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IL CASTELLO DALLE CENTO STANZE

C'era una volta un castello con cento stanze, pieno di voci di bambini , di giochi spensierati, di raggi di sole che bucavano i fragili vetri, di fogli e pastelli colorati, di albe cristalline che sussurravano parole gentili, di lunghe giornate d'estate, giornate lontane...troppo lontane da casa.
La bambina si allontanava sempre da qualunque cosa somigliasse ad una folla, cercando un luogo in cui sentirsi a suo agio, per lei una sola persona intorno era poca, due...erano troppe. Lei sola bastava a sé stessa, ma aveva sempre bisogno di risposte, di conferme, di un modo per dimostrare al mondo la sua meraviglia di vivere.
La mattina si alzava prima di tutti dal letto per udire la voce delicata della luce che sussurra alle sue creature il buongiorno, per ascoltare il mondo svegliarsi piano piano, per vederlo mentre, ancora assonnato si stropicciava gli occhi sbadigliando. Quasi come avesse un segreto appuntamento con il sole, nel momento stesso in cui arrivava lei doveva aspettarlo sulla porta per poterlo salutare prima che tutti gli altri le passassero davanti sgomitando e spingendola in un angolo, lei voleva che il sole si accorgesse della sua esistenza, voleva fargli sapere ogni giorno che c'era ancora, prima che il mondo la nascondesse come faceva sempre. Ed era sempre l'ultima la mattina, a lasciare la stanza poiché non aveva amici che la prendessero per mano camminando piano, i bambini non hanno pazienza di aspettare chi non ha fretta di crescere.
Ma nonostante tutto lei non era una bambina fragile, quella che i grandi giudicavano come un anomalo stato di 'solitudine' era in realtà la scelta autonoma che lei aveva fatto istintivamente di imparare il mondo, così pieno di stimoli che la circondava, niente sfuggiva al suo spirito di osservazione ed alla sua intelligenza vivace, che veniva stimolata dai cinque sensi che tutti abbiamo, e da un sesto....che possedeva lei soltanto, quello di "sentire" le emozioni in un modo sproporzionato al resto del mondo. Lei sentiva le emozioni come se avesse avuto un amplificatore sul cuore.
Poi un giorno qualcuno la vide, attraverso i vetri opachi che aveva costruito intorno, e incise una piccola apertura dalla quale la chiamò con voce dolce ed amichevole. Sapeva d'istinto come fare, con le persone così, non sembrava qualcuno che avesse studiato per imparare a farlo.
"Oggi ti porto con me a fare il giro del castello, perché sei una bambina speciale!"
Era la prima volta che una mano si allungava nella sua direzione, e la bambina che era di natura piena di curiosità e voglia di conoscere il mondo allungò la manina senza esitare e senza bisogno di coraggio, perché erano stati il sua papà e la sua mamma, prima di lei, ad affidare le sue piccole mani alle braccia amiche, ed accoglienti di quel gigante buono.
Il gigante guardava spesso la bambina mentre si allontanavano dai suoni del resto del mondo, ma la bambina al contatto con la sua mano cominciava a percepire sensazioni strane, contrastanti, che non riusciva a decifrare. Aveva gli occhi fissi sul pavimento, perché non voleva imparare a memoria quella strada che forse un giorno, sarebbe stato impossibile dimenticare. Guardava quei passi grandi che attraversavano calmi il lungo corridoio senza nulla, non vide nemmeno una porta, e mentre i suoi passi piccoli correvano a fianco per mantenersi a pari, cominciò a domandarsi dove fossero le cento stanze che si era sempre immaginata in quel castello....ma erano troppo lunghe quelle gambe e troppo grandi quelle mani.....e le sue domande, formulate a voce troppo bassa, il gigante non le sentiva nemmeno.
Dietro le spalle le voci degli altri bambini erano sempre più lontane e nel silenzio, e nella penombra che le veniva incontro, la bambina avvertiva solo i soffici passi dell'acerba innocenza rubata, con la delicatezza nauseante di un meschino e premeditato inganno.
Parlava il gigante, ma la sua voce non aveva più suono ed il suo passo non produceva più alcun rumore, il suo respiro si percepiva appena, quasi non esistesse, eppure aveva la bambina nelle mani come un uragano che arrivando all'improvviso imprigiona un ramoscello scatenando la sua furia su ogni sua foglia o gemma, su ogni molecola del suo essere, distruggendo tutto.
Non si possono vedere i lividi provocati da certi gesti, che a volte sono tanto tremendi da lasciare segni ed impronte ovunque come un recinto spinato intorno all'anima, gesti che durano un attimo e che sporcano i sogni e lacerano i pensieri senza limiti di tempo, e intorbidiscono i ricordi, che diventano oscuri nell'estremo tentativo di farci vedere di meno, di salvarci la vita, ma i ricordi che si confondono deformano i sogni, che presto diventano incubi...e dubbi...e pazzia.
I piccoli passi corrono ancora lungo lo stretto corridoio senza uscite, la loro eco produce un rumore assordante, insistente come la lancetta di un orologio che non si vuole fermare, che scivola e imbratta le pareti vuote, e i soffitti bassi e soffocanti, che sembra il disgustoso incedere di un serpente cieco, sinuoso e viscido, in perenne ricerca di quelle voci di bambini, senza mai riuscire a raggiungerle.
I piccoli passi continuano a fare rumore proprio lì dentro, cercando una via di uscita, ma non lasciano più impronte e spariscono nel nulla...e non diventeranno mai grandi... e non avranno mai pace.
Il castello aveva cento bellissime stanze ma quel giorno, tutte le porte rimasero chiuse a chiave dall'interno.



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Racconto scritto il 16/02/2016 - 18:43
Da Silvia Simona Biolcati Rinaldi
Letta n.1132 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


Ho ben compreso chi fosse il gigante buono, ma mai nel racconto/fiaba viene esplicitato direttamente, ed è qull'indefitezza che produce quell'atmosfera particolare che da spessore alla composizione. Un saluto

Luciano Bellesso 17/02/2016 - 13:20

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Spero che a vincere sia la toccante e riflessiva, un po' meno chiusa ma Sempre favoleggiante... Silvia.
Grazie Rocco, buonissima giornata anche a te.

Silvia Simona Biolcati Rinaldi 17/02/2016 - 07:22

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Un racconto che calca la quotidianità assurda dell'oggi. Sarà il tuo stile favoleggiante a vincere o la toccante et riflessiva chiusa, ancora a soccombere?
Lieta giornata Silvia.
*****

Rocco Michele LETTINI 17/02/2016 - 06:41

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Ciao Luciano, ti ringrazio della tua critica positiva, ma forse dovresti rileggerlo con più attenzione, il gigante é buono solo in apparenza, visto con gli occhi di una bimba che però dentro di sé avverte il pericolo, e l'epilogo triste ed angoscioso ne é la prova. É un racconto steso in forma di fiaba, una favola un po' macabra che però ha la presunzione di far riflettere un po' tutti gli adulti sugli atteggiamenti ed i comportamenti di alcuni bambini maltrattati o peggio ancora abusati, e che saranno gli adulti, mai cresciuti, di domani.

Silvia Simona Biolcati Rinaldi 17/02/2016 - 03:39

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Un racconto, una favola, un po' l'uno un po' l'altra, un po' misterioso anche, chi è il gigante buono?
La composizione è tutta nella particolare e quasi rarefatta atmosfera creata. Convincente dunque. Complimenti e saluti.

Luciano Bellesso 17/02/2016 - 01:44

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