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Le onde cantano

Questa sera le onde si sono vestite di pizzo e cantano.
Le trine spariscono nella risacca e si riformano subito dopo in un circolo vizioso che suona una musica mai uguale accompagnando un coro che canta.
Cantano per me, che non lo merito.
Le stelle – diamanti sfavillanti sul tappeto di velluto blu della notte - ammiccano, forse stanno ridendo di me, della mia disperazione.
Mi volto a guardare la sequenza di orme lasciate sul bagnasciuga, stanno sparendo, appiattite dal flusso di acqua salata che avanza e si ritrae per sistemare, per rimettere tutto a posto, per far tornare l'ordine naturale: perbacco! La sabbia deve essere liscia, così è stato, così è, così sarà, sempre!
Le guardo scomparire e immediatamente mi sovviene il parallelo con la mia vita.
Cosa sarà di me, quando sparirò come quelle orme?
Cosa resterà di tutti gli sforzi compiuti?
Alzo gli occhi alla falce sfavillante chiedendo una risposta che so già non verrà mai.
Mi rivedo quindicenne, gli occhi pieni di sogni, ideali di libertà, di fratellanza, di umanità.
“La terra e tutto ciò che la popola non ci appartiene!” gridavo e lo gridavo a squarciagola per farmi sentire perché gli altri capissero.
Arrivò la realtà, come una mazzata: “Devi essere responsabile, devi darti da fare, devi farti valere” e io lo feci, oh se lo feci.
Diventai uno squalo, gli uomini, i miei subalterni erano solo numeri, unità produttive che dovevano rendere, dovevano assicurami il guadagno, il potere.
Divenni potente, ricco, potevo permettermi tutto, tranne l'essere uomo.
I sogni, gli ideali buttati nella spazzatura senza nessun rimorso: “Caro mio, solo il denaro conta, con esso si può tutto, puoi avere le cose che hai sempre desiderato: una bella moglie, dei figli ai quali dare tutto quello che ti chiedono”.
Questi gli insegnamenti al mio figlio maggiore e ancora:
“Sii spietato, non farti fuorviare dalla solidarietà, essa ti trascinerà con sé, lasciandoti senza niente, un pover'uomo che non ha nulla, se non la riconoscenza sterile di chi hai aiutato e che finalmente ha qualcosa, mentre tu ti sarai privato di tutto e per cosa? Forse che un grazie ti farà mangiare?”
La cupidigia, letta nei suoi occhi, è stato il pozzo profondo nel quale mi sono sentito precipitare.
“Mio Dio, cosa ho mai fatto?”
Vorrei tornare quindicenne, non per ringiovanire, ma per tornare a credere ai sogni, agli ideali; è troppo tardi, gli anni mi pesano sulle spalle come un macigno e la soluzione è una sola.
L'acqua ora mi copre le caviglie, sento freddo, ma sono deciso ad avanzare.
Le onde hanno un suono diverso, mi fermo, le ascolto, sembrano volermi dire qualcosa.
Le stelle stanno sparendo nella luce tenue dell'alba che pian piano, con discrezione, dà il cambio alla notte: “Ora tocca a me sorella vegliare sugli uomini, vai a riposare, ti cederò il posto questa sera, quando il mio turno sarà finito”.
Capisco, indietreggio, mi avvio sulla strada del ritorno.
Un vecchio quindicenne sta urlando a squarciagola: “La terra e tutto ciò che la popola non ci appartiene! Noi siamo tutt'uno con lei, così era, così è, così sarà, sempre!”



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Racconto scritto il 09/03/2013 - 21:52
Da Jego MezzoLupo
Letta n.1129 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Perdersi poi ritrovarsi con una nuova consapevolezza. Racconto ricco di significato!ciao

Claretta Frau 12/03/2013 - 15:20

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