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UNA SPECIE VENDICATIVA (Vite in Sospeso)

Davide, Pietro, Roberto, Giacomo, Francesco, Marco e Domenico. Sette. Sette come i giorni della settimana, come le note musicali, come i colori dell’irraggiamento solare. Sette come questi ragazzi. Sette ragazzi per un solo destino. E poi c’era Luca, Luca Raimondi, il dottor Luca Raimondi, l’antagonista… che poi sarebbe il protagonista di questa drammatica storia.
Il dottor Raimondi era un giovanissimo medico appena specializzato in urologia e prestava servizio presso l’ospedale del Circolo fondazione Macchi di Varese. Era sotto la guida della bravissima dottoressa Galli, primaria del reparto da poco trasferita al Sacco di Milano. Un angelo di bontà lei, che insegnò proprio tutto al giovane medico vittima e colpevole di una tristissima realtà. Alto, biondo, snello e glabro. Un figurino da star di Hollywood ma con un solo difetto: l’AIDS! Eh sì, l’impeccabile dottor Raimondi era autoimmune, affetto dal virus dell’HIV. Se lo ricordava bene quella sera, con Carlos Fernandez, fotomodello brasiliano che lavorava momentaneamente presso un’agenzia di fotografia a Milano, conosciuto in un locale alternativo pochi giorni prima. L’indomani, Carlos lo avvisò del fatto che fosse sieropositivo, ma era troppo tardi! Luca, per vendetta, lo seguì la sera stessa per la sua partenza, a Malpensa, non prima di avergli somministrato sempre nel suo monolocale una dose eccessiva di Mannitolo dentro il succo d’arancia. Travestito da “gentleman”, coi capelli bianchi e baffi finti, completo e coppola, con tanto di valigetta a 24 ore che solitamente usava per l’ospedale, aspettò che andasse in bagno per farlo fuori. Una volta dentro lo spinse nella toilette e gli tagliò la gola con del bisturi. Uscì con una tale indifferenza, freddo come il ghiaccio, assicurandosi di aver chiuso dal fuori la porta del gabinetto. Un giochetto troppo facile per un medico, abituato a stare in sala operatoria, per gavetta, più di 8 ore al giorno. Del resto, chi meglio di un dottore sa come si uccide, farla franca e senza troppi rimorsi. Un delitto impunito. Il corpo fu poi rinvenuto solo la mattina seguente dall’impresa di pulizia, e la notizia uscì sui giornali sia locali che nazionali. “Un colpo da maestro” si disse il dottor Raimondi, o più semplicemente Luca, nel suo studio. Del resto uccidere richiede un tipo di pazienza e uno stato d’animo particolari. Avere 32 anni e non sentirseli affatto, eccetto per qualcosa! Un qualcosa dentro che lo stava uccidendo, e la sua mente, ogni tanto, gli balenava il fatto di avere un male incurabile. E il pensiero di questo male, nei mesi a venire, si fece sempre più insopportabile. Doveva esorcizzarlo. Non poteva permettersi, vista la posizione, di parlarne fra colleghi, tanto meno con gli amici e i familiari. Una mossa sbagliata e avrebbe buttato all’aria una carriera d’oro. Il pensiero si fece sempre più ossessivo, diventando paranoico, ma senza dare nell’occhio: Luca era furbo, un medico esperto che sapeva giocarsela molto bene, come tutti in quel campo. Non dava alcun segno di squilibrio, di cambiamento. Freddo, sicuro di sé, imponente. Insomma, un bravo attore nella sua parte! La conferma arrivò 7 mesi più tardi, quando si prelevò e analizzò il proprio sangue. Gli crollò il mondo addosso – per lui questa era la fine. E non bastò l’omicidio di Carlos, decise infatti di punire, in modo da “estirpare” questo male, tutti i ragazzi con la quale sarebbe andato a letto o che avrebbe curato in ospedale. L’urologo medico che avrebbe dovuto curare i genitali di molti adolescenti, ben presto sarebbe diventato un pericolo per gli stessi!
Davide. Fu la prima vittima infettata: 18 anni appena compiuti. Fu la sua prima (e ultima!) scopata omosessuale della sua vita. Se lo fece come suo regalo di compleanno, una notte di follie un bel ragazzo maturo, un uomo alto, biondo e pure atletico - appunto Luca, che per l’occasione si fece conoscere come Piergiorgio. Si diedero appuntamento presso il motel “Dogapad” situato in provincia, tra il milanese e il varesotto. Il compromesso era quello di fare l’amore senza prevenzioni, al naturale, e così è stato. Poi a fine serata, come volere di Davide, si cancellarono entrambi i contatti per ritornare alla vita di tutti i giorni e alla normalità, che poi non sarebbe più rimasta la stessa, deviata da una notte di un piacere diverso e represso da anni e segnata sino alla fine dei suoi giorni.
Pietro. Il timido “ragazzo di campagna”, dai capelli riccioli al naturale e dalla carnagione olivastra. Conobbe il dottor Luca anche lui chat, sempre sotto falso nome. Ora era Giuliano, residente a Milano. Lo infettò sempre col sesso non protetto direttamente nella sua macchina, un’Alfa Mito color panna. Di certo non la macchina di un dottore della sua posizione, ma piuttosto quella di un ragazzo sportivo, alla moda. Da notare il suo anticonformismo nei confronti dell’etica medica: in giro potevi dargli di tutto, tranne che del medico!
Così anche per Roberto, una lunga scopata che gli fu scomoda, quanto fatale! In macchina, alla periferia di un paesino di provincia, nei pressi di un campo, al bordo di un sentiero che non portava da nessuna parte, con tanto di giornali sul parabrezza e i finestrini, per evitare occhi indiscreti di qualche improbabile passante.
Poi fu la volta di Giacomo, “Jack”. Il duro Jack. Il ragazzo più menoso del Galileo Galilei di Legnano, dai capelli neri, alla Elvis, gli occhi blu come quelli che aveva Sinatra, e il fisico -quanto il carattere- alla James Dean. Un ragazzo d’altri tempi, ma cocciuto e testardo, voluto da tutte le ragazze di ogni classe. Un sex-simbol. Non ti potevi avvicinare a lui che era continuamente scortato dai suoi scagnozzi: i suoi più fedeli Amici, che sapevano proprio tutto di lui, eccetto che fosse gay. Si conobbero quasi per caso in un locale gay di Milano, in zone Oberdan. Consigliò a Maurizio (che poi era sempre il dr. Luca!) un incontro ancora più alternativo dei precedenti. Forse il più classico: la scopata nel bosco, al chiaro di luna. Be’, magari anche quello più rischioso, ma Jack non aveva inibizioni, se non quello del sesso sicuro. Purtroppo Maurizio lo trasse in inganno: durante l’atto, con la scusa di essersi tagliato il palmo della mano con dei rovi, volontariamente, se lo fece leccale dal ragazzo completamente in estasi.
Fu poi la volta di Francesco. Ventiduenne. Nota marchetta della grande città. Arrivato dalla Sicilia in cerca di occasioni nel campo della moda e della fotografia, fu la quinta vittima del dottor Raimondi. Si fece conoscere presso un noto locale alternativo come travestista, in disperata ricerca di soldi per mantenersi l’alloggio e i pesanti studi alle Belle Arti. E per arrotondare, a fine serata, si vendeva al miglior offerente. Fu la volta quindi di Riccardo (sempre Luca), che lo infettò direttamente a casa del ragazzo, invitato dopo la serata. Per Francesco, il sesso non protetto era d’abitudine, ma questa volta, per ironia della sorte, gli fu fatale!
E così uno alla settimana, uno dietro l’altro, si assicurò di infettarli tutti. Questo per riscuotere la propria vendetta nei confronti del male che aveva ricevuto, e che ora stava donandolo agli altri! Ma i guai per il caro medico della morte iniziarono ben presto. Già da un po’ sentiva qualcosa che non andava, ma non in salute, affatto. Sentiva dentro che avrebbe avuto seri problemi con la legge, sia per l’omicidio di Carlos, al quale gli sfuggiva un dettaglio importante che aveva tralasciato e ancora non sapeva, ma soprattutto per le vittime del virus, che ben presto avrebbero saputo la triste realtà. Era solamente questione di tempo, e quindi gli balenò in mente l’idea di un trasferimento, addirittura cambiando nazione, con la scusa della ricerca in campo medico. Intanto fu interrogato dal distretto di Milano perché il suo nome era rimasto nell’infinito elenco di Carlos, ma furono semplici domande, e altrettanto generiche furono le risposte che rilasciò. Di questo non si preoccupò. Sapevano che Carlos aveva un sacco di amicizie, di giri, e sapevano benissimo che fosse affetto da AIDS. Luca disse loro che era perfettamente consapevole, in quanto medico curante di Carlos. I guai arrivarono quando, per un semplice controllo e normale procedura, si rifiutò di lasciare il campione di sangue al commissariato, con la scusa di avere un’urgenza in ospedale.
Ma la fine vera e propria arrivò pochissimi giorni dopo l’interrogatorio, con Marco e successivamente Domenico, amici intimi che avrebbero avuto modo di consigliarselo e scambiarlo in una sorta di triangolo. Marco, ragazzo di 20 anni conosciuto direttamente in ospedale. E’ stato operato dal dottor Raimondi in persona per varicocele in stadio avanzato. Un ragazzo stupendo, dagli allineamenti facciali ben marcati, il fisico possente, e biondo come lo era il nostro dottor Luca. Sapeva benissimo che il ragazzo era omosessuale. Sapete, il dr. Raimondi quando era giovane, quando era semplicemente Luca, aveva la fama a scuola, tra i suoi amici, di possedere incorporato un radar, e a detta del suo migliore amico, il “gay-radar”, individuando così facilmente, solo attraverso gli sguardi dei passanti, chi fosse o meno omosessuale. E sapeva bene che questo ragazzo era gay, così come avrebbe intuito che fosse il figlio del commissario incaricato di svolgere le indagini sulla morte di Carlos, Alfredo. Pensò quindi di infettare anche lui, per una doppia vendetta. Del resto, Marco non poteva sapere niente sulla relazione tra Carlos e Luca.
L’appuntamento era previsto direttamente a casa di Luca. Questa sarebbe stata la prima vittima ad essere stata invitata direttamente a casa. Era essere molto speciale per il nostro dottore. Ormai era prossimo al trasferimento, ma ci teneva a questo Marco perché era diverso da tutti i precedenti. Di una straordinaria bellezza. E per questo voleva una serata molto speciale e particolare. Non aveva mai invitato nessuno in casa propria per una scopata. L’appuntamento avvenne il weekend precedente all’intervento che doveva subire. A letto Marco gli disse: “Non farmi del male, mi raccomando!” e il dottore rispose: “Tranquillo, non sentirai nulla, è un intervento banale!” – “No, mi riferivo adesso!” – “Sarò dolce, promesso!” Allora fecero l’amore, con dolcezza.
Durante la convalescenza, Marco si interessò al caso che il padre, Alfredo, stava ancora tentando di risolvere, quello di Carlos. Seguiva le sue orme in quanto appassionato di gialli e crimini irrisolti. Riguardando attentamente il filmato a circuito chiuso delle telecamere poste in aeroporto, nelle zone del bagno, non poté non notare quel gentleman in divisa, con tanto di coppola e alla mano una valigetta che aveva già visto da un’altra parte e pure di recente. Ma certo: la valigetta di Luca! Poteva essere solamente sua, in quanto molto particolare: bianca, col manico scuro e le due lettere sull’angolo, che probabilmente erano le iniziali del suo nome, anche se nel video non si notavano bene. Già, quella valigetta le era stata data, assieme a tutto il kit da scrivania, come regalo di laurea. E ricorda benissimo di averla vista sia a casa sua, sopra il mobile da parte a letto, per prendere la vaselina, sia in ambulatorio sulla scrivania. E poi nel filmato era chiaramente lui: l’altezza, la camminata, la postura. Nessuno sapeva niente di questo gentleman, solo che era venuto e andato col taxi che non ha potuto rilasciare niente, solo la partenza e la fermata in un posto generico alla periferia di Milano. Ma ora Marco sapeva e non poteva far finta di niente. Senza prendere decisioni troppo affrettate, pensò di non dirlo subito al padre, programmando di ritornare a casa sua per un secondo appuntamento per scattare delle foto alla valigetta e ottenerne quindi le prove decisive. Ma sarebbe stato troppo rischioso per lui, e forse sarebbe stato meglio mandarci qualcun altro al posto suo, perché in quel mondo, quello del sesso diverso e degli appuntamenti, non si sa mai come va a finire, perlopiù senza contare che era pure un medico… assassino! Pensò quindi di mandarci Domenico, suo coetaneo e amico intimo, uno di quelli dai coglioni d’acciaio, che non si tira indietro per nessuna ragione. Capelli castano-chiari, alto e muscoloso come Marco, un po’ più olivastro per la discendenza meridionale, ma pur sempre fratelli, quasi gemelli. Lo rintracciò presso un locale gay della città di Milano. E non ci volle tanto per finire direttamente a casa sua. Il dottor Raimondi si promise fra sé, però, che questa sarebbe stata l’ultima volta, e lo sarebbe veramente stato! Ormai temeva che ben presto le autorità lo identificassero, se lo sentiva, e difficilmente la sua vocina lo tradiva. Aveva chiesto il trasferimento e lo ha ottenuto, entro la fine della settimana avrebbe dato le dimissioni presso il Circolo.
Domenico riuscì a fotografare la famosa valigetta che si trovava sempre sul mobile da parte al letto mentre Luca preparava il bagno. Siccome non riuscì a trasmettergli il virus col sesso, dato che non poteva nemmeno usare un profilattico bucato in quanto Domenico usò uno dei suoi, e neanche infettarlo con una bevanda, perché si rifiutò di bere qualsiasi cosa, sotto lo stretto consiglio dell'Amico, optò allora della vasca da bagno, senza schiuma ne agenti chimici, contaminando quindi l’acqua. Avevano pianificato tutto i ragazzi, erano stati bravissimi, ma nessuno di loro due sapeva che Luca fosse sieropositivo, e quando il padre glielo disse, come probabile movente del delitto, da bravi detective diventarono stupide vittime! Marco disse al padre semplicemente che l’aveva vista nell’ambulatorio del chirurgo che l’aveva operato, mostrandogli le foto che lui disse di aver fatto alla visita di controllo, senza aggiungere altro. Alfredo non sapeva di avere un figlio gay, e nessuno sapeva che tutte quelle vittime fossero gay, men che meno che fossero uscite con Luca. Anche per loro arrivò ben presto una fine. Quante fine ci sarebbero state in una sola vita?
Per Luca la seconda sarebbe arrivata l’indomani. Si svegliò con già due pattuglie sottocasa. Ma fece finta di niente, dirigendosi come ogni giorno verso l’ospedale. Il sospetto arrivò quando, scendendo dalla macchina, prese in mano la valigetta e improvvisamente gli venne un flash, sia di quando uccise Carlos, sia dell’appuntamento con Marco, quando gli disse di prendere il tubetto di vasellina dentro la borsa. Il ragazzo fece il doppio gioco esattamente come aveva fatto con lui per trasmettergli il virus! Svoltato l’angolo in una delle stradine interne dell’ospedale, il dottore gettò la valigetta dentro il camion dei rifiuti che gli stava passando da parte in quell’istante ed entrò rapidamente da una porticina di emergenza del padiglione vecchio. Si diresse presso il suo ambulatorio posto da parte all’entrata storica dell’ospedale. Avrebbe preso le sue ultime cose e soprattutto il biglietto per Berlino che aveva tenuto nel cassetto. Il volo l’avrebbe avuto il giorno seguente, da Linate, e avrebbe dormito a casa di un suo vecchio amico con la quale avrebbe avuto, in passato, delle discussioni circa l’abbordaggio di alcune marchette – quella che poi sarebbe stata la sua ultimissima vittima, per chiudere il cerchio.
Uscì e proseguì a sinistra per il blocco operatorio, ma sulla porta d’ingresso, a 10 metri davanti a lui, vide fermo, appoggiato al muro e con le braccia conserte, Domenico. Aveva capito tutto! Improvvisamente il suo cuore incominciò a pulsare ben oltre quello che stava già pulsando per la fretta; dopo uno scatto di spavento, senza fermarsi, fece retro-front per andare nella direzione opposta, lungo il corridoio centrale che l’avrebbe portato poi nel padiglione nuovo. Ma niente da fare: vide l’ispettore Alfredo scortato da 2 poliziotti, con altrettanto 2 poliziotti all’ingresso storico, situato a metà corridoio. Così si arrestò giusto per 2 secondi, pensando di scendere e tentare di uscire dal tunnel sotterraneo. Ma una volta sceso, alla fine delle scale, vi trovò Davide, appoggiato alla parete del tunnel opposta, e saltò ancora via dallo spavento. Per la prima volta Luca si trovò in preda al panico, e decise di chiudersi nel bagno situato da parte alle scale. Non aveva via di scampo, aveva perso ogni controllo. Le bocche di lupo avevo le sbarre in ferro, era la fine! Così decise di fumarsi una sigaretta, e una voce fuori campo dall’altra parte della porta, certamente quella di un poliziotto disse: “Stiamo aspettando lei, dottor Raimondi”.



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Racconto scritto il 09/04/2017 - 21:16
Da Pietro Valli
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