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Il Pervertito

L’oste fece cadere a terra, la brocca di vino annacquato rovesciando il suo contenuto e spargendo di cocci di vetro il pavimento di marmo, e l’uomo addormentato sul tavolo si svegliò di scatto. Sgranò i suoi grossi occhi assonnati, per rendersi conto di cosa stesse accadendo, il rumore del vetro abbastanza assordante, lo infastidì non poco. Una sua mano poggiava sul seno svigorito di una vecchia baldracca dai capelli grigi e arruffati, ancora tra le braccia di Morfeo e con la bocca spalancata. L’altra mano sul seno fiorente di una giovane ragazza dai capelli rosso fuoco ondulati, anch’ella presa dal sonno ancor più profondo. L’uomo brontolò qualcosa d’incomprensibile, forse una bestemmia, sollevò le sue callose mani dai seni delle due donne e si guardò intorno con fare sospetto, muovendo la testa in tutte le direzioni, come in cerca di qualcuno o qualcosa. Portò alle labbra l’ultima brocca ordinata, prima che si addormentasse e con avidità bevve il restante vino. “Sveglia!” – urlò d’improvviso l’uomo alle due donne, le quali sobbalzarono mosse da una frenetica palpitazione. La giovane donna si allacciò la camicetta, per non lasciar intravedere il suo splendido seno, mentre la vecchia si alzò con passo tardo e lento, senza scomporsi e senza provare vergogna per il suo corpo non più florido. Le due donne abbandonarono il tavolo e uscirono fuori dalla taverna, verso chissà quale meta, mentre l’uomo con un piccolo slancio, si alzò dalla sedia e s’incamminò verso la sua camera da letto; un sole pallido, tipico di quei giorni autunnali spenti e bigi, si insinuò a fatica tra gli spogli rami di una quercia, che copriva nella sua interezza la grande finestra della stanza. I tenui raggi mostravano l’aspetto dell’uomo, con le mani penzolanti ai fianchi, un corpo ricoperto da una lieve peluria grigiastra, sul petto, un seno flaccido, pendulo e pieno di striature. Sul tronco, un ventre voluminoso, cascante che congiungeva i due fianchi, le gambe erano tozze e sgraziate, così come le braccia, dove l’ispido pelo era più abbondante. La faccia grossa, le mascelle pronunciate e le labbra protruse e prognate. Il naso aquilino e l’orecchio destro era più sporgente del sinistro; nel complesso, era un omuncolo laido e sudaticcio. L’uomo continuava a guardare la quercia fuori dalla finestra, incantato dalle sue fronde spoglie e dai motivi sinuosi dei suoi rami secchi e nudi. Poggiò la mano sul vetro della finestra. A malapena riuscì a percepire la sensazione di freddo del vetro esposto all’umidità mattutina, tanto le sue insensibili mani erano massicce e spesse. Sospirò, come quando si sospira languidamente per un amore ignoto o non corrisposto. Si buttò sul letto, si riposò per qualche oretta, andò nel bagno a lavarsi, prese una vestaglia, la infilò, la chiuse per bene con una cintura, e si avviò lungo il corridoio che l’avrebbe condotto al pianoterra. Appoggiò la mano sul corrimano di legno d’acero della grande scalinata. Domestici, donne ed uomini nudi dormivano sparpagliati ovunque. Due uomini si tenevano abbracciati dietro a una tenda diafana, che a malapena celava i loro baci umidi e divoranti. Un gruppetto di donnine dai culi sporgenti, nivei e dai minuti seni, tutti in capezzoli turgidi e in pori orripilanti, civettava allegramente, appoggiate a un antico canapè di stoffe verdi. Un uomo e una donna, intenti in un selvaggio amplesso, erano distesi su una cassapanca minuziosamente cesellata. L’uomo era sdraiato e la donna sopra di lui, tenendosi con le mani agli anelli di metallo. Alcuni domestici, tra i quali due cuochi e una cameriera, si dilettavano a trastullarsi a vicenda. I due cuochi, grassi e ben impinguati, tenevano la cameriera sospesa con le braccia, che con le loro larghe cosce le donavano un sostegno comodo e soffice. Nell’aria v’era un fresco sentore di primavera. Di quelle primavere fittizie, che danno solo l’illusione di tepore. Di quelle primavere fredde, che si vestono di calore e che preludono al gelido inverno, rendendo il miraggio di una felicità mutilata. L’uomo tossì per finta e batté tre colpi sul corrimano, con l’intenzione di attirare l’attenzione generale. Il suo tentativo si rivelò però infruttuoso. Così, per il livore di non vedersi onorato e invitato a quell’orgia, disse ad alta voce: “Cos’è questo scempio? Queste cose non si fanno in mia presenza!” – aggiunse poi con voce ancor più imperiosa – “Voi siete qui per mio volere, non lo dimenticate”! Più si avvicinava al pianoterra, più gli uomini e le donne sembravano ritrarsi all’avanzata dell’uomo, tanto la sua vista incuteva timore, e il suo carisma profondeva reverenza e rispetto. Una donna di mezza età, mossa da un ratto isterico, si gettò ai suoi piedi, implorandolo di perdonare le loro avventatezze e di non cacciarli via per essersi lasciati trasportare dal focoso zelo. L’uomo non si degnò nemmeno di guardarla, e continuò ad avanzare sino alla poltrona di stoffa rosso porpora, poi si sedette e sospirò lungamente. Girò la testa ovunque, cercando di capire i loro sguardi e accortosi delle plateali dimostrazioni di consenso, scrutò ad uno a uno gli occhi dei presenti: falsi, insensati, colmi di malizia, di finteria e si incupì; si portò le mani alle orecchie per non sentire più l’incessante battere di mani. I presenti smisero di applaudire e piombarono tutti in penombra, come immersi in una dimensione aliena ed estraniante. Sembravano fluttuare in un liquido incolore, incorporeo eppure sufficientemente denso da attutire ogni sorta di rumore. Una donna velata ruppe il silenzio e gli disse: “Hai costruito questo tempio del piacere con le tue mani. Hai plasmato questa taverna di ardore e passione, la cui edificazione si è ridotta in scandalo. Tu, uomo senza scrupoli, degno erede delle più truci colpe e malefatte, perché hai commesso un così crudo delitto”? – A seguito di una lunga pausa, la donna continuò – “Non vi è acqua sopra la roccia, oh uomo maligno. Tutto è prosciugato qui, null’altro che un’arida spelonca di tristi rimpianti e di rimorsi. Guarda cosa hai fatto”. La donna si dissolse lentamente e sparì come un miraggio in un deserto rovente. L’uomo fu colpito da quelle parole, e quando quel liquido incolore e incorporeo, che teneva tutti in silenzio, sparì magicamente, le scroscianti risa di stupore delle donnine lascive, l’applaudire incessante dei giovani uomini e il ridacchiare frenetico dei cucinieri violarono il suo udito, penetrando come un brando nei suoi pensieri, che vennero colpiti dalla lama intrisa di umori ripugnanti e di risa, e di schiamazzi, e di mani battenti. Si sentiva incollerito, rattristato, irato, un misto di percezioni e sensazioni discordanti. Cacciò tutti dalla taverna, mesti e veloci l’abbandonarono; rimasto solo vacillò e corse al piano di sopra al fine di rinchiudersi nella sua camera. D’accanto alla finestra, poté rimirare la quercia e gli altri caducifogli, che poco tempo prima aveva osservato solitario e pensieroso. Seguì con occhio vigile e confuso tutte le ramificazioni, i rametti secchi che si staccavano allorché un falco si lanciava di petto a devastare un nido di rondini. Chiuse la porta dietro di sé e rimase solo a riflettere. Si specchiò nel falco, di quanto orrore, di quanta amoralità, di sofferenza e vuoto aveva fatto intorno a se. Le voci dei suoi ospiti divenivano sempre più sfocate, lontane, distanti, remote. Erano di già scemate, allorquando i suoi pensieri presero il loro posto. Si insediarono sino a conficcarsi in ogni fibra, in ogni meandro del suo cervello. Una sinfonia di voci distorte, un canto polifonico e dissonante. Ancora la voce della donna, gli rimbombava nella testa e disse sottovoce: “Ah, quella voce! Non potrebbe il silenzio zittire”. La voce testimonianza della mia perdizione. L’impeto, la furia sono i mezzi di cui si serve per perpetrare i suoi crimini. Ma una volta placatasi la collera, che gli resta se non il rimpianto di un momento reso all’indifferenza dell’inconscio? Chi gli restituirà il senno? Come farà più a dormire? Il sonno è atroce, quando i fantasmi dei suoi delitti lo vengono a trovare. I suoi occhi avevano perso l’arroganza e l’alterigia di sempre. Rivide il suo riflesso in uno specchio posto vicino ad una porta di legno, in tutta la sua deformità e la trovò ripugnante. Prese la testa fra le mani e ripromise a se stesso che da quel giorno avrebbe cambiato registro!



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Racconto scritto il 17/03/2017 - 17:15
Da Savino Spina
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