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Il senso della vita

Qualcuno ha detto che cercare di dare un senso alla vita umana può portare alla follia o all'amore più puro. Beh, sinceramente non ne ho idea, di certo so che la vita è come una nave che anela il mare…e forse lo teme!


Vorrei raccontarvi una storia che mi riguarda personalmente, una storia che iniziò qualche anno fa. Ad essere sinceri la storia accadde molti anni fa, nei primi anni della mia gioventù e descrive una situazione in cui si sono mescolati notizie, esperienze reali e sogni.


Cosa vi debbo dire, forse non è vero che la vita va come noi vogliamo che vada. Sono sempre più convinta che lei faccia la sua strada e noi la nostra e molto spesso non è la stessa strada.
Spero soltanto di non mettere a dura prova la pazienza di qualche lettore, ma se tuttavia dovesse accadere, lo prego di scusare la mia audacia.


Quel 3 Settembre mi svegliai di buon’ora, impaziente di iniziare il viaggio che mi avrebbe portata in Terra Santa, ma prima volli dare l'ultima occhiata alle cartelle del mio romanzo al quale avevo dedicato le mie attenzioni da ormai troppo tempo.


«Erminia era sposata da 7 anni, attendeva il primo figlio, un bimbo, che sarebbe dovuto nascere poco prima di Natale.


Tutti l'attendevano, poi un'embolia amniotica, la corsa all'ospedale, il piccino muore e la madre entra in uno stato di preoccupante confusione mentale.
Ne esce due anni più tardi, torna nella sua casa, ma presto si rende conto che qualcosa nella vita di tutti i giorni è cambiato, si danna l'anima per rimettere in ordine la sua e la vita di suo marito e scopre...che ormai il loro matrimonio è saltato.»


Diedi una sommaria controllata alle ultime pagine, quasi a sincerarmi che il lavoro fosse ben fatto e rilessi il finale.


«Fino all'ultimo istante Erminia non voleva crederci, ma poi dovette arrendersi all'evidenza. Suo marito aveva una relazione seria con un'altra donna.
Decidono di separarsi, ma per lei ammettere questa conclusione fu un dolore insopportabile.
Sorretta dall'orgoglio supera il colpo...ma mentre sta per dire addio definitivamente da quella che è stata la sua vita, guarda negli occhi suo marito un’ultima volta, incapace di andartene del tutto.


Una parte di lei sa che gli sarebbe rimasta sempre vicino, lo sapeva perché lo avvertiva, lo sentiva.
La sua anima urlò di dolore per come stava finendo, ma in quel momento non sapeva più cosa provava.
- Perché mi sono innamorata di te? - Urlò al cielo


Si rese conto che faceva ancora più male quando si comportava così e pensò che lui lo avesse sempre saputo. Si chiese cosa sarebbe stato il suo futuro senza di lui...Si può rubare a qualcuno il futuro?


Lo guardò uscire di casa, la pioggia cadeva incessantemente e intorno a lei il tempo sembrava essersi fermato»


Era esattamente la storia della mia vita, della quale, in un momento di follia, avevo pensato di ricavarne un romanzo che avevo proposto ad un amico editore, ed egli se ne innamorò a tal punto da spingermi completarlo al più presto.
Mi sembrò impossibile che fossi riuscita a terminarlo, ma sebbene la conclusione non mi entusiasmasse, decisi di chiudere tutto in un cassetto, proponendomi di riprendere il manoscritto tra le mani al mio ritorno, sempre che l'editore non mi avesse sbranata prima.


Invece accadde quello che nessuno aveva previsto.
Improvvisamente un'ischemia cerebrale mi fece crollare in terra come uno straccio bagnato, relegandomi per dei mesi in un lettino d'ospedale.


Tornai alla vita tre mesi più tardi e mi trovai in una stanza assieme ad un altro paziente (per la verità era una donna, Margherita), anche lei uscita da un coma.


Dopo i primi giorni di silenzi scoprii che a Margherita era permesso sedersi sul letto per un'ora al giorno…quasi sempre nelle prime ore del pomeriggio, per aiutare il drenaggio dei fluidi dal suo corpo.
Il suo letto era vicino all’unica finestra della stanza.
Io invece dovevo restarmene sempre sdraiata, del tutto immobile.
Fu un periodo di grossa sofferenza per me che mi portò a credere che sarei caduta in una nuova depressione.


Comunque alla fine con Margherita facemmo conoscenza e cominciammo a dialogare tra di noi.
Riuscivamo a malapena a vederci ma si parlava di tutto, dei nostri mariti, (Non le dissi che ci eravamo separati, ma le raccontai la prima bugia che mi venne in mente, ovvero che a seguito di grosse difficoltà lui si era trasferito in Australia) delle nostre famiglie, del mio bambino, delle nostre case, del nostro lavoro e dei viaggi che avevamo fatto.


Ogni pomeriggio Margherita poteva sedersi e trascorreva il tempo raccontandomi tutte le cose che poteva vedere fuori dalla finestra.
Le ero grata per quella sua dimostrazione di amicizia e pian piano cominciai a vivere serenamente quelle ore, nelle quali il mio mondo era reso più bello e più vivo da tutte le cose e i colori del mondo esterno.


La finestra dava su un parco con un delizioso laghetto. Le anatre e i cigni giocavano nell’acqua mentre i bambini facevano navigare le loro barche giocattolo.


Giovani innamorati camminavano abbracciati tra fiori di ogni colore e c’era una bella vista della città in lontananza.


Mentre lei descriveva tutto ciò nei minimi dettagli, io, dall’altra parte della stanza, chiudevo gli occhi ed immaginavo ogni scena.


In un caldo pomeriggio Margherita descrisse una parata che stava passando e sebbene io non potessi sentire la banda, potevo vederla con gli occhi della fantasia così come lei me la descriveva.


Passarono molti altri giorni di malattia colorati soltanto dai suoi racconti e le nostre chiacchiere.


Un mattino, l’infermiera del turno di notte, venendo a salutarci entrò in camera e trovò il corpo senza vita di Margherita, morta pacificamente nel sonno.


Il corpo della donna fu portato via ed io piansi per due giorni la mancanza della buona amica che aveva reso un po' meno difficile la mia situazione con i suoi reportage, e non appena lo ritenni appropriato, chiesi al mio medico se avessi potuto spostarmi nel letto vicino alla finestra.


Inizialmente lui non vide di buon occhio quella richiesta, ma poi fece quello scambio dopo essersi assicurato che stessi bene.


Rimasta sola, lentamente, dolorosamente, cercai di sollevarmi sui gomiti per vedere oltre la finestra. Non ci riuscii ma mi promisi di provarci ancora per vedere quel nuovo mondo esterno che tanto mi aveva fatto sognare.
Nei giorni successivi mi sforzai e lentamente riuscii a sollevarmi sulla schiena, poi mi voltai lentamente per guardare fuori dalla finestra.


La mia sorpresa fu davvero grande quando mi resi conto che la finestra si affacciava sul muro bianco senza finestre del palazzo di fronte.


Lo raccontai al sacerdote che di tanto in tanto veniva a farmi visita, ed egli mi spiegò come e forse perché Margherita fosse stata spinta a descrivere tutte quelle cose meravigliose al di fuori della finestra, tra l'altro considerando che Margherita era da sempre cieca e non avrebbe potuto vedere nemmeno il muro bianco.
- Siamo soltanto gocce e pur essendo un sacerdote sono convinto che non dovremmo cercare di comprendere la vita ma di viverla come meglio ci riesce di fare
- Ma perché l'ha fatto? Non capisco
- Forse - soggiunse lui - voleva farti coraggio o forse per lei era questo il senso della vita!


Quello fu il suo dono, non ero caduta in depressione grazie ai suoi racconti, lo compresi in quel momento e da quel giorno ho sempre creduto che vi sia una tremenda felicità nel rendere felici gli altri, anche a dispetto della nostra situazione.
Un dolore che puoi condividere con un altro si dimezza, ma la felicità condivisa ne è raddoppiata.


Mi dimisero 30 giorni più tardi e dopo altri 2 mesi di terapie varie ripresi tra le mani le file della mia vita, partendo per quel viaggio in Terra Santa…ma questa è un'altra storia e se me ne darete il modo ve la racconterò.




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Racconto scritto il 02/12/2015 - 08:21
Da m c
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