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Aspettando Marco

ASPETTANDO MARCO

Da una radio veniva la voce calda e confidenziale di Nico Fidenco che cantava “Legata a un granello di sabbia”. Con note nostalgiche rievocava l’atmosfera dell’estate.
Marisa, appoggiata allo stretto ripiano di legno, cercava con lo sguardo nell’angusto ufficio ferroviario.
- Deve fare il biglietto? – domandò il capostazione, comparendole al di là dello sportello.
- No, volevo semplicemente dire che l’orologio è fermo. E dato che non ho il mio, non posso sapere quanto manchi all’arrivo del treno da Siena.
L’ufficiale le sembrò contrariato per quella osservazione. – Si è fermato stamani. Non abbiamo ancora avuto modo d’aggiustarlo. – Fece un gesto come per scacciare una mosca, guardò quello che teneva al polso: - Sono le sedici e quarantacinque. L’accelerato da Siena per Chiusi sarà qui tra dieci minuti.
- Grazie.
Marisa uscì sul marciapiede deserto che fiancheggiava il primo dei tre binari della stazione di Asciano. Il sole aveva ormai raggiunto il profilo delle colline. Il cielo era sereno, l’aria leggermente mossa, tiepida. Era stata una bellissima giornata di Novembre con la campagna che sembrava una tavolozza di colori.
- Aspetta il treno per Chiusi, o quello per Siena?.
Marisa si voltò. Un signore di mezza età, con un basco e uno spolverino verdognolo, le si era avvicinato da tergo. Teneva in mano una elegante borsa di pelle.
- Quello per Chiusi.
- Allora deve andare sul marciapiede di fronte. Arriva sul secondo binario.
- Non devo prendere il treno, aspetto una persona.
- Ah bè, se è così…
- Può dirmi l’ora?
L’uomo si lasciò sfuggire un sospiro. – Dobbiamo aspettare ancora una quindicina di minuti.
- Il capostazione mi ha detto dieci.
- Quello parla il ferroviese… oppure è semplicemente un grande ottimista. Ma la realtà è un’altra, cara signorina. È da due mesi che prendo questo treno, una volta la settimana. Questa volta mi è toccata di sabato. – Scrollò la testa in segno di contrarietà. – L’incrocio avviene sempre qualche minuto dopo l’orario previsto. Veda, è sempre così: o è in ritardo il treno per Chiusi o lo è quello per Siena. Fatto sta che quando uno arriva, deve aspettare l’altro… e viceversa. Oggi penso che lo sia quello da Siena. – Cambiò la borsa di mano, dondolandosi sui tacchi, e soggiunse: - Certo, è una linea a binario unico, non è ingolfata dai convogli. Eppure…
Marisa lo guardò con fastidio. “Ecco il solito viaggiatore che ha voglia di importunare la gente con le sue elucubrazioni ferroviarie” pensò. A lei non importava della linea a binario unico. Era solo concentrata sull’orario, e l’idea di aspettare più del dovuto aumentava la sua ansia.
L’ansia dell’attesa.
Marco doveva arrivare con il treno delle 16.55. Glielo aveva assicurato per telefono, la sera prima.
- Vengo ad Asciano con il treno, nel pomeriggio - le aveva detto. – La mattina devo andare a Colle Val D’Elsa. Terenzio, il mio amico, mi presta la sua Appia, perché la mia Seicento è dal carrozziere. Staremo insieme tutta la sera, poi andrò a dormire alla Pensione Zuccardi. A meno che tu…
- Non farti illusioni – lo aveva interrotto con una punta di malizia. - Il paese è piccolo, un vero borgo selvaggio, come ben sai. E poi non voglio che i miei vengano a sapere della tua esistenza… almeno per il momento. Te l’ho già detto come sono: assomigliano ai personaggi di un romanzo ottocentesco.
Il professor Marco Tancredi era stato il suo insegnante di filosofia al liceo. Ora non lo era più, ma la loro relazione doveva rigorosamente rimanere segreta. Lui era sposato, anche se in rotta con una moglie che tra l’altro non gli aveva dato figli. Agli esami di maturità, quattro mesi prima, era stato bravissimo nel favorire la sua alunna e amante, senza destare il benché minimo sospetto tra i colleghi e gli altri scolari della classe.
Per lei quel mondo era ormai alle spalle. Marco non era più il suo professore, ma semplicemente l’essere più meraviglioso dell’universo. E infatti, durante l’estate, si erano amati con maggiore libertà. Complice quel localino di Siena che il geometra Terenzio aveva messo a loro disposizione. Una sordida storia, avrebbero detto i genitori di Marisa.
Il viaggiatore con la borsa si era allontanato un po’, ma poi aveva fatto dietrofront e si era nuovamente avvicinato a lei.
- Scommetto che aspetta qualche bel giovanotto – le disse, facendo l’occhiolino. – Il fidanzatino che rientra al paese dopo una settimana di lavoro?
“Si faccia gli affari suoi!” Le parole le erano venute in mente, ma non ebbe il coraggio di pronunciarle.
- Io invece rientro in città, dopo avere fatto la mia onesta attività di rappresentante – dichiarò l’altro, senza interpretare il silenzio accigliato della ragazza. – Questa volta mi è toccato venire ad Asciano di sabato… e la cosa mi infastidisce. Per me il sabato sera è sacro, sa? La televisione, insieme alla mia cara mogliettina. Non vorrei perdermi Studio Uno. Sono un ammiratore delle Gemelle Kessler. Formidabili, non trova? Con quel bel paio di… Oh, mi scusi.
Marisa gli aveva girato le spalle.
Non c’era anima viva nella piccola stazione. L’atmosfera sembrava sospesa. Solo un lontano abbaiare di cani si sentiva a tratti.
Poi cominciò il tintinnio della campanella che indicava l’arrivo del treno.
A quel suono, Marisa avvertì una mano gelida afferrarle lo stomaco. Era l’ansia dell’attesa, certo. Ma insieme sentiva montare dentro di sé una forte inquietudine.
“E se lui non fosse venuto?” Il pensiero le si affacciò alla mente in modo straziante. La sua doveva essere solo una stupida paura dettata dall’amore che provava per Marco Tancredi, e che veniva dal profondo dell’anima.
- Finalmente! – esclamò il viaggiatore con il basco. – Almeno uno dei due treni è in arrivo. – Guardò l’orologio. – A giudicare dall'orario deve essere il mio. Ma vedrà, signorina, che quello che aspetta lei, da Siena, avrà il suo piccolo, solito ritardo.
Lei annuì. Chissà perché, adesso, accarezzava la speranza che arrivasse il più tardi possibile, per rimandare la verifica del loro incontro.
Poi l’uomo disse:
- Eccolo! È proprio il mio. – Senza salutare, si avviò a passettini verso l’estremità del marciapiede.
In effetti sopraggiungeva un treno da Chiusi, per Siena. Avrebbe dovuto sostare qualche minuto per attendere l’altro, che doveva incrociare.
Ma c’era qualcosa di sbagliato nel convoglio che si vedeva in lontananza, lungo il rettilineo che immetteva nella stazione.
Una densa nube di fumo si sollevava da una locomotiva a vapore. “Insolito”, pensò Marisa, che tuttavia non aveva alcuna cultura ferroviaria. Da quando era bambina non aveva più visto locomotive di quel tipo sulla linea Chiusi-Siena.
Il viaggiatore con la borsa di cuoio tornò sui suoi passi saltellando. Era tutto agitato. Gesticolava in direzione dell’edificio della stazione.
- Si saranno accorti, spero… Avranno comunicato che la linea è occupata da un altro convoglio – gridò.
Poi entrambi si allontanarono dal bordo del marciapiede. La locomotiva sbuffante, con il suo traino, non stava rallentando per fermarsi, ma sferragliava in velocità sul primo binario.
Marisa guardava impietrita. L’altro continuava a smanacciare. Poi videro il treno scomparire a poco a poco dietro la curva fiancheggiata dai canneti, in direzione di Siena.
Solo allora il capostazione si affacciò sulla porta. – Che sta succedendo?
- Dovrebbe saperlo lei! – esclamò il viaggiatore. – Quel treno andrà a sbattere contro l’accelerato da Siena.
- Infatti, sta arrivando - gracchiò l’ufficiale, togliendosi il cappello e allargando le braccia in un gesto di disperazione.
- Mi è sembrato un corto convoglio per trasferimento materiale – disse l’uomo con lo spolverino e la borsa, in modo concitato. - Una locomotiva a vapore, seguita da due bagagliai e un carro merci scoperto.
- Ma come è possibile… – fece l’altro con voce strozzata.
- Dio mio, ci sarà un incidente. - riuscì a dire Marisa, prendendosi il viso tra le mani. Si sentiva assalita da una specie di spossatezza, le girava la testa. Fece di tutto per non lasciarsi cadere svenuta.
Ci fu un fischio familiare. Dalla curva, dietro la quale si era eclissato lo strano convoglio, sbucò l’accelerato da Siena. Rallentando, scivolò sul secondo binario, dove avrebbe aspettato il treno da Chiusi.
Il capostazione era rientrato nel suo stanzino, quando Marisa sentì la voce del viaggiatore:
- Quello che abbiamo visto è assurdo, signorina, del tutto assurdo! – Poi le si avvicinò. Aveva gli occhi sgranati, come quelli di chi si svegli improvvisamente da un incubo. – Oppure, mi dica… mi dica… L’ho visto solo io?
Lei stava per dire “che cosa?”, invece mormorò:
- No, l’ho visto anch’io... E anche il capostazione.
- Ma cos’era, cos’era? Un treno fantasma? – Lasciò cadere la borsa ai suoi piedi, si tolse il basco e si asciugò la fronte con un grande fazzoletto bianco.
Nel frattempo, dal treno erano scesi due passeggeri che ora, attraversando il primo binario, si dirigevano verso l’uscita. Marisa, con gli occhi annebbiati, fece una panoramica lungo tutta la fiancata del convoglio. Si era ripresa con un po’ di ritardo dallo shock e ora cercava la persona che tanto attendeva.
- Marco – pronunciò a fior di labbra.
Non era sceso da quel treno.
Allora, passando in rassegna i finestrini, chiamò: - Marco!
Il rappresentante le aveva voltato le spalle e ora si allontanava con passo incerto. Sul primo binario stava arrivando l’altro treno, quello da Chiusi diretto a Siena.


Marisa si sentiva malissimo, completamente svuotata. Passò davanti allo sportello. Udì la voce del capostazione che urlava al telefono, alla quale facevano da contrappunto le note di “Quando quando quando” di Toni Renis.
Nel momento in cui si trovò sul piazzale, le si avvicinò una Lancia Appia, da cui scese un uomo in giacca e cravatta.
- Lei è la signorina Marisa Peruzzi?
Lo guardò senza rispondere.
- Penso proprio di sì – fece l’uomo, togliendosi di tasca un pacchetto di sigarette. Ne sfilò una e se la ficcò in bocca. Apprestandosi ad accenderla, disse:
- Lei non mi ha mai visto. Sono il geometra Terenzio Simoni, amico di Marco.
A Marisa tremarono le gambe.
- Ho voluto vederla di persona. Purtroppo sono qui per darle una brutta notizia. – Accese la sigaretta, buttò il cerino lontano e proseguì: - Niente di irreparabile, mi creda. – Esitò. – Marco Tancredi ha avuto un incidente dalle parti di Colle Val D’Elsa, questa mattina. Doveva andarci con la mia macchina, ma poco prima di partire, il carrozziere gli ha telefonato per dirgli che la sua era pronta e poteva ritirarla subito.
- Dio mio… - disse Marisa in un soffio.
- È nell’ospedale di Siena… Le sue condizioni sono serie, ma se la caverà.
Marisa non riuscì a trattenersi.
Si afflosciò come un sacco vuoto.




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Racconto scritto il 12/11/2015 - 21:10
Da Giuseppe Novellino
Letta n.1148 volte.
Voto:
su 5 votanti


Commenti


Molto bello e intrigante complimenti

Lucia Frore 15/09/2017 - 22:29

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Bel racconto .Apprezzato molto.

Rosa Chiarini 16/11/2015 - 15:25

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Un bel racconto.. oltre che una lezione sul dialogo.. nel rigoroso stile dell'autore che apprezzo molto

Francesco Gentile 13/11/2015 - 12:07

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Un racconto coinvolgente e ben scritto, Mi è piaciuto proprio tanto, anche per il sottofondo delle canzoni che hai citato! Buona giornata,

Chiara B. 13/11/2015 - 11:25

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