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non ringraziare mai

“Mi dispiace veramente, ma la situazione economica dell’azienda è ormai irrecuperabile, inoltre, non abbiamo commesse da parte dei soliti fornitori, ne tantomeno da altri.
Le banche anno chiuso ogni fonte di affidamento e vogliono che si stili entro dopodomani un piano di rientro dei fidi a suo tempo concessi.”
Il microfono passa di mano dal direttore generale del Cantiere Navale al segretario.
“Gli stipendi non verranno pagati neanche questo mese e con ciò vi auguro e mi auguro di trovare al più presto un altro impiego, buona fortuna a tutti!”
Le urla dell’assemblea esplodono.
Alvaro scende lentamente gli scalini dell’ingresso principale e continuano a ronzargli nelle orecchie le grida di rabbia dell’assemblea dei suoi compagni operai, ma tutto tende a divenire sempre più ovattato finché percepisce ciò che gli accade dintorno come dall’interno di una campana di vetro che lo rende presente ma distaccato.
La sua disperazione gli sta giocando un brutto scherzo, ma egli continua ad allontanarsi dalla folla di colleghi inferociti, da solo verso l’uscita dell’azienda, che lo aveva assunto ragazzo per farne un operaio specializzato ed adesso, dopo venti anni, un disoccupato. Si gira a guardare i capannoni azzurri poi passa il passaggio carraio oltre la sbarra, attraversa il girello, si asciuga gli occhi ed accende l’ultima sigaretta del pacchetto prima di accartocciarlo e gettarlo come il suo impiego, per sempre.
Non sente ancora il coraggio di tornare tra le quattro mura di casa, nessuno ad attenderlo, nessuno a consolarlo, nessuno a disperarsi con lui, nessuno va a braccetto con niente da fare.
Sono giorni ormai che gli operai sospettavano la chiusura inevitabile, ma la speranza di un rinvio o di un rimpasto societario teneva accesa la speranza, anche se la fiammella era sempre più tenue.
“ Ora che si fa?” Quattro parole che accompagnano il passo indefinito di Alvaro, quattro parole che scandiscono il lento aspirare, comprimere, espirare, tossire, sputare, bestemmiare e chissà che altro. Quattro maledette parole che racchiudono la sua esistenza futura.
A poche centinaia di metri per Helen sta iniziando un’altra giornata. Anziché spegnere la sveglia e stirarsi prima di sollevarsi da letto,chiude il quaderno e depone la matita, reduce da l'ennesima notte insonne, afferra con le mani la protesi della gamba destra e con decisione la posiziona dov’era una volta quella amputata, si solleva dallo sdraio rosso e guarda il suo giaciglio nell’angolo, ormai solo, da tempo.
Come ogni mattina iniziano i ricordi, continua a guardare la gamba artificiale e quella naturale. Il fischio della macchinette del caffè ormai sa che deve fare da contorno ai suoi pensieri.
Riapre il quaderno che poc’anzi aveva poggiato per dare un ultimo sguardo ai ritagli che contiene. L'ormai logoro manifesto, in esso ripiegato, mostra una figura di donna con alle sue spalle due leoni e la scritta in grassetto:
“ IL CIRCO MASSENZIO PRESENTA LA DOMATRICE HELEN ”.
La solita espressione di rimpianto e odio le attanaglia il cuore, il solito desiderio di urlare, piangere, disperarsi. Il solito suono del clacson di un camion che transita vicino alla piazzola di sosta portuale della Roulotte dove Helen vive, la risveglia dall'abisso dei ricordi e la incita ad iniziare un nuovo, uguale, insoddisfacente giorno, della sua sbagliata vita.
Camminare per Helen non è più un piacere, ma un esigenza. A fatica, ogni mattina deve spostarsi dalla zona industriale dove le lasciano parcheggiare la sua casa-roulotte e percorrere il lungo mare, fino alla pineta, dove interpreta il ruolo di veggente per i pochi turisti che la degnano di uno sguardo.
Quando scosta il lembo della tenda per entrare la attanaglia ancora la sensazione inebriante che quel gesto rappresentava, di apparire al pubblico che la acclama. Ma nella tenda il pubblico non c'è, ad attenderla quel tavolo sconnesso, quel mazzo di carte che non parlano e quel mantello scuro che sembra preludere ad una fine già scritta. Passano le ore ed i clienti si fanno sempre più radi, l'avanzare della stagione autunnale sta lesinando i turisti. Una folla di uomini scuri in volto si sta disperdendo per le vie dinnanzi. Li vede accigliati in volto e piegati su di se. Capisce che il cantiere navale, situato a poche centinaia di metri , ha seri problemi occupazionali. A conferma di questo, i cori di ribellione urlati da un gruppo di manifestanti, all'ombra di rabbiose bandiere sindacali. Helen volta lo sguardo, quasi a sfuggire questa cruda realtà e si trova di fronte un uomo impacciato, di bassa statura, con l’inconfondibile caratteristica dipinta in faccia della persona buona. Il lungomare scorre accanto ad Alvaro come una pellicola in bianco e nero, nonostante il vocio dei bagnanti tutto appare lento e silenzioso, solo un gioco di luci lo risveglia dal suo torpore disperato, in esso una giovane donna agghindata di vesti nere e collane azzurre gli sorride e gli fa cenno di avvicinarsi.
Alvaro non capisce, ma come un automa la segue dietro una tenda.La donna accende incensi a profumare l’aria, si inginocchia dinnanzi ad Alvaro e guardandolo con i suoi occhi neri inizia a parlargli come una madre ad un figlio:
“ Finalmente sei giunto alla svolta della tua esistenza senza intralci ne percorsi fuorvianti che avrebbero dannosamente reso ancor più impervio il tuo cammino verso la fama.”
Alvaro la guarda come un pescatore guarda un’acciuga e mentre sta per proferir parola lei lo zittisce appoggiandogli, piano, la mano sulle labbra.
“ Non dire niente, non c’è niente da dire vedrai da solo e dopo che avrai visto ricordati solo questo, non ringraziare, mai.” L’uomo paga saluta e si incammina sul lungomare, Helen non gli toglie lo sguardo di dosso.


Quella faccia gli ricorda il suo grande amico Francisco, il vecchio nano che l’aiutava negli spettacoli con i leoni.
Le immagini le corrono nuovamente davanti agli occhi. Il suo ultimo spettacolo con il leone Bury, che era particolarmente agitato fin dal mattino, era stato un successo per il pubblico che la acclamava. Lei aveva voltato le spalle al leone ed aveva ringraziato il pubblico con un inchino.
Il leone era corso verso di lei balzando dal suo trespolo e l’aveva azzannata alla gamba.
Dopo due mesi di tentativi la cancrena aveva avuto il sopravvento e la gamba era stata amputata. Fine di una carriera, fine di un lavoro, fine di un amore, fine.


Per Alvaro la sera si avvicina ma non la voglia di rispettare le solite abitudini.
Nessun desiderio di preparare la cena, di ascoltare il notiziario, di scambiare i saluti con il vicinato, di criticare la squadra di calcio cittadina per i cattivi risultati, di fumare l’ultima sigaretta in terrazzo guardando il tramonto.
la melodia lontana del telefono afferra la sua attenzione e lo trascina di nuovo nel meccanismo della vita reale.
“ Alvaro, sono il capo bacino del cantiere, ti disturbo?”
“ No, dica pure Signor Gelli.”
“Abbiamo un problema al bacino 2. La nave che stavamo riparando ha subito un cedimento dell’ossatura longitudinale della prua e non abbiamo vie d’accesso per intervenire là dentro.
Due tuoi compagni sono chiusi tra le lamiere e le traversine, li riusciamo a contattare con la radio ma non abbiamo tempo per tagliare le lamiere e soccorrerli. Inoltre se usiamo la fiamma ossidrica gli bruciamo anche l’ultimo ossigeno che hanno.
Tu che faresti?”
“ Vengo lì! Cinque minuti ed arrivo.”
“ Grazie Alvaro”
Il telefono è già sul tavolo, Alvaro è già in strada. Le auto suonano clacson all’uomo che corre senza degnarle della sua attenzione.
Alvaro attacca alla tuta due erogatori d’aria e dipana i tubi ad essi collegati, si cala nelle sentine con il suo corpo mingherlino, pensa a quante volte lo hanno ridicolizzato chiamandolo nano, pensa a come ridevano alla mensa per le sue porzioni di cibo adatte solo ad un bambino. Pensa e con i gomiti si fa strada tra l’intrico di lamiere.
Ogni tanto aspira dall’erogatore, a volte si sofferma a controllare le note della struttura per non sbagliare percorso tra quell’intrico di ferro buio ed uguale, ogni tanto pensa che deve salvare i suoi compagni, ogni tanto cerca di andare avanti e ricacciare i pensieri a fondo.Eccoli, li vede, accasciati uno vicino all’altro, esausti dalla mancanza di ossigeno, rassegnati ormai.
Alvaro passa gli erogatori ai suoi compagni che a poco a poco si riprendono, lo abbracciano goffamente visto il poco spazio, lo ringraziano e piangono, scusandosi per averlo ridicolizzato per tanti anni.
Con la radio danno l’ok per iniziare a tagliare le lamiere.
E’ trascorsa una settimana, tutto sembra tornato alla normalità, ma la serata sarà allietata dalla cerimonia di consegna ad Alvaro di una pergamena di ringraziamento per l’eroico salvataggio dei compagni e con esso un premio in denaro devoluto dagli operai del cantiere con una colletta.
Alvaro sale sul palcoscenico, che per l’occasione è una pensilina sull’albero di sentina di una vecchia nave, prende il microfono e con le lacrime agli occhi si rivolge alla platea del compagni di lavoro:
“ Finalmente dopo tanti anni ho visto che il vostro sguardo su di me era di ammirazione e non di derisione, finalmente mi sento anch’io un tassello utile a questa società.
Vi ringrazio tutti!”
La pensilina che sorregge Alvaro cede improvvisamente, i trenta metri che lo separano da terra vengono percorsi dal suo corpo in un breve lasso di tempo, ma basta a ricordargli le parole che gli aveva detto la donna scura e lucente:
“Vedrai da solo e dopo che avrai visto ricordati solo questo, non ringraziare, mai.”


La settimana passata non da ricordi di sorta ad Helen, salvo per la difficoltà sempre maggiore a procurarsi il minimo sostentamento. Come ogni mattina apre la tenda pronta a sentire la sensazione che le dava una volta, ma stamani il vuoto, gira dentro la tenda, rovista, tocca ogni oggetto, la sensazione che fino ad oggi le faceva da compagna è scomparsa.
Esce di nuovo, si guarda intorno in cerca di un appiglio ai propri pensieri, legge distrattamente i titoli della locandina del quotidiano locale.
“ Uomo cade da un’impalcatura nel cantiere navale dopo aver ringraziato i compagni che lo acclamavano, per un atto eroico compiuto nel bacino di carenaggio.”
La foto eclissa ogni possibile dubbio sull’identità della vittima. Il piccolo uomo con la sua faccia triste e buona la osserva dalla foto del giornale, quasi a dirle “ Mi avevi avvertito! ”
Helen si asciuga le lacrime e pensa che l’unica vera predizione che ha fatto sarà l’ultima.




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Racconto scritto il 17/11/2015 - 13:29
Da paolo signorini
Letta n.957 volte.
Voto:
su 13 votanti


Commenti


Piacevole per la scorrevolezza e... la sua interessante tematica... Lieta giornata

Rocco Michele LETTINI 18/11/2015 - 10:36

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