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Lo scrivano dell'archivio

Lo scrivano dell’archivio


Con indomito coraggio, il cavalier Spaccaossa, aveva risposto al richiamo del suo re, ed ora era lì, nel mezzo della pugna, a menar fendenti per conto del suo duce, e a cercar imperitura gloria sol per se.
Duelli all’arma bianca, sferragliar di lame contro le corazze, grida d’incitamento e urla di disumano dolore, sangue e corpi feriti, smembrati, sparsi in ogni dove: immagini e colonna sonora dell’aspra contesa.
Duellava, il fiero Spaccaossa, tirando colpi di spadone con animoso impegno, contro l’armigero della parte avversa che non intendeva esser trapassato dalla sua lama, - ha la forza di cento leoni, chi sarà mai costui, forse il redivivo Achille? -, si chiedeva menando inutili fendenti che parevano infrangersi contro la lucente corazza, come gocce di pioggia sulla dura roccia.
Quand’ormai, esausto e rassegnato, si stava preparando al peggio, un fortunoso fendente, trovando un pertugio tra le placche della corazza, penetrò nel fianco del monumentale avversario.
Cadde sulle ginocchia senza un lamento, lì rimanendo come statua immobile, e il sangue sgorgando copioso, scorrendo sulle argentee placche andò a colorar di rosso il verde del prato.
Inebriato dall’aspro sapore della morte e dal profumo della gloria, Spaccaossa estrasse la spada dal fianco del rantolante avversario e, dopo avergli sfilato l’elmo per goder dello sguardo di un uomo che muore, appoggiandola tra il collo e la spalla dell’immoto armigero, s’apprestò a privar della testa l’ormai esanime corpo.
Con urlo disumano, il prode Spaccaossa accompagnò il rotear dello spadone e, quando la lama giunse in prossimità del collo, serrò le palpebre per non esser investito dagli schizzi del vermiglio liquido.


“Qual enorme stregoneria, sarà mai codesta!”, esclamò stupefatto sgranando gli occhi.
Davanti e intorno a se, né compagni né avversari di pugna, nemmeno odore di morte o grida di dolore; solo silenzio e profumo di sottobosco.
Provò a estrarre la lama da quello che avrebbe dovuto essere un collo umano, ed ora aveva assunto forma e sostanza di un possente tronco.
“Che diamine, manco fosse roccia!”, esclamò, tirando e sbuffando come un ossesso.
Ma la lama non si mosse dalla sua nuova e, forse, definitiva sede.
Stanco e sudato, Spaccaossa mollò l’impugnatura e gettò a terra elmo e corazza: “In qual immensa selva son precipitato?”, si chiese sgomento, girando lo sguardo all’intorno.
Una fitta foresta, penetrata a fatica da rare lame di luce, lo sovrastava: quasi a voler inglobar l’intruso.
“L’ingresso degli inferi!”, gridò correndo tra gli alti fusti.
Corse a perdifiato in mezzo a quella selva senza fine, sino a quando, sfiancato e impaurito, chiudendo gli occhi s’accomodò sull’umido muschio appoggiando la schiena alla corteccia d’un albero ad alto fusto; e li attese che il demone lo fagocitasse.
Passarono lenti, dieci e più minuti, - forse il mio ardor guerriero ha spaventato anche il demonio. -, pensò, alzando timidamente la palpebra destra.
Dalla fessura un’accecante luce penetrò lesta: “Son fuori dalla foresta?”, si chiese.
Spalancò entrambi gli occhi: “Codesto mi par tutto l’opposto dell’inferno, e quel vecchio seduto sulla soglia, non sembra possedere sembianze di demone fagocitatore.”, disse, osservando sbalordito la vasta area prativa nel mezzo della selva.
S’alzò da terra, e marciando con passo marziale giunse al cospetto del vecchio incanutito che, lisciandosi la lunga barba, alzò appena un sopracciglio.
“Che ci fa un vecchio senza età, con indosso un bianco saio, seduto sull’uscio della sua modesta casa?”, chiese incuriosito Spaccaossa.
Il vecchio si alzò e, penetrando con occhi liquidi color del cielo dentro lo sguardo, rispose con voce corposa ed avvolgente: “Attendeva che qui giunto, gliene chiedessi conto.”.
“Attendevi me! Son dunque morto?”, sbottò guardandosi nel corpo Spaccaossa.
“No, non lo sei!”, lo rassicurò il vecchio, spiegando che: “Se, vedi, parli e pure ascolti, non lo puoi essere.”.
Rassicurato, Spaccaossa ritrovò l’antica baldanza: “Io rappresento il mio re!”, esclamò impettito, poi, puntando l’indice contro il vecchio gli chiese: “E tu, chi rappresenti?”.
Il vecchio sorrise e, scuotendo il bianco capo, rispose: “Io rappresento me… qui non esistono re!”.
“Questa è bella, son dunque finito nel regno dell’anarchia?”, chiese ancora Spaccaossa, con una punta d’ironia.
“So solo, che non sei più dov’eri, ma ora sei dove devi essere, precisamente qui, davanti a casa mia.”, fu la sibillina risposta del vecchio.
Innervosito dal criptico esprimersi del vecchio, Spaccaossa sbottò: ”Ora basta, con qual ardire osi prenderti gioco di un prode cavaliere! T’informo che, se vai cercando guai, ti posso accontentare! Falla finita e dimmi chi sei!”.
Il vecchio non si scompose: “Calma la tua arroganza, iroso cavalier senza cavallo.”, rispose calmo, senza privar comunque, d’una spruzzata ironica il suo discernere.
Spaccaossa s’arroventò in volto, strinse mascella e pugni sfoggiando l’ira funesta, degna d’un Achille de noantri, ma un attimo prima d’esprimer la devastante potenza… il vecchio, temendo che Spaccaossa potesse far del mal solo a se stesso, declinò le proprie generalità: “Io sono… no, ma che vai pensando, non il signore Dio tuo!”.
“Mi stai prendendo in giro, guarda che qui, finisce veramente male!”, urlò sbavando Spaccaossa.
“C’ho messo una punta d’ironia, tanto per alleggerire il clima… oh, ma è mai possibile che voi eroi da una palanca e mezza, per indossare la corazza vi dobbiate spogliare del senso dell’umorismo?”.
Frastornato da quel dialogo surreale tra sordi, Spaccaossa sferrò un potente pugno al muro della casa, spellandosi le nocche.
“Lo dicevo io, che avresti finito per far male solo a te stesso.”, disse il vecchio scuotendo il capo, poi, per evitare ulteriore dolore al povero Spaccaossa, lo accontentò: “Sono lo scrivano dell’archivio!”.
“L’archivio? Di quale archivio vai cianciando?”, chiese Spaccaossa, massaggiando le ferite autoinflitte alle nocche della mano destra.
“L’archivio della vita di ognuno.”, rispose serio.
“Anche della mia?”, chiese incuriosito Spaccaossa.
“Oh, ma sei proprio di coccio eh… non ho detto: di qualcuno, ma: di ognuno!”, rispose spazientendosi il vecchio.
“Va bene, va bene… non t’inalberare, ho capito; intendi l’archivio della vita e della morte dell’intera umanità… è così?”.
“Non proprio… ho detto della vita. La morte non è affar mio.”.
“E di chi sarebbe affare, la nera signora?”, chiese rinfrancato Spaccaossa.
“Forse degli uomini tuoi pari che amano pugnare?”, rispose con sarcasmo, invitandolo a pensare.
“Gli uomini che non pugnano, muoiono in ugual misura!”, tagliò corto Spaccaossa, prima di chiedergli: “E dove sarebbe sito, questo tuo fantomatico archivio?”.
“Oltre quella porta!”, esclamò il vecchio, indicando la porticina, bassa e stretta, della sua minuscola casa.
“Lì! Dentro quella specie di pollaio, sarebbe inscritta la vita dell’intera umanità!”, sbottò incredulo Spaccaossa.
“Se non ci credi, entra e guarda con i tuoi occhi.”, disse il vecchio, indicando il pertugio.
“Fammi strada, vecchio!”, esclamò baldanzoso Spaccaossa, e serrando la mano, aggiunse: “Ma ti avverto, se ti stai prendendo gioco di me, questa volta il mio pugno s’abbatterà su di te.”.
“Ti consiglieri di tenere a freno la tua arma autocontundente.”, disse il vecchio, per niente intimorito dalla minaccia di Spaccaossa, poi, abbassandosi, s’infilò nel pertugio.
Spaccaossa lo guardò entrare e subito dopo, piegando la schiena, lo seguì.

“E’ incredibile! Tutto questo può essere solo opera Divina!”, esclamò Spaccaossa, esprimendo nel tono e nello sguardo il suo immenso stupore.
“Questo non te lo so dire, io l’ho trovata così com’è ora, molti anni fa, quando fui chiamato a prendere il posto dell’anziano scrivano.”, disse il vecchio.
Spaccaossa vagò con lo sguardo sin dove la luce entrando dal pertugio lasciato aperto gli permise di arrivare; non v’erano né altre porte da poter aprire, né finestre ad illuminare le alte pareti e l’immensa volta in mattoni che pareva perdersi nelle viscere della terra.
Scansie alte più di cinque metri traboccanti di volumi, lungo pareti e sue due file al centro dell’ampia sala, adagiate sulla pavimentazione di pietra, correvano, chissà sin dove, fino a perdersi nel buio di un passato remoto.
Spaccaossa si avvicinò alla scansia più prossima: sul dorso di ogni volume era inscritto un nome.
“Presumo che il nome appartenga alla vita contenuta in ogni volume?”, chiese, indicando il nome sul dorso.
Il vecchio si limitò ad annuire.
“Posso sfogliarne uno?”, chiese ancora.
Il vecchio annuì nuovamente.
Spaccaossa estrasse un volume e osservò la copertina, un semplice cartoncino ingiallito dal tempo.
“Posalo sul leggio!”, ordinò il vecchio, indicandolo.
Spaccaossa lo posò e, scostandosi di lato, attese che il vecchio lo istruisse sul da farsi.


“Vai alla prima pagina!”, disse il vecchio, accostandosi al leggio.
Spaccaossa obbedì, guardò prima la pagina poi il vecchio, attendendo istruzioni.
“Lassù!”, iniziò dicendo, indicando dei numeri a sinistra subito sotto il margine superiore: “Puoi leggere la data d’inizio del narrato che troverai sfogliando il libro, mentre in basso a sinistra, nell’ultima pagina, leggerai la data di fine narrato. Quello da te scelto, è un volume molto corposo, narra di una lunga e proficua vita.”.
Poi indicò le scansie: “Ma la dentro, puoi trovare volumi composti da una sola pagina, con inscritto una data in alto a sinistra e una in basso a destra, prima del margine, e nel mezzo solo poche righe, a volte anche solo mezza, se narra di un pargolo vissuto per il tempo d’un unico respiro.”.
“E’ stupefacente… impossibile da credere se non lo stessi guardando con i miei occhi e sfiorando con le mie dita.”, disse Spaccaossa, sfiorando la pagina coi polpastrelli.
Lanciò un altro sguardo lungo le scansie: “Nemmeno mille amanuensi riuscirebbero a scrivere le storie contenute nei volumi stipati su una sola di quelle scansie… come lo può fare un uomo solo? E chi suggerisce a quest’uomo, cosa e come scrivere?”, si chiese ponendosi domande dall’impossibile risposta.
“Quel che posso dirti è che, io mi limito ad avvicinarmi al leggio, poi ad intingere, una sola volta, la piuma d’oca nel calamaio, dopodiché tutto si svolge come per magia, i volumi lasciano le scansie e la penna inizia a scrivere su di essi la giornaliera storia dell’umanità.”, provò a rispondere, per quel che gli era dato sapere, il vecchio.
“Dunque se tu non sai ciò che la penna scrive, se per ipotesi ti chiedessi come sono finito in questo incubo, non me lo sapresti dire?”, provò a chiedere, sconfortato, Spaccaossa.
Il vecchio indicò un leggio sul quale v’era un volume aperto: “Se vuoi trovare le risposte che vai cercando, ti basterà leggere l’ultima pagina del tuo narrato.”, fu la sibillina risposta del vecchio.
Spaccaossa esitò, ma il desiderio di capire fu più forte della paura di scoprire cose a lui poco gradite; s’approssimò con timore al leggio, con voce tremante lesse la data in fondo a destra, sospirò e, risalendo con lo sguardo lesse le ultime tre righe: “Se quello che c’è scritto qua dentro è vero… mi hai mentito dicendo che sono vivo.”, concluse rassegnato.
“Se parli sei vivo… o, perlomeno ancora dentro il margine.”, rispose il vecchio.
“Che vai cianciando vecchio! Qui v’è narrato che son morto infilzato all’alba, sul campo di battaglia… e il sole là fuori è ormai alto nel cielo!”, urlò inalberandosi Spaccaossa.
Il vecchio si avvicinò al leggio, indicò la data, poi, spostando l’indice sul margine inferiore, spiegò: “Tu stai vivendo il margine della tua vita.”.
“Il margine della mia vita! Ma cosa ti stai inventando, è bianco! Il margine è intonso, nemmeno un fottuto respiro ci sta scritto.”, urlò Spaccaossa, pestandoci sopra un gran cazzotto.
Il vecchio scrivano, che tante ne aveva viste e sentite, non si scompose e, con una calma disarmante, spiegò: “Non è compito né mio né della penna, scrivere oltre la data. Tu stai vivendo nei ricordi di chi ti ha amato, apprezzato o anche solo odiato. Soltanto quando l’ultimo ricordo si sarà spento, potrai uscire dal margine e cadere nell’oblio.”.
Spaccaossa ascoltò basito, poi, dopo una breve riflessione, tirò le somme: “Dunque finché qualcuno porterà seco il ricordo delle mie gesta, io vivrò, seppur imprigionato dentro quel margine. Potrei restar lì dentro per secoli, forsanche millenni, prima d’esser scordato dalla plebe… oppure per l’eternità se il ricordo delle mie guerresche gesta transumerà nel mito.”.
“Beh, adesso non t’allargare, che già di te si son scordati di rammentare.”, si premurò di fargli sapere il vecchio.
“Che vorresti dire, per una volta almeno, vedi di parlar chiaro!”, sbottò l’eroico Spaccaossa, che già pregustava, un posto al sole dentro il mito.
“Il margine l’hai ormai goduto, dentro l’oblio ora sei caduto.”.
“Intendi dire che di me, dopo neanche un giorno, persino il mio cane s’è scordato?”, chiese deluso Spaccaossa.
“Di te si son scordati pure i sassi che trovarono dimora dentro la tua cistifellea. Dalla data sovrimpressa hai impiegato più di trecent’anni per uscire dal margine.”, confermò il vecchio.
“Ora m’è tutto chiaro!”, esclamò illuminandosi lo Spaccaossa: “Fui infilzato trecento anni addietro, durante la mattutina pugna, poi continuai a vivere nel ricordo che si tramandarono le generazioni che seguirono.”, si tacque un attimo, il tempo per porsi l’ultimo quesito, che prontamente girò al vecchio scriba: “E or che tutto è stato scritto e pur scordato, cos’altro mi resta da fare, per chiudere alla grande?”.
“Or, come chi ti ha preceduto e chi ti seguirà, dovrai incamminarti lungo l’oscuro archivio.”, rispose il vecchio, indicando la galleria che si perdeva nel buio dell’oblio.
“Sarà dunque l’inferno che troverò là in fondo, l’ultima mia meta.”, sospirò Spaccaossa gettando lo sguardo sin oltre l’umano tempo.
“Io, che ne vidi a milioni, camminar dentro l’archivio sino a sparir nel buio più profondo, ti posso solo dire che, leggendo il libro delle loro terrene gesta prima di chiuderlo e riporlo al suo posto, non tutti trovai degni dell’inferno.”, lo rassicurò il vecchio.
“Vorresti dunque dirmi che laggiù, m’attende il paradiso?”, gli chiese pregno di speranza Spaccaossa.
“Non sto dicendo questo. Quel che si nasconde là in fondo, potrebbe esser il paradiso, l’inferno, il nulla… o financo una nuova e diversa vita. Lo scoprirai, quando ci arriverai… ma ora vai, che è venuto il tempo di chiudere e riporre il libro.”, rispose il vecchio scrivano.
Allora Spaccaossa, prendendo per buona solo la parte che più gli aggradava, immaginando giorni di pugna e gloria pure nell’altra diversa vita, s’incamminò sereno.
Il vecchio scrivano dell’archivio, lo seguì con pietoso sguardo finché lo vide svanir nel nulla, poi chiuse il libro e lo ripose sulla scansia.


FINE




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Racconto scritto il 17/06/2016 - 21:33
Da vecchio scarpone
Letta n.1447 volte.
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Commenti


Ti ringrazio d'averla condivisa.
Ciao Luciano

vecchio scarpone 19/06/2016 - 15:00

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Una favola scritta con perizia, piacevole da leggere, complimenti e saluti.

Luciano Bellesso 19/06/2016 - 14:30

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