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Sacrificio Umano

Il corpo aggraziato, inguainato in un’aderente tuta di pelle viola, si fletteva sinuoso, scosso da una ritmicità dolce e costante. L’urna, disposta sull’altare di argilla di fronte alla donna, mostrava preziose gemme incastonate sulla grezza superficie di metallo. Era un oggetto molto antico: alcune fonti, ritenute molto attendibili dalla sacerdotessa che le stava davanti, parlavano di un oggetto già appartenuto ad un oscuro mago babilonese. Si vociferava anche sulle remote origini del suo creatore, un orafo vissuto a Sodoma, dalla cui bottega erano usciti numerosi oggetti preziosi tuttora usati da diversi negromanti sparsi nel continente.
La donna allargò le gambe e alzò le braccia al cielo. I lunghi capelli castani percorsi da un fremito irresistibile. Il volto, truccato con diversi simboli iniziatici, lasciava intravedere i lineamenti di una giovane affascinante. I seni prosperosi e le cosce ben tornite completavano la bellezza di questa creatura selvaggia e feroce. La donna urlò poche parole in una lingua arcaica e ormai pressoché sconosciuta. I pochi in grado di interpretare quei versi, avrebbero udito invocare “un dio oscuro a cui si chiedeva di pazientare ancora”.
L’ampia stanza riecheggiò di quelle urla, mentre la quasi totale oscurità accentuava il senso drammatico di quella preghiera.
La donna si ricompose, raccolse delicatamente l’urna e la ripose in una piccola nicchia ricavata nel piedistallo di un’enorme statua di pietra situata dietro all’altare. L’essere rappresentato dalla scultura aveva fattezze pressoché sconosciute ai cittadini di Kamad, luogo dove la statua si trovava.
La giovane sacerdotessa uscì da una piccola porta ricavata nella parete opposta a quella dove si trovava l’altare. Dove io, modesto mercante di vestiti per schiavi, mi aggiravo sperso per le vie del porto. Era ormai sera e solo la luna, aiutata da poche torce appese ai muri, combatteva contro l’oscurità ormai prossima.
Avevo udito molte voci che parlavano con oscuro terrore delle violenze e delle misteriose sparizioni avvenute in quella zona. D’altronde, il misero valore delle ricchezze che portavo con me, mi rassicurava dal rischio di eventuali rapine.
Inoltre dovevo trovare la sperduta bottega di un mercante che mi aveva promesso la fornitura di cinquanta tuniche ad un prezzo bassissimo. Desistere dalla ricerca significava voltare le spalle a un comodo guadagno sicuro. Stavo camminando da circa dieci minuti tra gli stretti vicoli adiacenti al porto, molti dei quali senza uscita. Mi ero ripromesso di chiedere l’esatta locazione del negozio che cercavo al primo passante che incontravo. Arrivai alla fine del viottolo, e ciò che vidi un’enorme piazza delimitata da muri di granito alti circa tre metri. Il pavimento era di un ambiguo color verdastro, che scambiai per argilla colorata.
Al centro della piazza si stagliava un’enorme statua dalle forme inedite per i miei occhi: la base era composta da uno sgraziato corpo triangolare rovesciato. Mi avvicinai alla statua, sulla base poggiavano tre corpi distinti:il primo raffigurava una lucertola alata dalle molte zampe; il secondo rappresentava un numero arabo (l’otto) avvinghiato da robuste catene; il terzo ed ultimo mostrava un piccolo cerchio circondato da quattro massicci esagoni.
Avvicinandomi lentamente alla statua individuai quattro figure che danzavano ai piedi del monumento. Si trattava di quattro giovani donne dai corpi provocanti.
Erano prostitute ubriache appartenenti a qualche bordello della città, uscite su invito dei clienti e poi rimaste sole.
Mi avvicinai ulteriormente alle danzatrici, che mi davano la schiena, agitando selvaggiamente le loro lunghe chiome.
Richiamai la loro attenzione con un saluto. Una delle giovani si girò avvicinandosi a me con aria accondiscendente. Era molto bella, nonostante i lineamenti decisi e i strani segni dipinti sul volto.
La donna posò la mano destra sulla mia spalla. Prima che potessi reagire mi accorsi di avere la spalla fratturata e immediatamente cercai di allontanarmi da quelle femmine impazzite. Cercai di riattraversare la piazza per imboccare il viottolo dal quale ero arrivato. Dopo aver percorso qualche metro, mi accorsi che la strana sostanza che rivestiva il terreno divenne melmosa e impraticabile. Cercai disperatamente di continuare la mia corsa, ma ben presto dovetti arrestarmi stremato. Mi voltai verso la donna che mi aveva messo la mano sulla spalla, cercando di capire le sue intenzioni. Quest’ultima spiccò un salto notevole e con un calcio mi colpì in pieno volto. Il colpo bene assestato, mi procurò un fortissimo dolore, che mi fece svenire.
Quando mi risvegliai, gettai uno sguardo sul nuovo ambiente che mi circondava.
Mi trovai in un ampio locale poco illuminato. Un altare e un’enorme statua posta alle mie spalle, identica a quella già vista sulla piazza, dominavano la scena.
Ero in piedi e mi resi conto di essere completamente immobilizzato: una di quelle sgualdrine doveva avermi drogato o qualcosa del genere.
Improvvisamente udì alle mie spalle un rumore di passi. Mi voltai, per quanto il mio collo lo consentiva, e notai una donna con capelli e occhi castani, vestita di una tuta di pelle viola che camminava verso di me. Portava con se una robusta frusta e un misterioso sacco di tela rosso.
– “Ti chiedo perché fai questo, donna”? “Chiunque tu sia”!
Prima di rispondere la sacerdotessa lasciò trapelare un sorriso di scherno.
– “Non capitano molti intrusi nella piazza sacra dove tu sei arrivato questa sera, e il nostro dio chiede un sacrificio da molto tempo. Io, come sacerdotessa non posso sottrarmi al suo volere. Soffrirai molto misero uomo, ma questo è il suo volere”.
Capii di non avere speranze e presto le mie urla avrebbero riempito le ampie volte del androne. Quando a un tratto nel tempio, la giovane donna, che prima mi aveva ridotto in quello stato e condotto sull’altare del sacrificio, chiede il rito dell’albero dell’oblio. Il rito consisteva in una cerimonia per farmi dimenticare la mia terra, i parenti, il passato e rendermi la mente vuota. In altre parole, pretendeva il diritto di diventare la mia padrona ed io, il suo umile servo e visto ai suoi occhi da animale domestico. L’idea di vivere a fianco della pazza e bisbetica donna, felice di servirla, pronto a far scattare la mia devozione, non mia andava proprio, ma era sempre meglio di agnello sacrificale. La sacerdotessa voleva a tutti i costi immolarmi al suo dio, dal canto suo la donna mi voleva suo schiavo; ne esce una disputa senza esclusioni di colpi, che è servita perlomeno a darmi qualche giorno di più di vita e la speranza di poter scappare. Infatti si rimanda a domani, di mettere ai voti gli adepti, per il sacrificio o l’albero dell’oblio? Quella notte non riesco a dormire, non faccio altro che pensare, bene che mi vada, sarò uno schiavo per tutta la vita. Essere immolato sull’altare del sacrificio, chissà a quale divinità, non voglio nemmeno pensarci! Intanto l’angoscia e la paura aumentano, alle prime ore dell’alba, dove la notte fa posto alle prime luci del giorno, dove si sta consumando il mio atroce destino. Non so cosa sperare dai risultati del voto? So solo che mi trovo in una situazione, senza via d’uscita e mi tocca solo sperare! Non devo abbattermi e cercare di trovare qualsiasi appiglio per continuare a lottare, nonostante l’istinto di sopravvivenza, seppure alto non sia sufficiente a garantirmi una via di fuga. In pieno giorno la sacerdotessa e gli adepti, iniziano i preparativi per il ballottaggio tra il sacrificio umano e l’albero dell’oblio. Tutto sembra già in ordine per le votazioni; fogli di carta, dove appuntare la propria preferenza, erano pronti all’uso, ed essere immessi in una specie di urna di terracotta, collocata sull’altare del tempio. Gli adepti uno a uno, si recano a depositare il loro foglietto nell’urna e per ultima, lo fa la sacerdotessa. S’inizia lo spoglio e il mio battito cardiaco va a mille e mi sento poco tranquillo e l’ansia ha il sopravvento! La sacerdotessa, mette i fogli con la preferenza al sacrificio umano alla sua destra e quelli per l’albero dell’oblio alla sua sinistra; poi inizia il conteggio e con sommo stupore, il numero di preferenza per uno è uguale a quello dell’altro. Non si fa un’altra votazione, in caso di parità; il voto della sacerdotessa vale il doppio, quindi la mia vita è segnata! Trucidato per placare l’ira degli dei! Le vittime non dovevano presentare imperfezioni per non inficiare il rituale affinché gli dei accettassero il sacrificio; essere scelti per questo scopo era quindi un grande onore, ma non lo era per me. Quindi facevo appello alla sacerdotessa, di tutte le mie imperfezioni, che cercavo di mostrare repentinamente, senza sortire l’esito sperato. – “ Sei perfetto come vittima sacrificale” e “ il nostro dio è più che soddisfatto”! Disse la sacerdotessa e aggiunse: “Abbi inizio il rito purificatore”! Mi lavarono, mi profumarono, mi avvolsero in una toga bianca e mi stesero sull’altare con le mani legate. A quel punto la sacerdotessa alzò il pugnale al cielo e pronunciò delle parole incomprensibili, mentre stava affondando la lama nel mio corpo. Con un urlo mi svegliai e mi liberai da quell’incubo; rimasi per parecchio tempo, in preda alla paura, mi tremavano le gambe, avevo il cuore in gola, ma la cosa più importante: ero ancora vivo!



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Racconto scritto il 08/09/2016 - 08:17
Da Savino Spina
Letta n.1732 volte.
Voto:
su 3 votanti


Commenti


Intrigante e misterioso.
Mi è piaciuto molto!

Surya 70 11/09/2016 - 15:30

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Benin (l'albero dell'oblio o albero degli schiavi). Tutto il mondo, a cominciare dall'Onu, deve ricordare il dramma della tratta. Ma nei luoghi dove i negrieri facevano razzie al centro delle cerimonie c'è anche il vudù. Al tempo della schiavitù c'era un grande albero dove legavano le corde delle navi negriere mentre le riempivano. Il mare ha battuto per molto tempo la costa e ha riportato alla luce il vecchio tronco. Hanno fatto cerimonie e sacrifici intorno a quell'albero, che è stato testimone di atroci barbarie; schiavi spogliati di tutti i loro oggetti sacri, costretti a rinnegare la propria identità. Tra la fine del Seicento e l'inizio del Settecento, portoghesi, francesi, inglesi e olandesi si stabilirono a Ouidah. La cittadina diventò uno dei luoghi più importanti nel commercio degli schiavi: per il regno del Dahomey la tratta schiavista fu una vera "industria nazionale". Le stime relative al numero totale degli schiavi variano da quarantanove ai cinquanta milioni di anime.

Savino Spina 08/09/2016 - 15:47

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mi è piaciuto molto grazie alla sua scorrevolezza e la buona comprensione dell'opera 5*

POETA DELL'AMORE LUPO DELL'AMI 08/09/2016 - 12:17

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