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Undici Chilometri 3.

Barga era il contraltare di Renaio; era comunque vacanza, ma quando ci andavamo, tornavamo a vivere un’atmosfera novecentesca. Si poteva fare la spesa in più botteghe, comprare il giornale, essere circondati dalle case, vedere le auto, c’era anche la farmacia e in caso di necessità l’ospedale. Solitamente ci andavamo, quando anche babbo era in ferie, ogni quattro o cinque giorni e il 16 agosto per San Rocco, in auto, ma si poteva andare anche in pullman, o meglio con la corriera che partiva dalla piazza di Renaio alle 8.00 per ripartire dalla cittadina verso mezzogiorno. Una discesa indimenticabile in auto è stata invece una sera in preda ad un attacco di asma, fu una discesa verso la farmacia su una mini guidata da una cugina di Enrico, seduto sul sedile posteriore: sembrava di fare un rally, strada completamente libera e alberi che correvano di lato e che si aprivano davanti a noi illuminati dai fari.


L’arrivo al paese avviene oggi attraverso la nuova strada, un’autostrada in confronto a quella vecchia, da ogni punto di vista: larga con curve molto più dolci, non all’altezza dei tornanti di un tempo, che non permettevano di vedere chi veniva in senso opposto. Ogni curva un colpo di clacson o meglio le trombe, per avvertire chi stava per incrociarci.


Il cartello indicante la località Renaio 1013 m slm, scritta nera su campo bianco, sostituisce quello di un tempo, bianco su campo celeste, piazzato nei pressi della piccola discesa verso la piazzetta, una maniera impropria di chiamare una sorta di spiazzo ricavato da un terrazzamento prospiciente l’ingresso della casa locanda.


Il parcheggio è rimasto nella discesa che portava alla vecchia scuola elementare edificata durante il ventennio fascista e ora adibita a ostello, segno evidente della maggiore quantità di persone che popolavano un tempo, la montagna; ora si direbbe una cattedrale nel deserto, vista l’assenza di alunni che in passato occupavano le aule, anche se le classi erano solitamente composte di alunni di età diverse. All’esterno ancora i fasci littori e all’interno un mondo che non c’era più già quando siamo arrivati. I banchi erano quelli tutti di un pezzo, di colore legno chiaro o celestino, con la panca incorporata e il recipiente per l’inchiostro.


La struttura, già negli anni del soggiorno, d’agosto era data in affitto per i campeggi delle parrocchie. Era l’occasione per entrare e vederla, oltre che per fare un po’ di pulizia e usare i locali che sarebbero stati destinati alla rovina. Ne feci anch’io uno tragico di campeggio con una parrocchia di Pisa, finito dopo pochi giorni con febbre e vomito.


La locanda del paese non è più gestita dai vecchi proprietari, che hanno ceduto anni fa l’attività, ora è un agriturismo, ma i locali sono ancora quelli. Il bar, entrando a sinistra, è ora un semplice bar, ma trenta anni prima era la piazza al coperto del paese – che continuo a chiamare così, anche se sarebbe meglio definire come località di case sparse con poche famiglie –, un luogo di acquisto, ma anche d’informazione sulle vicende del posto, vero centro della socialità del luogo.


Il bar era costituito da un banco in laminato di legno color celestino, molto semplice e stretto, con un lavandino tondo incassato dentro che serviva per sciacquare, il più delle volte senza sapone o in alternativa con una spugnetta bicolore, i bicchieri da disporre “puliti” rovesciati sul tavolo per le consumazioni. Alle spalle lo scaffale dei liquori e delle bevande; fra l’uno e l’altro Enrico, uno dei due fratelli, quello al quale era demandata la parte commerciale e le pubbliche relazioni dell’attività dei Marchi.


Dentro la bottega si trovava un po’ di tutto, dalle sigarette ai detersivi, pasta, affettati, formaggio, scatolame ecc, ma la cosa che mi attirava di più erano i grandi sacchi con le sementi e con una paletta di acciaio per fornirle pesate ai clienti: c’era il sacco del granturco, del grano, dell’orzo, dell’avena che servivano per gli animali domestici che ogni famiglia aveva vicino e dentro casa.


La vera soddisfazione era di mettere le mani dentro i grandi sacchi e sprofondarle fino ai gomiti nei semi; se ne usciva con un odore stupendo. Ci portavamo dietro tutto il giorno quella specie di polverina profumata che restava attaccata alle braccia. Bastava mettere il naso nell’incavo del gomito e la soddisfazione tornava!


Enrico era un montanaro che stava bene a Renaio, ma aveva anche viaggiato, difficilmente si vedeva vestito da lavoro, o meglio da boscaiolo; gestiva il bar, faceva il pane, aveva la patente e andava spesso a Barga. Non si era sposato e forse gli pesava in fondo essere rimasto là, anche se era uno cui molti si rivolgevano per qualsiasi cosa: era la mente più moderna della famiglia Marchi, e d’altra parte uno che era stato anche in Inghilterra era un vero uomo di mondo a confronto di molti compaesani, per i quali Barga era già una meta da raggiungere con fatica.


Il camoscio di Renaio poi, abitava in fondo ad una piccola valle sotto all’Abetaia, un chilometro oltre il paese, una lunga camminata prima di incontrare la civiltà; così isolati, lui e la sua famiglia, che per andare a lavorare nella cittadina doveva percorrere gli undici chilometri a piedi.


Il lunedì, quando babbo tornava a Livorno a lavorare in tabaccheria, dopo il fine settimana, lo trovava nella piazzetta e gli dava un passaggio: una pacchia di chilometri risparmiati, ma anche un allenamento in meno, visto che lo sport che praticava era quello delle corse in montagna, per il quale era famoso.


Al suo opposto c’era il Doriano, nipote di Decimo, il giovane scavezzacollo del posto; aveva una 850 sport rossa con la quale si faceva sentire al suo arrivo intorno alle sei del pomeriggio. Si cominciavano a sentire le trombe dell’auto – i clacson al tempo erano molto asfittici – che lo annunciavano qualche secondo prima; poi arrivava a tutta velocità facendo stridere freni e gomme e lasciando sulla terra le sue sgommate nella curva a gomito che immetteva nella piccola strada che portava alla sua casa. Era l’attrazione della sera.




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Racconto scritto il 23/07/2016 - 22:55
Da Glauco Ballantini
Letta n.1202 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Per quattordici anni agosto e Renaio sono stati sinonimi, ho vissuto in un ambiente che era già antico negli anni 60 e che mi ha fatto conoscere come dovesse essere la vita in epoche passate con ritmi completamente diversi e senza cose che oggi sono ovvie. E' stata una lezione di storia per immersione.

Glauco Ballantini 25/07/2016 - 07:49

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Molto piaciuto. Le descrizioni ambientali sono eccezionali... e che bel guidare la 850 sport. Motore e trazione posteriori ne facevano una superba super-car nelle curve, specialmente in salita...

Francesco Gentile 24/07/2016 - 11:32

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proprio bello...ti ho conosciuto con questa storia e ti ho subito apprezzato...e rileggendo tutte queste puntate riconfermo il giudizio. Anzi, la rilettura offre spunti ancora più apprezzati...pensa com'è la memoria, alcune cose le avevo dimenticate ma la discesa in auto di notte m'era rimasta impressa( e non solo)...ciaociao...*****

Spartaco Messina 24/07/2016 - 09:53

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