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LA NEVE DI MILANO (Ganden per Sempre!) - Seconda e ultima parte

INIZIO SECONDA PARTE -


Con l'autunno raccolsero castagne, con l'inverno giocarono la neve – quella vera. Lì a Daverio era come se si fossero chiusi in una di quelle magiche palle di neve da agitare e contemplare, come l'inizio di una favola incantata, in un posto apparentemente senza tempo, senza fine. Una sorta di vita parallela, che si erano voluti creare come antidoto dello schifo che finora erano stati costretti a vivere, basato sulla competizione, l'arroganza e la prepotenza. Cercavano di astenersi da ogni implicazione umana. Vivevano in una sorta si -sospensione-, sul “non essere”, sull'essere un -tutt'uno- come lo è il nostro corpo... con l'anima, pienamente accettato a chi crede – e loro ci credeva, veramente.
Faceva freddo. Erano rimasti a letto quella mattina fredda di dicembre. Era quasi Natale, il camino andava ma ancora non scaldava, la stufa troppo vecchia. Per dormire avevano unito 2 letti matrimoniali, e per scaldarsi si tenevano stretti. Fuori tutto bianco. Leonardo era sopra Gabriele. Pietro invece abbracciava Luca, che gli chiese ad un certo punto quello che non si sarebbe mai aspettato di sentirsi dire: “Dai, scaldami i piedi.” domandandoglielo sottovoce, continuando: “Sai che t'ho visto quella sera d'ottobre (-e Pietro ribatté mentalmente: “Ed io t'ho visto scopare con Leonardo invece!”), così come quando me li guardavi in salotto, sul tavolino – fallo ora, è il tuo momento!”. E così Pietro si mise in ginocchio – come la prima volta – ai piedi del letto, col -consenso-, toccando inoltre quelli di Leonardo e di Gabriele, impegnati in altro. Era Natale per tutti. Capodanno non lo passarono insieme ma ciascuno per conto proprio – a parte Pietro che si unì, su richiesta, a Leonardo, festeggiandolo a casa degli zii partiti per Parigi, a Canegrate. Una casa raffinata e gradiente, arredata anni 70, che Pietro trovò subito accogliente. Prolungandosi fino oltre le 4, Pietro – il sopravvissuto – decise guardando la collezione dei vinili, di mettere su un classico, “Reality”, dal film “Il Tempo delle Mele”, vedendo gli altri completamente K-O. Leonardo – l'altro sopravvissuto – toccò dentro Pietro -l'astemio- seduto in poltrona ad ammirare la desolazione che aveva davanti ai suoi occhi, che più che addormentati quei ragazzi sembravano proprio deceduti, oltre che strafatti. Lo invitò ad alzarsi prendendolo dolcemente per il braccio sinistro e lo portò giù in lavanderia, tra le bianche lenzuola e vecchi materassi. Pietro, sorpreso, cercò di fermarlo con un: “Allora ti sei fatto Luca nella vasca quando me ne sono andato e poi anche Gabriele la domenica prima di Natale, ora vuoi farti anche me?” - “Tu Pietro parli troppo e sai troppe cose.” - “Senti, ti ho già toccato i piedi mentre ti facevi Gabriele e adesso vuoi che ti tocchi anche qualcos'altro?!” Si fermò sorpreso, poi neanche un attimo e scoppiarono a ridere entrambi con l'esclamazione “Che schifo!” da parte di Leonardo, per poi perdersi nel locale sotto, abbandonandosi all'amore. E col nuovo anno appena iniziato, e con un ritardo di 5 ore dal vecchio appena terminato, anche Pietro venne finalmente sedotto, attonito, da Leonardo, perdendo ufficialmente – oltre al desiderio – anche la verginità.
Non poteva iniziare nel modo migliore, si disse Pietro tra sé e sé, perchè se l'inverno l'hanno passato tutti e 3 da Dio, anche la primavera non sarebbe stata affatto malvagia, azi, forse migliore della precedente stagione: iniziarono così i lunghi giri in bicicletta, la pesca -ai Laghi-, su e giù dalle balle di fieno lungo i campi di frumento, divertendosi poi a giocare a nascondino tra i boschi della zona, con le inculate al chiaro di luna – e i giornali sul parabrezza per non farsi notare. Si allungarono le giornate, così come le loro esistenze. Ritornò istintivamente quel tempo che infinito non sembrava più da molto tempo. E anche le loro età fecero automaticamente marcia indietro: man mano che passava il tempo le personalità dei ragazzi si fecero sempre più infantili – ribelli: andavano a fare la spesa montando sui carrelli e gareggiando in coppia, facevano scherzi ai pubblici ufficiali nelle cabine telefoniche, incominciando ad essere aggressivi coi primi furti da quattro soldi. Passavano i pomeriggi coi vecchi giochi di società come Cluedo, L'Erede Misterioso, Indovina Chi? e via dicendo. Gabriele, che era il più giovane, si divertì per esempio a riempire la casa di mattoncini del Domino per poi godere banalmente di quei 2 minuti di caduta “a catena”, facendo male una volta a Leonardo – camminando scalzo – per la gioia di Pietro, che prima lo rimproverò per il troppo fastidio che stava causando con quel maledettissimo -gioco- per poi, mentalmente, ringraziarlo – fosse stato qualcosa di più tagliente...
Ma i problemi arrivarono di lì a poco: Leonardo aveva smesso di fare i piccoli lavoretti che faceva al posto del defunto zio per i suoi amici. Pietro litigò con la famiglia, lasciando il lavoro da suo padre e senza far più ritorno a casa, campando e con-vivendo coi ragazzi – i suoi – con quel poco che aveva in banca. Luca si lasciò ufficialmente con Simona ormai stufa dei suoi -Silenzi- e delle sue continue assenze, facendosi contattare continuamente dagli amici di università e del Club. Infine Gabriel non frequentava alcuna università o corso e di lavorare proprio non se ne parlava – si faceva mantenere con quel poco che gli passavano i genitori dall'estero sul conto, spendendoli continuamente in serate coi suoi amici di sempre Edo e Alessandro. La coca e tutti gli allucinogeni finirono in poco tempo, dovendo venderli nella provincia per raccattare un po' di quattrini per le spese e il mantenimento. Incominciarono le prime fasi depressive, nonché le prime litigate tra loro – non sapevano più cosa fare. L'unico contatto umano o meglio, sociale era quello del traffico di droga. Per il resto, uscivano solo per acquistate viveri e cose per la casa o per qualche scampagnata. Coi pochi soldi rimasti in conto Pietro suggerì a loro di ri-ossigenarsi passando un po' di tempo fra i grappoli e le uve a Chianti. Così ai primi di maggio con la Bulli si trasferirono per un paio di settimane in Toscana, dispersi – come a Daverio – in mezzo ai campi, nella Natura, su di una collina. E lì c'era altra aria, le giornate senza nuvole, il panorama suggestivo tipico dei colli disegnati da un'infinità di vigneti e oliveti, i borghi stretti e antichi con le stradine sinuose e sterrate che percorrevano rigorosamente in bicicletta, i rossi tramonti delle 20, l'aria di primavera e l'odore dei campi non troppo lontani che dalla finestra un po' socchiusa inebriava d'amore le loro esistenze. E proprio d'amore si riempirono in quel grande letto a baldacchino, abbandonandosi continuamente ogni mattina, di pomeriggio e poi la sera, dopo cena. Pietro era timido, ma ci sapeva fare con la gente anziana – i saggi – e al contadino aveva offerto poco per quella cascina, in cambio di una mano per l'aiuto nei lunghi vigneti. Vedersi coi pantaloncini, le canotte bianche e corte, i cappelli di paglia e molto spesso scalzi fu una sorpresa per loro 4, alternando il lavoro dei campi con le scampagnate in bici tra le cascine, inseguendo farfalle, gareggiando lungo le discese per chi arrivava primo in paese. Intanto nell'aria Pietro mandava continuamente le frequenze de “Le Temps Est Bon” – quelli che furono.
La loro convivenza cessò drasticamente la sera dell'ultimo sabato di maggio. Ritornati indietro a malincuore da Chianti – il loro primo e ultimo viaggio perlomeno terrestre – vennero informati da Edo e Alessandro di un noto spacciatore posizionato alle Colonne che possedeva una certa quantità rubata di coca da rivendere a buon mercato. Luca, grazie ai giri del Cacao-Club, conosceva benissimo il soggetto in questione, ma per non avere problemi ne sospetti coi vecchi soci sulla propria presunta “sparizione”, Leonardo e Pietro decisero di contattarlo loro per trattarci assieme, così da rivenderla in provincia e guadagnare i soldi necessari per la convivenza. L'appuntamento era fissato per l'ultimo sabato di maggio, dietro la basilica di San Lorenzo Maggiore, nei giardinetti. Con estrema facilità – forse troppa – ritirarono la merce trattata in una piccola tracolla in cambio del denaro chiuso in un pacchetto vuoto di Camel Blue. Ritornarono indietro passando per la via Campo Lodigiano, dove ha sede la Scuola di Ballo del Teatro la Scala. Pietro stupito dall'insegna sul grosso portone disse: “Ehi, ehi, aspetta Leonardo! Guarda, qui c'è la scuola di ballo della Scala!” - “E che c'è di tanto strano?” Così Pietro prese il telefonino e mise su “Una Canzone Disonesta” di Stefano Rosso, iniziando a canticchiarne l'inciso e trottorellando per tutta la via, sottobraccio, alzando la testa al cielo sotto la debole pioggia di città che stava scendendo quella sera di fine primavera.
Ritornati a Daverio, trovarono la porta aperta, con tutte le luci della residenza completamente spente – qualcosa non andava. Entrarono di soppiatto, sussurrando i nomi di Luca e Gabriele, che non risposero. Qualcosa batteva su di sopra: colpi soffocati, ovattatati, come provenienti dal ripostiglio o da un armadio. “Mi sono risvegliato così – non so cosa diavolo sia successo!” si scusò Gabriele una volta ritrovato dentro l'armadio della camera legato e imbavagliato. Leonardo andò giù nello scantinato a ripristinare la corrente che era saltata – o peggio, tolta. Quando Pietro e Gabriele scesero giù al pianterreno all'ingresso del salotto videro quello che neanche minimamente avrebbero immaginato: c'erano Luca, Edoardo e Alessandro seduti alle poltrone – scalzi – con la bocca stracolma di bustine monodose di -neve-, completamente viola, morti per soffocamento. Dal giradischi intanto era partita “I've got a Feelin' you're Foolin'” nella versione di Nino Rota per “Assassinio sul Nilo”, messa su non di certo casualmente. Scioccati, Pietro mise la mano destra davanti agli occhi di Gabriele, sulla sua destra per poi spostarlo un po' più indietro e girarsi entrambi. Leonardo arrivò da loro, arricciandosi continuamente il naso per l'odore di kerosene che aveva sentito giù da basso – non erano soli, o almeno non ancora, e presto la casa sarebbe andata a fuoco. Decisero di caricare i corpi sulla Bulli, facendo presto quando incominciarono a vedere il fumo nero che incominciava a passare da sotto la porta dello scantinato. “Non l'aprire! Dobbiamo muoverci – non c'è più niente da fare, mi spiace!” intervenne Pietro, vedendo Gabriele davanti ad essa, ancora sottosopra e non sapendo più che fare nella sua residenza. Si allontanarono vedendo un bagliore di luce – quella della villa in fiamme – via, via sempre più lontana, mentre alla radio passava “Ci Sarà” della coppia AlBano-Romina. Seppellirono i corpi la sera seguente, ancora scossi, presso i “famosi” e noti boschi di Somma Lombardo. Da lì a breve le loro vite si divisero, ognuna per i fatti propri, con in comune la coscienza segnata profondamente da quello stile di vita e da quell'incidente certamente programmato e studiato bene dai soci del Cacao-Club, probabilmente informati dai due amici di Gabriele che vollero fare il doppio gioco in cambio di una improbabile ricompensa sulla vita del povero Luca – al quale Pietro piaceva tantissimo, tanto da proporgli il fidanzamento – rimettendoci poi anche la loro, senza contare magari lo zampino di Simona, che sicuramente sospettava o proprio sapeva, informando per vendetta i soci per indagare su di lui.
Pietro, da bravo “alchimista”, cercò di mantenere intatto il legame che aveva con Leonardo e Pietro, osservandone per lunghi mesi ogni spostamento: Gabriele ritornò certamente a Casorezzo, dove iniziò gli studi alla Statale però e laureandosi in lettere moderne, diventando così docente di filosofia in un paio di licei della zona. Non si sposò e per tempo curò sua madre terminale osservandolo spesso da dietro la finestra di casa, nelle sere d'autunno, ammirandone il fisico sempre snello, ben curato, con quei capelli sempre lunghi, lisci e biondi, raccolti a coda – “just like a woman”. Gli inviò pochi anni dopo un biglietto anonimo con scritto “Parlami delle gioie dell'Amore, come faceva spesso un tempo Socrate” ed era certo che, per quei versi, capì chi glielo avesse mandato. Leonardo invece si fidanzò e si sposò in breve tempo quasi da lasciare allibito Pietro che, stento a credere, lo seguì un pomeriggio per il centro di Legnano, nascondendosi e avanzando di colonna in colonna sotto il porticato davanti al Galleria. “Brutto frocio del cazzo – mò diventi pure padre?!” si lamentò fra sé e sé il gelosissimo Pietro, vedendo la moglie incinta e lui completamente tirato, distinto – col dolcevita – come se fosse uno di quegli intoccabili attori della vecchia Hollywood, alla McQueen. Così un giorno pensò di imbucargli una busta contente un paio di polaroid con loro che si baciavano durante Quelle notti – indirizzate però alla moglie.
Infine era rimasto solo Pietro, che pensò bene di tenere stretti i legami – questi – e, rimanendo senza soldi, senza tornare indietro, decise di nascondersi nella zona ricca alla periferia di Parabiago, elemosinando di villa in villa qualche lavoretto in cambio di vitto e alloggio. Dopo aver supplicato – disperato – un ricco banchiere di trovargli un lavoretto per sopravvivere, avendo perso non solo tutto ma anche tutti, venne accolto nella sua residenza, e dopo aver affascinato l'intera famiglia – anche lui – sulle gioie dell'Amore, l'esistenza e le meraviglie di questo affascinante pianeta, si dedicò al loro giardino – che ben presto diventò il proprio – con grande maestria e profonda saggezza, tipico delle persone totalmente sole e di altri tempi, diventando non solo giardiniere, ma anche maggiordomo, autista, insomma factotum, facendo crescere bene i 3 figli del padrone di casa e mantenendo così i solidi legami dei più profondi affetti del cuore, della mente e dell'intera esistenza, senza dimenticare degli altri 2 sopravvissuti che continuava – nel Silenzio – a vegliare.




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Racconto scritto il 04/01/2018 - 07:35
Da Pietro Valli
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