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Una normale storia d'amore

Era una sera di metà aprile, la classica serata primaverile, nell'aria un dolce odore di fiori e di erba appena tagliata dai prati.


Lui era un ragazzo segnato da un passato complicato e abbastanza doloroso, fresco di un forte trauma del quale sentiva ancora il peso e portava una pesante corazza di autodifesa.


Aveva occhi verdi di ghiaccio e sguardo duro, ma nascondeva un segreto. Nascondeva un indomabile voglia di amare ed essere amato.


Lei era una ragazza all'apparenza solare, alla quale piaceva stare in compagnia, che amava ridere, e che credeva nel valore dell'amicizia, una ragazza che sapeva stare da sola, ma anche lei come lui e dopo anni di solitudine nascondeva il medesimo desiderio.
Amare ed essere amata.


Quella sera c'era una leggera brezza nell'aria, e, per una curiosa serie di circostanze, i nostri due protagonisti si incrociarono sullo stesso cammino.
I loro occhi rimasero a vicenda rapiti, erano uno per l'altro la cosa più bella che avessero mai visto.
In un istante un misto di paura, desiderio, attrazione si impadronì dei loro cuori.
Capirono subito quanto si desideravano.
Dopo essersi presentati andarono avanti a stuzzicarsi, provocarsi e studiarsi per tutta la sera, tra una birra, scambi di battute, giochi di sguardi e una breve passeggiata.


Lui respirava il dolce profumo dei suoi capelli mossi dal vento e la guardava accanto a lui, quei secondi sembravano ore, gli occhi le brillavano come acqua di fonte rischiarata dal sole, fino a che lui, tenendole tra le mani forti il viso, si fermava e le accarezzava dolcemente gli zigomi con i pollici, per poi mordere teneramente le sue labbra prima di assaggiarle per la prima volta, per il primo, timido bacio.
Erano sfioramenti di labbra leggeri per prendere confidenza, sempre più intensi, ogni istante più voraci delle labbra altrui, tocchi di passione e di scoperta verso quel nuovo sapore sulle labbra.



Si accarezzavano tra sorrisi di complicità e delicate frasi:


“-Alle mie labbra piacciono le tue-“, le sussurrava lui, e lei con un sorriso ricambiava avvicinando la bocca verso la sua e rispondendo:


“-Anche alle mie le tue-“


si respiravano a pieni polmoni, per carpire da quell'istante ogni più piccola emozione, assaporandone ogni secondo, assaporando ogni centimetro di pelle, ed infine Il primo intreccio di lingue, il primo incontro dei loro fluidi, il primo incontro di elementi. Avevano la sensazione di aver aspettato una vita per vivere quel momento, e la consapevolezza che una vita non sarebbe bastata per dimenticarlo.


Da quel momento in poi fu subito passione, acqua, fuoco, terra e cielo, racchiusi in due corpi, non esisteva altro che la loro voglia di possedersi in ogni momento e in ogni luogo. E pensare che fino a poche ore prima lei non sapeva nemmeno dell’esistenza dell’altro.


settimane passavano come giorni, non sapeva cosa provasse lei, ma lui si stava innamorando follemente, fino a che una magica sera di giugno, sotto fuochi d’artificio di una festa, decise di di chiederle di unirsi in una cosa sola.
C’era un’ albero di Magnolia secolare in quella piazza, nel pieno della sua fioritura, così mentre lei si era allontanata per fare delle foto, lui con una scusa si arrampicava su quel tronco fino a riuscire a cogliere da un ramo uno di quei magnifici e candidi fiori, lo nascose dietro la schiena, e mentre lei ritornava verso di lui, lui glie lo porse e le chiese:


“-ti va di diventare solo mia?-


Commossa da quel gesto, da quel semplice ma inaspettato fiore, e dal fatto che nessuno aveva mai fatto qualcosa di così particolare e speciale per lei, non era riuscita che a dire con voce tremante:


“Sono sempre stata solo tua dalla prima sera che ti ho visto-“


Mentre guardavano i fuochi le abbracciava il ventre, per la prima volta braccia solo sue, lei solo sua, e mentre guardava nella penombra delle luci di quella sera il suo dolce profilo, non riusciva a trattenere una lacrima di emozione, che silente si faceva largo tra le rughe d'espressione dei suoi occhi chiari e lucidi di gioia e commozione.


-Per lui lei era una creatura della luna disegnata da un’angelo.


Sfiorandole i capelli la aveva fatta voltare cercando di capire se stava accadendo davvero a lui o se stava facendo solo un sogno.


Per la prima volta aveva ciò che desiderava con tutto se stesso, ciò che aveva scelto, ed erano li, lei era davvero li, reale come le emozioni che stava provando, e in un secondo, come un uragano, ogni dubbio e incertezza venivano spazzati via, lavando via il sale dalle ferite dei mille dolori che aveva subito nella vita.



Erano una cosa sola per la prima volta, lui con la donna della quale era geloso ancora prima che fosse sua, quando lei, ignara della sua presenza ballava fino a perdere il fiato mentre lui la ammirava danzare nascosto tra la gente del locale che frequentavano.


Finalmente poteva respirare davvero il profumo dei suoi capelli, profumo del quale si saziava di nascosto, quando come un ladro le passava accanto senza farsi notare, finalmente poteva guardare quegli occhi profondi e morirci dentro, occhi dei quali cercava voracemente fugaci incroci clandestini tra la folla, riusciva finalmente a dirle quanto profondamente la voleva sfiorandole le labbra dolcemente con le dita, labbra che lo avevano sempre fatto sciogliere come neve al sole quando sensualmente se le mordeva.


Finalmente loro, un unica cosa, un fiore bianco e candido, in un abbraccio d'amore e speranza sotto i fuochi di una festa, in una magica sera di giugno.


Trascorse poco tempo da quella sera, la passione cresceva l’amore diventava più denso e le aspettative si alzavano.


Col passare dei mesi, i due innamorati si cominciarono a rendere conto che non sarebbe stato così semplice portare avanti quella relazione, essendo entrambe caratteri così simili ma allo stesso tempo agli antipodi, caratteri forti, ribelli, così ben presto cominciarono a scontrarsi, sempre più aspramente, sempre più frequentemente, ma ciò nonostante l’amore, la passione e la voglia di crederci e lottare per quello che ritenevano davvero unico non mancava.


Litigavano furiosamente, si lanciavano oggetti, si insultavano, ma tanto più forte litigavano, tanto più forte facevano l’amore, mai si addormentavano senza il bacio della buonanotte e senza che lui la abbracciasse stringendola a se ogni notte, quello che ignoravano purtroppo era il fatto che un forte sentimento di paura iniziava ad impadronirsi dei loro cuori e ben presto li avrebbe poi distrutti.


Le litigate diventavano sempre più insostenibili, nessuno dei due poteva, ne sapeva più fermarsi, perché ormai non riuscivano a domare la paura che sempre più li allontanava, in una vertiginosa, quanto repentina caduta verso il baratro, fino a che una sera di inverno scoppiarono.


-Fecero l'amore un ultima volta quella sera, piangevano, erano distrutti, ma ancora riuscivano ad amarsi, perché non era certo il sentimento a mancare, e, dopo quell’ultimo, magico, ma devastante incontro di corpi, lei chiese del tempo per riflettere, per cercare di capire se era il caso di continuare a farsi del male e soffrire in quel modo-



Lui la stringeva forte a sé, ancora una volta nel bene e nel male abbracciati sotto le lenzuola, ancora una volta nonostante tutto, come sempre si erano ripromessi.



-Passò un giorno da quell’ultima notte, portando con sè l’ennesima ed ultima devastante litigata-


Aveva appena finito di lavorare, era un mercoledì, le 18:00 di sera circa, si erano dati appuntamento sotto il posto di lavoro di lei, era perfettamente conscio del fatto che quella sarebbe stata l’ultima volta che la avrebbe vista, anche se, sperava che di nuovo sarebbero stati in grado di superare la cosa come sempre avevano fatto insieme fino a quel giorno.


Pioveva quella sera,una pioggia fine e sporca, che rendeva difficile la visuale, si dirigeva ansioso, con gli occhi offuscati dalle lacrime verso la sua temuta destinazione.


-E aveva anche perso la strada!-


Così, sempre più angosciato, e distratto non prestò attenzione alla segnaletica stradale di quei vicoli a lui sconosciuti e saltando uno “stop” provocò un’incidente.


Non si era fatto nulla e sinceramente la macchina, e la sua incolumità erano l’ultimo dei suoi pensieri, riusciva a pensare solo a lei, a loro, a tutte le sue speranze e i suoi sogni che si stavano per sgretolare come un castello di sabbia al sole.


-Fu lei che lo raggiunse sul luogo dell’incidente, poco distante da dove lavorava-


Lo abbracciava mentre lui piangeva e tremava come un bambino che si era appena svegliato da un brutto sogno.


-Ed effettivamente a giudicare dai danni, se quella macchina lo prendeva dieci centimetri più verso il centro, tra le due portiere, probabilmente a quell’ora sarebbe stato in viaggio verso l’ospedale dentro ad una ambulanza, o sotto un telo pronto per l’ obitorio.-



Visto che non potevano andare in auto, avevano scelto di prendere i mezzi pubblici e dirigersi verso una pizzeria poco distante da dove viveva lei.
Durante il breve viaggio si guardavano, in silenzio, senza un sussurro, senza un abbraccio, con gli occhi gonfi, pieni di paura e dolore.


-Fecero l’ultima cena, e fu li, sotto le note della loro canzone, trasmessa dalla radio con un imbarazzante tempismo come un’impietosa beffa che lei lo lasciò –


Si tenevano stretti le mani al centro del tavolino, versavano fiumi di lacrime in silenzio, con quel sottofondo che suonava e la gente intorno che li guardava perplessa e si domandava cosa stava accadendo a quella giovane coppia.


Uscendo dal ristorante si diressero verso una stazione, si tenevano per mano stringendosi le dita a vicenda, fino all'ultimo centimetro di strada che incombeva inesorabile prima di dirsi addio.


Ed eccolo ora li, lacrime agli occhi, appoggiato al corrimano arrugginito e sverniciato che dava sulle scale della Metropolitana, ancora incredulo per quanto era appena successo.
La osservava mentre veniva inghiottita dal buio di quella strada di città qualche istante dopo che lo aveva abbandonato, rinunciando per sempre al sogno di costruire un futuro assieme.
E mentre lei si allontanava a passo svelto e deciso con lo sguardo basso, lui pregava:
-"Voltati, Voltati, ti prego Voltati-"
forse aveva udito il desiderio di quel cuore, la densità di quel pensiero disperato, forse era stato solo per un riflesso incondizionato che si voltò, oppure anche lei come lui voleva guardare ancora un'ultima volta gli occhi dell'altro, gli stessi che fino al giorno prima le sussurravano all'anima parole d'amore.


Quell'ultimo sguardo, dietro a quegli occhiali, gli stessi che lui le sfilava e riponeva dolcemente sul comodino prima di fare l'amore, quello sguardo pesante come un macigno di chi è costretto a prendere un'altra strada nonostante volesse solo stare accanto a colui che amava.


E lui rimase li ancora, pietrificato ed impotente nel gelo di quella strada, con il cappotto aperto, quello che durante l'ultimo bacio, seguito dal suo ultimo "ti amo"
la aveva scaldata un'ultima volta avvolgendola nel suo abbraccio, e ancora non si capacitava, lei non c'era più.
Ormai era sparita dall'orizzonte, ma lui non si rassegnava, sperava di vederla corrergli incontro urlando:
"-proviamoci ancora una volta-".
Passarono minuti che sembravano eterni, fino a che distratto da un cane randagio che gli annusava i pantaloni ritornava alla realtà e con un sorriso di compassione, accarezzando quel ammasso di peli arruffati sussurrava:
"- ti capisco amico mio, ora sono da solo contro il mondo come te-"
E mentre alzava lo sguardo al cielo cercando di non piangere prendeva quella maledetta metropolitana che lo avrebbe portato via per sempre dal suo angelo.


-Era ormai la mezzanotte quando, con la vista offuscata dal pianto entrò in casa-


-“Addio, Arrivederci” continuava a pensare-
La osservava in tutto il suo splendore in quelle foto appese, prima di riporle con cura in un cassetto, affondava il viso nel suo cuscino per respirarne l’odore , invocando il suo nome tra le convulsioni di un pianto straziante che non conosceva limite.
-Si addormentò dopo parecchie ore, dopo aver riposto tutte le sue cose, le lettere, gli indumenti rimasti nel suo cassetto dentro ad una scatola. Si addormentò così,stringendo il suo cuscino, rannicchiato sul pavimento in parquet della camera da letto, accanto a quella scatola, con in mano il loro scatto migliore, solo ed impaurito, come un cucciolo al quale un cacciatore aveva portato via la madre.-




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Racconto scritto il 20/08/2015 - 22:38
Da Daniel Bertuolo
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