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La lucciola d'oro

Faceva un gran caldo nella buia desolata biblioteca della periferia della città. Peraltro si trovava anche nel seminterrato, cosicché il freddo ma umido odore di spifferi di muffa veleggiava attorno agli scantinati, costeggianti le porte della sala della biblioteca. Ove erano riposti gli arretrati, vecchissimi manuali custoditi entro custodie a vetro, ormai anche più che cent'anni ma lucide placcate di un olio di lino che svaniva di un lontano secco odore di alcool fra i lunghi corridoi circolari.Di tanto intanto ne usciva qualche esemplare richiesto ora da quel maestro, ora da quel professore, qualcuno portato o donato dal prete, che non ne sapeva esattamente la ricchezza dei contenuti e la gestione di ogni tipo di testo, accuratamente affidato al bibliotecario, ormai da più di cinquant'anni saliva e scendeva per quella scala circolare laccata di mogano, tra il quarto ed il primo piano degli scaffali. I libri secondo gli argomenti, secondo le tipologie, secondo le metodiche venivano collocati in ordini alfabetici. Chiunque, dal più grande al più piccolo poteva disporre fino alle sette di sera di ogni avventura letteraria, chiarimento partecipazione a cui ciò se ne sarebbe occorso per la vita di ogni giorno, come le varianti delle ricette dei piatti di carne dalle nonne, che vissero anni e anni prima, si utilizzavano le spezie in quantità superiore ma non in numero per piatto. Ci si sedeva sui tavolini circolari al tenue raggio della luce filtrata da lunghe tende ocra, si accendeva la lampada verde e scendeva un silenzio morbido che dava spazio alla riflessione e al rispetto per gl'altri in lettura nella sala. Purtroppo l'aiutante del bibliotecario, appena un decennio di lavoro, da mesi si ammalò e morì. Non era nemmeno vecchio ma il suo male congenito non gli lasciò scampo, proprio come suo padre. Morì di diabete.
Trascorsero mesi da quando il vecchio bibliotecario dovette rimanere ad adempiere alla sua mansione da solo, fino al momento che sua figlia, appena diciottenne, Anna, decise di pubblicare degli annunci da appendere un pò ovunque, con scritto, “chiunque avesse disponibilità ed una discreta esperienza in campo bibliotecario, potrebbe presentarsi nella biblioteca comunale, appena fuori città”. Dopo qualche settimana con il bigliettino in mano e tanta partecipazione, si presentò al bibliotecario, Fernando, un giovane bello intellettualmente vigoroso, con i capelli lunghi, dalla camicia giallina, proponendo ciò di cui ne era a conoscenza, e consultando il vecchio bibliotecario, sui metodi gli orari i compensi. L’anziano ne fu molto felice, l’aria che emanava Fernando era un’aria familiare, vicina propensa a tanta collaborazione partecipe ed entusiasta del loro impiego lavoro che riscuoteva anche una certa responsabilità, nell’ambito sociale racchiudendo, per ovvie cause della cultura tutte le fasce d’età dei loro clienti. Un servizio che si tramandava un pò come padre e figlio, forse Fernando era il figlio che lui, il bibliotecario avrebbe sempre voluto avere. Soprattutto perché da quando che lui ed Anna sua figlia rimasero soli per la perdita della madre, non ebbe più nessun’altra possibilità di allargare quella cerchia familiare a cui sentiva d’appartenere, come quei tanti bambini che insieme venivano a procurarsi i materiali per le ricerche, felice consultava le loro idee i loro intenti ed interessi, ma non potevano essere suoi figli. Anna crebbe quasi indisparte al trascinamento delle mode attuali, una ragazza colta ed intelligente che si rimproverava spesso la non totale disponibilità verso ogni cosa che potesse riguardare il mettersi a disposizione per l’altrui interesse. Fu lei che dopo la morte della madre prese in mano le redini della situazione, trascinando dal baratro suo padre da una vita ormai disperata, ritrovandosi solo in due, si occupò nonostante l’età di ogni cosa lasciando riadattare suo papà ad una vita che piegava in modo diverso. Di rado tentava anche di adoperarsi alla pulizia della biblioteca, ed in quel momento che era giugno decise di fare un salto da suo padre con lavavetri e pezzette. Erano le sei di mattina. Indaffaratissima dopo aver pulito i tavoli di lettura, passò allo spolverare dei testi e degli scaffali ed infine armata di secchio e straccio si mise a pulire tutto il corridoio circolare del seminterrato, fino alle porte che portavano agli scantinati. Tutta sudata e rosea sulla pelle, con la camicetta ripiegata nelle maniche, una sfumatura di capelli castani che le ondeggia sul suo delicato volto, ancora un’altra sciacquata chinata sullo straccio, e dalla tenue giallina luce di quelle lampade appese al muro del corridoio, entra Fernando. Che rimane a guardarla dall’inizio della porta socchiusa, si guardano entrambe come un lampo i loro occhi si fondono nello stupore e nella meraviglia, si presentano. Fernando rimaneva semiestasiato al dolce suono della sua voce che gli sembrava raccontarsi una ninna nanna per farlo assopire, Anna mentre che parlava di suo padre del suo lavoro e dei suoi studi rimaneva incantata a guardarlo come ad aspettare che sue splendide labbra potessero ancora muoversi per parlare. Anna finisce la sua pulizia vanno nello studio ed il padre con gli occhi di una lucida speranza, barlume davanti a se di una coppia già creatasi ancora prima di nascere, offre un tè. Si siedono distendendosi sulle poltroncine marroni, davanti al tavolinetto circolare, il padre documenta Fernando sui risvolti della giornata nella biblioteca, sui testi e sui libri da ritirare. Anna si alza, porge delicatamente la mano a Fernando, scendendo un sorriso di emozione sui suoi occhi che vi rimanevano plasmati nei suoi, da un bacio al padre e va via, socchiudendo la leggera porta vetrata dal piccolo campanellino d'orato.
Il nuovo bibliotecario aveva l'emozione accesa, qualunque cosa facesse aveva lo sguardo di Anna di fronte, sui libri sulle porte sulle altre persone. Anna tornando a casa si sentiva molto rallegrata sembrava aver conosciuto un fratello sul quale poter fare affidamento, anche da spalla al povero anziano padre al quale cominciava a mancare qualche forza, nella strada di casa lo immaginava suo marito, per mano chissà dei bimbi, con i libri in mano ideava qualche curiosità che poteva domandare a Fernando. Lui dopo cena si andò a sdraiare sul tetto di casa, passando dalla finestra a lucernario, sognava, osservava le stelle con i sogni di un ventinovenne, pensando al presente o se invece fosse un nuovo futuro, tra testi biblioteche e l'amore. Francamente nessuna lo aveva colpito folgorandolo delicatamente come lo aveva colpito Anna, in quel momento si pensavano allo stesso modo con la stessa emozione di un sentimento nuovo di cui non ne erano ancora pienamente a conoscenza, si erano baciati nell'animo. Qualche giorno dopo appena terminato il lavoro verso le otto e mezza, decise di andare a trovarla, voleva vederla. S'incammina fino al viale con il cancello della piccola casa a due piani, costeggiata da un giardino con qualche albero da frutto e una fontana con al centro una statua dove gironzolavano pesci rossi. Ma nessuna risposta, visto che anche il padre era fuori. Tenta un momento di riflessione. Anna lo chiama da dietro, dal viale, rientrava dall'università. Con una cinghia a fibia che tenevano due libri, il vestito ciliegio, apre il cancello attende che esce. I loro sguardi fusi nella stessa emozione, gli dice "sapevo che saresti venuto". Dai fiori di campo lì vicino una delle prime lucciole di quel giugno si alzò in aria, traversando i loro volti che si guardavano, nella rosea luce del sole che tramontava l'orizzonte, Anna gli poggia un bacio caldo sulle sue fresche labbra sorridenti, lasciando ogni attimo alla nascita di un'intramontabile infinita alba nei loro giorni avvenire.



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Racconto scritto il 24/04/2016 - 08:38
Da Luca Di Paolo
Letta n.1032 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


Che bella la figura di Ferdinando, che uomo interessante. Sono rimasta colpita...tutto il racconto è bello, con descrizioni minuziose e precise. Complimenti... massimo voto.

Angela Avella 24/04/2016 - 10:52

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