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Gli amanti del diavolo

A volte ci sono storie che non trovano posto in questa vita.
Forse perché sono nate in un posto sbagliato, gremito di veleni e serpi, di trappole fatte di polvere e sangue, di ipocrisia e malignità; o semplicemente perché sono troppo grandi per poter vivere in un mondo così limitato. Certo è che i grandi amori vanno oltre, e a volte ritornano: per loro la fine di una vita non rappresenta mai un ostacolo.
Avevo sentito parlare dalla cara vecchia Rose, la nostra balia (Dio la benedica), della storia di Magdeleine ed Edmund, due amanti persi ai tempi del lontano ed impolverato 1515, che ancora oggi si aggirano per le vie del castello di Ashford tormentando gli eredi di coloro che li portarono alla morte. Mi piace immaginare questi amori antichi e più forti delle montagne come sprazzi di energia divina racchiusi tra un bacio o un abbraccio, quasi sempre finiti tra strade o roghi dimenticati da tutti. L’eternità esiste solo per loro, che continuano ad amarsi anche dopo quella vita, falciatrice di morte dei loro patetici ed istrionici desideri.
Ricordo di quando Rose mi rimboccava dolcemente le coperte con quel suo tocco leggero, e mi diceva che se non avessi dormito, gli spiriti di Magdeleine ed Edmund sarebbero venuti a prendermi durante la notte; mi mise una tale paura addosso, che se qualche sera non mi capitava di addormentarmi immediatamente, vedevo mani d’avorio sul guanciale e sentivo urla strazianti dovunque. Ah, quanto mi manca la cara vecchia Rose! Passavamo lunghi pomeriggi a raccontarci storie e a ridere di questo o di quell’altro per poi bere del tè in compagnia di qualche sua amica stramba (quasi sempre di Dingle, dove prima abitava), vestita in modo impeccabile e con addosso grandi cappelli piumati da far invidia ad un pavone.
Ciò che ricordo bene di lei, è che quando parlava non ti guardava mai negli occhi; mirava a un punto lontano, e la mia impressione era che vedesse davvero ciò di cui raccontava. Soprattutto succedeva quando mi parlava di suo marito, morto in guerra pochi anni dopo il loro matrimonio, o di sua sorella Vivienne annegata in un fiume all’età di 8 anni. Credo fosse rimasta traumatizzata da queste due tragedie, perché Rose non è mai stata del tutto normale; molti la consideravano pazza perché parlava da sola, e aveva uno sguardo spiritato che ti metteva la stizza addosso quelle poche volte che ti fissava negli occhi. Per me Rose era normalissima, anzi, anche più che normale, e per questo molti la consideravano psicopatica; non ho mai pensato fosse pazza nemmeno quando mi raccontò di aver visto per davvero Magdeleine ed Edmund aggirarsi nei dintorni del castello di Ashford, la notte in cui morì sua sorella. Era un argomento ricorrente durante le nostre conversazioni pomeridiane, ma poteva parlarne solo quando mia madre era assente o l’avrebbe fatta rinchiudere in un manicomio, ne sono certa.
Rose morì all’età di 84 anni a Dunkeld, in Scozia. Seguì la sorte di sua sorella e annegò sulla riva nord del fiume Tay; furono ritrovate cinquanta lettere nella sua borsa tutte indirizzate a John, suo marito, e in cui gli raccontava i suoi disagi quotidiani e le sue preoccupazioni più recondite, che non confessò mai a nessun altro nella sua vita. Quello che non fu mai scoperto è se si trattò di suicidio o di omicidio; io non credo che Rose abbia voluto intenzionalmente annegare in quel fiume, e se avesse davvero voluto farlo, non sarebbe stato lì; non lo credo nemmeno lontanamente. La cosa più sconvolgente, e che tormenta ancora oggi le mie notti insonni, è che al momento del ritrovamento del corpo, uno strano silenzio tombale fu rotto da un grido straziante proveniente dal retro della cattedrale di Dunkeld, che urlava il nome di Rose; poco dopo furono visti aggirarsi quelli che si ritiene fossero gli spiriti di Magdeleine ed Edmund, mano nella mano e con un fuoco di ghiaccio negli occhi tale da far scappare a gambe levate senza un minimo d’esitazione tutti quelli che si trovavano sul posto. Cosa ancora più sconvolgente, è che i due non si erano mai spostati dal castello di Ashford, eterno luogo di ritrovo dei due amanti, sorta di eco lontana perdurante nei secoli della loro morte. Come si dice? A volte i fantasmi della nostra mente si proiettano all’esterno, e nulla è più terrificante di quei mostri che si ritrovano nella pungente aria della libertà, dopo essere stati a lungo rinchiusi in spazi angusti e malati; il loro orrore non si è mai rivelato così bene quanto fuori dalla nostra mente.
Ma ora è il momento di lasciare Rose fuori da questa storia, e di narrarvene un’altra; una tragica e straziante storia, che vede una bambina di nome Magdeleine Leighton, nascere nei pressi del villaggio di Cong, una sera d’inverno del 28 dicembre del 1485 da James e Mary Leighton, contadini ridotti all’osso e stremati dalla perenne malasorte. Quando Magdeleine nacque, decisero di fare il possibile per darle una vita degna d’essere vissuta, ma essere dei semplici contadini non bastava; l’economia stava crollando sotto l’incompiuta conquista dei Normanni e gran parte dei nativi Gaelici erano stati espulsi dalle varie regioni del paese, e rimpiazzati con contadini e lavoratori inglesi. James e Mary si videro costretti a vendere tutti i loro averi per condurre una vita dignitosa; e così fu per almeno 10 anni, quando l’inaspettata e non voluta nascita di un secondo figlio, stravolse la loro vita tranquilla. Chiamarono il secondo figlio William; questi si rivelò essere un bambino capriccioso ed insolente e, al contrario di Magdeleine, che aveva un temperamento paziente e generoso, Will era piuttosto egoista ed era solito serbare un linguaggio volgare e sprezzante nei confronti dei genitori (meno che per Magdeleine, verso la quale era sempre molto affettuoso). Magdeleine soleva aggirarsi nei dintorni dei boschi frondosi oltre la campagna, e nelle sue lunghe passeggiate si spingeva a volte oltre le grandi piattaforme calcaree su cui si ergeva alta e maestosa una grande statua raffigurante una donna con un ampio vestito fatto di onde, molto probabilmente eretta da agricoltori pagani nei secoli precedenti. Spesso provava un gran conforto nell’ osservare quella statua, e a volte le rivolgeva addirittura qualche preghiera; sperava che la donna potesse ascoltarla e aiutare la sua famiglia a risollevarsi dalla crisi, e promise che anche lei avrebbe fatto di tutto per migliorare le condizioni misere in cui riversava. Chiedeva di aiutare il suo William a diventare un bambino più coscienzioso e più responsabile, pur sapendo che una statua non avrebbe mai potuto realizzare ciò che lei sperava in cuor suo. Divenne presto un’artigiana, grazie alla tecniche imparate presso la scuola di Jim Crawley, famoso metallurgo e alchimista che verrà bruciato al rogo 10 anni dopo come eretico. Grazie al suo talento naturale per la fabbricazione di cesti e con un pane che non tardava mai a mancare, la famiglia Leighton visse felicemente altri 7 anni della sua vita, fino a quando in un pomeriggio afoso del 16 agosto 1501, durante una spedizione di guerriglieri per ordine di Enrico VII, la terra della contea di Galway non fu macchiata dal sangue di centinaia di irlandesi, tra cui quello di James e Mary Leighton, con il fantasma della speranza ancora impresso sui loro volti gonfi e violacei. Il grande masso in bilico che minacciava di schiacciare la famiglia Leighton, si era ormai abbattuto sulle vite dei loro figli, soli ed in preda alla disperazione. Furono anni duri per Magdeleine e William, l’una costretta a procacciarsi viveri inesistenti e a badare al fratellino che intanto s’era fatto più paziente e malleabile, l’altro a scoprire un nuovo mondo fatto di ingiustizie e corpi lasciati a marcire al vento. Solo chi ha vissuto davvero la tragicità di queste situazioni, può capire la disperazione negli occhi di questi due poveri ragazzi, entrambi ingenui ed immersi in un mondo molto più grande della loro capacità di adattarvisi. Ci sono cose che non possono essere spiegate attraverso la fragilità della scrittura, né tantomeno raccontate; situazioni che provocano squarci ed ingiustizie nelle vite di chi le vivono, vuoti incolmabili e lacerazioni così profonde da non poter essere più risanate, ferite che ci si porta fino alla fine dei giorni come trofei di guerre finite con sangue e lacrime e urla. Questa era la situazione di Will e Mag nel lontano 1497, quando le ferite non potevano essere disinfettate e il dolore lacerava le carni e spezzava l’anima. (continua...)



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Racconto scritto il 27/04/2012 - 21:08
Da Giorgia Deidda
Letta n.1823 volte.
Voto:
su 10 votanti


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