circondavano, all'inizio l'oggetto si segnalò come una sensazione di movimento, impossibile da individuare se non si fosse già guardato nella direzione giusta. In apparenza, una minuscola stella che si metteva in moto, prima acquistando velocemente luminosità, poi rivestendosi di un alone bluastro, sempre più denso e meglio definito man mano che si muoveva verso ovest, e proseguiva il suo viaggio oltre la collina.
- Cosa sono, meteoriti? - chiese Raffaele, attingendo a piene mani al suo immenso bagaglio culturale. Peccato che il campo in cui era maggiormente ferrato fosse quello di calcio.
- Non credo - rispose la ragazza - durano troppo… e si muovono troppo lentamente.
- E che diavolo possono essere, allora? Dischi volanti?
- Non dire stupidaggini - ribatté ancora lei, ma non molto convinta. Non pensava che potessero essere astronavi aliene. Ma soprattutto aveva una paura matta di credere che fossero proprio quelle.
- Sai… ho come l'impressione… che non siano ad alta quota.
Elena lo guardò stupita. “Alta quota”. Non immaginava che il suo ragazzo fosse in grado di usare termini del genere. Ma, da brava secchiona, ignorava quanta roba si potesse imparare davanti ad un buon film, o un videogioco, anziché chini sui libri. - Sì, ho avuto anch'io la stessa sensazione. E si ingrandiscono man mano che avanzano.
Si scambiarono una specie di occhiata d'intesa, poi dissero all'unisono: - Stanno atterrando!
Un altro punto luminoso comparve nel cielo alla loro destra. Percorse tranquillamente per intero la fetta di volta celeste che avevano modo di vedere, aumentando di intensità e di dimensioni, avvolto nelle solite radiazioni bluastre, e sparì oltre l'altura alla sinistra dei due osservatori.
- Se giriamo attorno alla collina forse possiamo vedere fin dove arrivano - suggerì Elena.
Raffaele ci pensò su qualche istante. I suoi programmi, per quella sera, non contemplavano il dare la caccia ai marziani. Caccia sì, ma non ai marziani! Dubitò, però, che la sua ragazza gli avrebbe dedicato le attenzioni cui aveva diritto se prima non ne avessero saputo di più su quelle misteriose lucette volanti. D'altro canto, se l'avesse aiutata ad appagare le sue curiosità, avrebbe potuto dirottare l'eccitazione che stava provando ora per lo strano avvistamento verso obiettivi più allettanti. E, infine, sarebbe piaciuto un po' anche a lui sapere qualcosa di più sul fenomeno. Così annuì, e le fece segno di rimontare in auto.
La vecchia utilitaria partì con un borbottio asfittico, abbandonando il modesto rifugio sotto la quercia, e divorò con soddisfacente solerzia la strada necessaria per girare attorno alla collina, quel tanto che bastava per aumentare adeguatamente la visuale.
Si arrestò di nuovo accanto all'imbocco di una stradina in terra battuta, proprio mentre un'altra di quelle luci bluastre oltrepassava la sommità dell'altura, confermando l'impressione che i due giovani avevano avuto prima: si abbassò, per gradi, sullo sfondo delle montagne lontane, dimostrando che effettivamente la sua quota era poco elevata, e calò fino a scomparire dietro un'antica costruzione a meno di un chilometro di distanza. Una decrepita casa colonica che, pareva, si raggiungeva proprio con il viottolo accanto al quale si erano fermati.
- Stanno atterrando davvero - bisbigliò Elena, quasi temesse che potessero sentirla. Nella sua voce, uno straordinario miscuglio di paura ed euforia.
- È la vecchia casa Vitali. Il casolare abbandonato di Geremia Vitali - mormorò Raffaele, pensieroso.
E un tantino più preoccupato, adesso.
Quella costruzione era disabitata da almeno quindici anni. Da quando, cioè, il vecchio Geremia fece fuori a colpi di ascia moglie e figlia appena ventenne, e si tolse la vita impiccandosi ad una trave del soffitto. Nessuno seppe mai il perché di quella tragedia. Qualcuno suggerì che il buon fattore avesse beccato moglie e figlia in atteggiamenti inequivocabili con il vicino (vedovo) ed il di lui figlio, e avesse preso la cosa poco sportivamente. D'altra parte, si disse, parlare di “atteggiamenti inequivocabili” significava sminuire, e di molto, lo spettacolo che il pover uomo aveva trovato a casa dopo un anticipato rientro per una fiera del bestiame andata a monte. I due vicini, comunque, avevano sempre negato il fatto, definendolo un cumulo di assurde ed ingiustificate illazioni. Qualcun altro aveva parlato di un male incurabile che avrebbe condannato l'uomo, che per questo aveva pensato bene di non abbandonare le due povere donne ad un destino di solitudine e indigenza. Altri, infine, mormorarono di oscuri riti satanici e patti con il diavolo, sfociati in quella mattanza.
Comunque fosse andata, in quell'abitazione c'erano state morti violente, e questo bastava a farne una casa maledetta, oggetto di lugubri leggende e credenze inverosimili.
Tutto questo portò Raffaele a formulare una nuova ipotesi sulla natura di quelle luci, qualcosa di molto peggio di un'invasione extraterrestre. - Bene, io ne ho abbastanza. Torniamo ad occuparci dei fatti nostri?
- Di' la verità: hai paura - lo punzecchiò lei. Elena era un tipo razionale, e, mentre non escludeva la possibilità di vita extraterrestre, statisticamente più che plausibile, e quindi di un eventuale contatto, rideva di certe superstiziose credenze popolari. Vedere il suo ragazzo tremare a quel pensiero la divertiva, e le offriva una piccola rivincita: dei due, lei era quella debole, anche se intelligente - a scuola prima, all'università ora, prendeva il massimo dei voti in tutte le materie - mentre Raffaele, non potendo vantare un cervello particolarmente dotato, basava la sua superiorità sui muscoli e, di conseguenza, sul coraggio. Ora era lui a tremare, per quanto lei stessa non fosse del tutto tranquilla. Per lei, più che di paura si trattava però di eccitazione, una folle eccitazione, davanti all'idea di stare vivendo, forse, un evento sognato e temuto per secoli dal genere umano: un incontro con una intelligenza aliena… purché non fosse un ragazzino, nascosto da qualche parte, che giocherellava con una di quelle pilette laser che vendono i cinesi nelle loro bancarelle… anche se, finora, le aveva viste sempre di colore rosso, mai blu.
- Non ho paura - protestò lui con una voce tutt'altro che ferma. - Solo, non venirmi a dire che tutto questo ti sembra normale.
Elena rispose con una risatina soffocata.
- Andiamo a vedere di che si tratta - decise allora il ragazzo. Non poteva permettere che quella storia minasse il suo prestigio e la sua immagine di “macho”.
Rimontarono in auto, e percorsero una buona fetta del chilometro che li separava dalla costruzione. Prudentemente, lasciarono il Maggiolino ad una trentina di metri, già girato per un'eventuale, precipitosa fuga, e con le portiere aperte, tanto quella vecchia carretta sarebbe stata al sicuro nel parcheggio di un centro commerciale, figuriamoci nella landa solitaria in cui erano finiti.
Le luci continuavano ad arrivare, e a scendere oltre l’antico casolare.


(continua)




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Racconto scritto il 05/05/2015 - 10:00
Da Giuseppe Bauleo
Letta n.1705 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


Ti ringrazio, Rosa. Non perché io sia narcisista (beh, almeno spero di non esserlo), ma ogni complimento ricevuto, oltre a farmi ovviamente piacere, rappresenta un importante, vitale incoraggiamento a proseguire, mentre tutto il resto mi spinge a lasciar perdere.

Giuseppe Bauleo 07/05/2015 - 06:01

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Anche questo capitolo conferma il mio gradimento.Complimenti ! Quanto alle stelline ho difficoltà a farle brillare.

Rosa Chiarini 06/05/2015 - 22:04

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