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L\'ORA DI GINNASTICA

Ho fatto quattordici anni di scuola e non sono quindi quello che si dice “su puthu ‘e sa sapientzia”, il pozzo della sapienza, ma mi piace ascoltare ed attingere dall’altrui cultura.


Cinque anni alle elementari, tre alle medie e sei al Tecnico Commerciale. Sì, sei perché il primo anno mi era piaciuto così tanto che decisi di ripeterlo. Venni rimandata in tre materie e quell’estate diventai ancora più abbronzata degli anni precedenti ed è in quell’anno che mi consacrai alla lettura. Ma non allo studio.
A settembre mi recai tremante all’esame di riparazione, pregando i santi perché compissero un miracolo ma ne uscii umiliata, dal Cielo e dalla terra. Sono poi, a fatica, diventata una ragioniera e la mia impreparazione è tangibile, visto che i conti non mi tornano mai.
Ma non è del mio scarso rendimento scolastico che vi volevo parlare, quanto invece di non aver, in tutti quegli anni di scuola, visto e frequentato una palestra. E questo non perché fossi inabile alla materia, ma semplicemente perché la palestra nelle mie scuole non esisteva, in genere veniva ultimata e collaudata sempre dopo che avevo finito di frequentare quella scuola.
Alle elementari non esisteva come disciplina ma nel cortile, durante la ricreazione facevamo di tutto, dai giochi alle risse, per poi rientrare e farci medicare dal bidello, il giovane e premuroso Piero, che un incidente stradale ci portò via troppo presto.
Dopo l’intervallo il grembiule di noi femminucce, era una tela bianca imbrattata di sangue, polvere e di qualche deiezione dei passeri che non sbagliavano mai un lancio, mentre il fiocco rosso, quello che all’ingresso alle otto era bello e inamidato da sembrare un jet davanti al viso, dopo l’intervallo sembrava un mocio vileda raccolto dalla spazzatura.
Io, Susanna e Paola eravamo quelle più in carne per cui i nostri grembiuli, oltre alle macchie avevano perennemente le asole strappate così da sembrare, al rientro in classe, le figlie di nessuno.


Per quanto riguarda le medie invece, l’istituto fu completato prima dell’apertura del mio secondo anno. Fino ad allora le medie del mio paese erano dislocate in vari appartamenti disseminati nei diversi quartieri e la location dell’ora di ginnastica variava a seconda della zona: le rive del fiume per i più fortunati, il campo sportivo in terra battuta per altri, il cortile dell’appartamento per altri ancora, dove il padrone di casa vi accedeva senza problemi per prendere la carriola e gli attrezzi dell’orto, ma mai una volta che vi lasciasse il raccolto.

Quando l’istituto fu completato confluimmo tutti lì, ma la palestra non esisteva, anzi a dirla tutta non era neanche stata progettata, per cui l’ora di ginnastica era un affollamento di classi lungo la strada che portava alle campagne, quella su cui affacciava un grosso allevamento di polli così che dopo una pseudo corsa ci si fermava e tra un “espira e inspira” ed un chicchiricchì inalavamo gli olezzi nauseabondi.
In quei tre anni delle medie più che scolari sembravamo piccoli agricoltori, perché la strada passava per campi ed orti cosicché, dopo aver saltato i muretti a secco, potevamo approvvigionarci seguendo il corso delle stagioni: uva ad ottobre, cachi a novembre, arance tutto l’autunno fino quasi a primavera quando allungavamo le braccia sui mandorli a raccogliere sa cucuta, le mandorle ancora verdi e morbide da aprire con i denti, fondendo così il salato del guscio con il dolce dell’interno. Veniva poi il tempo delle ciliegie e delle fragole ed allora era corsa sul serio, ma verso i bagni.
Sulle nostre maglie erano sempre impresse, come in un variopinto disegno, le impronte delle mani, non avendo altro su cui pulirle le sfregavamo una, due volte, per poi finire il lavoro sui jeans.
Naturalmente rientravamo in aula tutti sudati e con sentori di agrumi, o di mandorle, come nei bouquet dei migliori vini, con vaghe interferenze di escrementi di polli. E visto che alla campagna ci eravamo abituati, fu organizzata la gara campestre in un’altra zona del mio paese, anch’essa ben coltivata: dimenticammo il traguardo e ci infilammo in un orto, perennemente affamati come lupi. Per anni quel diploma di partecipazione alla gara fece bella mostra in camera mia a ricordarmi traguardi diversi.


L’ora di ginnastica in campagna si faceva con il bel tempo, mentre quando pioveva eravamo costretti ad affollare l’aula magna, dove nell’ultimo anno era stato posizionato il materasso per il salto in alto. Non ho mai capito come gli insegnanti avessero potuto avanzare certe pretese nei nostri confronti: l’unico posto alto in cui avrebbero potuto vederci era sopra gli alberi e mai saremmo riusciti ad alzarci in volo e superare quell’asta.
Infatti di lì a poco quel materasso scomparve e durante la pioggia riprendemmo a stare in classe a sputtacchiarci palline di carta con le bic, almeno finché non faceva irruzione il preside e ci faceva la nota.


Al tecnico commerciale, essendo l’istituto vicino alle medie, la sinfonia fu la stessa: campagna ed orti fino a spostarci, vista l’età più matura, nella vicina pasticceria o al Roxy bar a mangiare salatini e bere Ichnusa attorno ad un tavolino.


E dopo quei quattordici anni di scuola non mi sento orfana della palestra, perché l’ora di ginnastica è sempre stata una bella avventura, un bouquet di meravigliosi profumi ed un tripudio di indimenticabili sapori.


Millina Spina, 16 Giugno 2016




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Racconto scritto il 16/06/2016 - 20:39
Da Millina Spina
Letta n.1273 volte.
Voto:
su 6 votanti


Commenti


Carissimi amici miei,
vorrei rispondere singolarmente ad ognuno di voi, ma si sa il tempo è tiranno. Però voglio stringervi in un sentito ed amichevole abbraccio: Nadia, Rocco, Patrizia Brogi, Lupo, Donato, Mary, Rosa, Salvo e Margherita.
Siete il mio momento di pace in un mare di stress (ma bello stress), siete la mia felice palestra!
Grazie di cuore a tutti!

Millina Spina 17/06/2016 - 19:39

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Cara Millina il tuo racconto è una vera letizia...gioia infinita, cosa c'è di più bello di stare a contatto con la natura e cibarsi di frutta!
Simpatico e solare, meno male che la palestra non c'è stata! Ciao un abbraccio

margherita pisano 17/06/2016 - 18:53

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Cara Millina,
il racconto va inserito nella cartella "simpatici" dove ci metti tutti gli altri da te fin qui pubblicati. Che dire della palestra, se non che ti è servita a capire come la vita deve andare. D'altronde dicono che il concime di polli e ovini, in genere, aiuta la crescita. Un abbraccio alla tua dolce spensieratezza di ragazza e all'umanità di adulta. 5* dal tuo amico Salvo

salvo bonafè 17/06/2016 - 17:47

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Che fortuna la mancanza della palestra! E che "goduria" l'alternativa! Bello il tuo racconto, si fa leggere con molto piacere, tra memorie e ricordi in diversa misura condivisi.5*

Rosa Chiarini 17/06/2016 - 15:50

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Bel racconto cara millina simpatico e divertente.L hai scritto così bene che sembra ieri che eri a scuola un abbraccio

Mary L 17/06/2016 - 12:21

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Complimenti, bello scorrevole, piaciuto 5*

donato mineccia 17/06/2016 - 11:31

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bel racconto molto brava

POETA DELL'AMORE LUPO DELL'AMI 17/06/2016 - 11:06

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Racconto divertente,lettura piacevole e scorrevole...Ho fatto il tuo stesso percorso scolastico,purtroppo negli istituti da me frequentati la palestra c'era...5

patrizia brogi 17/06/2016 - 09:09

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L'ORA DI GINNASTICA ERA UN GIOCO DI SQUADRA... CHE PORTAVA ALLEGRIA... PER UNA PUR ENTUSIASMANTE VITTORIA (Pallavolo o Pallacanestro)... non un gioco individuale. che portava invidia e qualche melanconia.
Letto con piacere.
Il mio elogio e la mia lieta giornata Millina.
*****

Rocco Michele LETTINI 17/06/2016 - 08:51

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Cara Millina mi è piaciuto tanto il tuo racconto, sono dei bei ricordi e direi anche molto originali e simpatici, scritti nel tuo consueto stile fluido e frizzante.
Grazie per averceli offerti in questa tranquilla mattinata in cui odo solo il ritmico cinguettio degli uccellini. Ora c'è un'allegra sinfonia nell'aria...sono i tuoi ricordi che mi parlano
Complimenti
Nadia
5*

Nadia Sonzini 17/06/2016 - 07:31

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