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GIADA- Seconda Parte

Giada era in piedi, dietro la porta, una mano, tesa verso il campanello che non osava suonare. L'altra stringeva il quaderno e il libro di italiano. Era una sciocca. Cosa diamine stava facendo? Si sarebbe resa ridicola...eppure, voleva sperare che non sarebbe stato così. Era passata una settimana, da quando aveva parlato col suo vicino, e ora...ora, stava...facendo cosa? Non lo sapeva di preciso. Voleva suonare, ma il coraggio le mancava. In quella settimana, si era sforzata di riprendere, la sua routine, era tornata a scuola, si era buttata sui libri, immergendosi a capofitto nello studio, ma nulla era come prima, e sempre più spesso si era rintanata in casa, ora con una scusa, ora con un'altra, semplicemente, perché non riusciva a fingere che non fosse accaduto niente, e frequentare i soliti amici, soprattutto le dava fastidio, vedere la felicità delle altre coppie. Era una sciocca, a maggior ragione, che stava cominciando a pensare, che era stata ferita più nell'orgoglio, che nel cuore. Ma che in fondo, non voleva ammetterlo, neanche con se stessa. Si sentiva così confusa! Aveva bisogno di parlare con qualcuno, che la stesse semplicemente ad ascoltare, qualcuno che potesse capirla o almeno provarci, e si era detta che forse il professore...e magari stava sbagliando tutto. Trasse un respiro e suonò il campanello, pregando che lui fosse in casa, e che non avesse scelto il momento sbagliato. Era così agitata!
Il campanello lo distolse dai suoi pensieri. Chi poteva mai essere? Si alzò svogliatamente, e andò ad aprire. Rimase pietrificato, quando la vide.
«Giada, ciao. Come va? Hai bisogno di qualcosa?» Sorrideva, e sembrava contento, non infastidito. Ma era poi così?
«Ecco...io non vorrei disturbarla...» Lui sorrise ancora.
«Ma che disturbo! Su vieni, entra!» Si fece da parte per farla passare.
«Ecco...io veramente volevo chiederle una cosa.» Disse, entrando. Il grande tavolo, ingombro di carte, attrasse la sua attenzione. «Però non vorrei disturbare.»
«Ma,no, te l'ho detto. Stavo correggendo dei compiti, ma non ti preoccupare, una pausa non può che farmi bene!» Sorrideva ancora. Era più bello, quando sorrideva, e poi era la prima volta, che lo vedeva vestito in modo informale. Sembrava più giovane. Aveva fatto bene? Mandò a memoria, la scusa che aveva preparato, sperando che non sembrasse troppo falsa.
«Vede, ho saltato alcuni giorni di scuola, e questi esercizi d'italiano, è la sua materia, no? Be' non li ho capiti molto, potrebbe controllarli?» Lui, sorrise, un po' enigmatico.
«Certo, vieni, mettiamoci al tavolo.» Disse, precedendola, per fare spazio. Lei era agitata.
«Allora, fammi vedere.» Lei gli porse, il libro e il quaderno. Indugiando solo una frazione di secondo, prima di lasciare la presa. Ma cosa diavolo le succedeva? Lui si mise a leggere con attenzione, mentre lei, sedeva rigida ed impacciata. Poi con aria seria, posò il quaderno, si tolse gli occhiali e gli appoggiò sul tavolo, guardandola dritta negli occhi.
«Allora, dimmi Giada, cosa c'è che non va? Di cosa vuoi parlarmi?» Lei arrossì.
«Come, scusi? Gliel'ho detto...quegli esercizi...»
«Sono perfetti. Neanche un errore.»
«Davvero? E forse...ecco..sì allora...» Arrossì.
«Giada, non le sai dire le bugie.» E forse è meglio, così pensò tra sé.
«Bene...allora vado...» Lui le prese una mano.
«Resta. E dimmi, cosa ti ha portato qui.» I suoi occhi erano gentili, ma fermi.
«Mi sento così confusa...vorrei parlare con qualcuno...ma, ho sbagliato a venire. Non ho diritto, di farle perdere tempo, con delle sciocchezze inutili.»
«Ascoltami bene, ti ho detto che potevi venire, ogni volta che volevi, e non sono tipo da raccontare in giro fandonie. Dico solo quello che penso. Sempre.» La guardò apertamente.
«E allora, cosa pensa di me? Di sicuro che sono una sciocca.»
«Questo l'hai detto tu. Cosa penso. Penso, che sei molto bella, intelligente e molto giovane. È normale, alla tua età essere confusi, sai?»
«Dice sul serio? Pensa questo?»
«Sì. E ti dirò di più, tutti, ci sentiamo confusi, prima o poi, a qualsiasi età.»
«Anche lei?» Chiese sorpresa.
«Anche io. Non sono fatto di ferro, sai?»
«Pensavo, che la nostra storia sarebbe durata in eterno...come nelle favole...» Sospirò.
«È questo il problema, sai? Vorremmo che le cose, durassero, così per magia, senza mutare mai. Ma non è così. Le persone, le situazioni cambiano, e l'unico modo, per far durare qualcosa, è ricostruirla ogni giorno. Demolire e rifare.»
«Demolire? E la strada fatta?»
«Quella non si cancella. Ma Giada, la vita, si rinnova ogni giorno, ogni minuto. Pensa alle stagioni. I fiori nascono ogni anno, ma non sono mai gli stessi, anche se hanno lo stesso nome. Così noi.»
«Cosa intende?» Lo ascoltava con interesse. Aveva una bella voce.
«Noi siamo il risultato dei nostri sbagli, e delle scelte fatte o non fatte. E ogni minuto cambiamo. Qualsiasi cosa, anche la più piccola, ci arricchisce e ci muta. Se teniamo davvero a qualcosa, o a qualcuno, dobbiamo imparare a guardarlo sempre con occhi nuovi. Non limitarci a ripetere gli stessi gesti. Se facciamo o diciamo una cosa, oggi, non si perderà di certo domani, ma domani, ci sarà qualcosa di nuovo da, fare, da dire, altrimenti prima o poi le cose di deteriorano e finiscono.»
«Come quando, lasciamo un oggetto in disparte e si ricopre di polvere.» La voce di Giada, era bassa.
«Sì è così. E vale anche con le persone.»
«Ma lei ci crede all'amore?» Bella domanda. Ci credeva?
«Sì. Ci credo. Tu no?» Giada, stette un poco in silenzio, pensierosa.
«Non lo so. Credevo che il mio fosse amore, ma comincio a pensare che forse non era così...» Lui le sorrise.
«L'amore va coltivato ogni giorno, in qualsiasi modo. E poi ci sono amori e amori.»
«Che vuol dire?»
«Alcuni amori, nascono già forti, altri lo diventano, altri ancora, sono molto fragili, quasi precari, eppure nulla li può spezzare.» Il tono era più amaro, ora.
«Posso farle una domanda?» Sembrava molto seria.
«Certo, spara.» Cercò di sdrammatizzare.
«Lei è innamorato?» Arrossì, accorgendosi che in fondo non voleva che le rispondesse. Lui non rispose subito quella domanda l'aveva spiazzato.
«Sì. Giada, sono innamorato.» Non le piacque molto quella risposta. Ma perché? In fondo doveva aspettarsela.
«Ed è felice?» Lui sorrise amaro.
«Ci sono momenti in cui lo sono.»
«Quindi non è felice sempre?»
«E chi lo è, a questo mondo?» Lei ci pensò su, un attimo.
«Forse ha ragione. E forse sono una sciocca. Ma penso che quando ci si ama, be' tutto sembri migliore....»
«Non sei sciocca. Vedi ci sono amori e amori. Il mio, purtroppo non è corrisposto.»
«Ah, e lei la ama lo stesso?»
«Più di quando, potrei spiegare. In fondo non si spiega l'amore.» Lei lo guardò, provava una strana emozione nei confronti di quella donna, che neanche conosceva. Ma cos'era?
«E pensa che ne valga la pena?»
«Ogni momento. Quando si ama, s'impara anche a volere che l'altro sia felice.»
«E cosa mi dice del lottare?» Lui sospirò.
«Io lotto ogni giorno. Contro la logica, la ragione, forse anche contro me stesso. Non è facile da dire. E ci sono mille modi per lottare.»
«Per esempio?»
«Farsi da parte, stare ad ascoltare, essere presenti al momento giusto. Non chiedere, non forzare l'altro. Ogni amore ha un corso.»
«Questa donna sa dei suoi sentimenti?»
«Non esattamente. Sa che sono innamorato, ma non sa che amo lei.»
«Perché non gliel'ha mai detto?»
«Perché se lo facessi, la perderei.» Quella strana, indefinibile sensazione, le pungeva il cuore e faceva un male cane, ma non ne capiva il perché
«Oh, capisco...anzi no, non capisco. E sa che penso? Che quella donna deve essere stupida, per non aver compreso che l'ama.»
«No. Giada. Non è stupida. Vedi, spesso, non vediamo quello che abbiamo sotto gli occhi. Ci sono cose, di cui capiamo l'importanza, solo quando ne sentiamo l'assenza.»
«Lo crede davvero?»
«Sì Giada, lo credo davvero.» Perché di colpo si sentiva triste?
«Forse ora dovrei andare...»
«Perché? Sono meno infallibile ai tuo occhi, ora che sai che sono innamorato?»
«No. Ma sono più confusa di prima.»
«Perché?» E come faceva a dirglielo?
«Ecco...sì...vede non è facile, da dire. Ma lei sembra così sicuro dei suoi sentimenti, che un po' la invidio.»
«C'è poco da invidiare. Sono sicuro dei mie sentimenti, perché ho combattuto molto, per ignorarli.»
«Perché voleva ignorarli?»
«Sapevo che erano sbagliati.»
«E come faceva a saperlo?» E cosa, poteva mai dirle, senza tradirsi?
«Vedi, Giada, forse mi sono espresso male. Forse avrei dovuto dire che credevo, fossero sbagliati. So che non lo sono, non è mai sbagliato amare, ma spesso, ci lasciamo imbrigliare dai luoghi comuni, e dimentichiamo che siamo liberi di scegliere.»
«Tiene davvero tanto a lei?» Chiese. Ma neanche questa risposta voleva sentire.
Lui la scrutò attentamente, di colpo si era rabbuiata, e aveva cominciato a fare discorsi strani, ma era decisamente troppo sperare che fosse gelosa. Doveva restare coi piedi per terra. Ma l'amava da morire.
«Sì.»
«Dovrebbe dirglielo. »
«Hai, ragione. Dovrei farlo. Ma non posso.»
«Se l'ama tanto dovrebbe rischiare, altrimenti non è vero amore.» Disse aspra. E mentalmente si diede della stupida. Perché era così complicato e cosa le succedeva tutt'a un tratto?
«No, Giada, ascoltami bene, ci sono delle scelte da fare, per il bene dell'altro.»
«Non può sapere se è così.»
«Invece lo so. Se le parlassi, ora, saprei che reagirebbe male. E non solo la perderei, non mi perdonerei mai di averla fatta soffrire.»
«Ma come può esserne così sicuro?»
«Quando ami qualcuno, se lo ami davvero, impari ad osservarlo e a comprenderlo.»
«Lei è un uomo speciale.» Disse sinceramente, e arrossì.
«Non lo sono, credimi.» Le sorrise, e lei fece altrettanto.
«Non è arrabbiato, con me, perché le ho fatto perdere tempo, vero?» Lui sorrise, con aria un po' cospiratrice.
«Vuoi sapere la verità?»
«Sì.»
«Ero arrabbiato, prima, coi miei studenti. Non sono dei buoni compiti.»
«Che strano...con un professore come lei! Io starei ad ascoltarla per ore!» E arrossì ancora. Ma cosa le accadeva quel giorno? Lo guardò apertamente. Era così bello senza occhiali, i capelli, arruffati...ebbe la tentazione di sfiorarlo, ma non lo fece. Arrossì ancora di più.
«Sei molto gentile...i miei alunni trovano le mie lezioni alquanto tediose»
«Non ci credo! » Lui le sorrise.
«È così. Dopotutto, è normale. C'è una certa differenza d'età.»
«L'età è solo mentale.» Sbottò lei.
«Che vuoi dire?»
«Voglio dire, solo che per me le persone si distinguono in mature o immature, e l'età anagrafica, non c'entra proprio nulla.»
«Davvero, pensi questo?»
«Sì. Altrimenti, non ci sarebbero stupidi, da una certa età in su. E poi l'ha detto lei. Tutto muta, tutto cambia, ma c'è anche chi si oppone al cambiamento, e deteriora sé stesso e gli altri.»
«Lasciati dire che è un ragionamento molto maturo, il tuo.» lei arrossì.
«Grazie. Forse ora dovrei proprio andare...»
«Va bene. Ma ricordati, che per te la porta è sempre aperta, e non occorre nessuna scusa.»
«Va bene. Lo ricorderò.» e lasciare l'appartamento di lui, le costò uno sforzo immane. Cosa le era accaduto? Accanto a lui si era sentita bene, sarebbe rimasta ad ascoltarlo ancora, e ancora, tranne quando aveva cominciato a parlare della donna che amava. Sì, ma perché d'improvviso, si era sentita così? Confusa, tornò a casa, e si rifugiò di corsa in camera. Aveva voglia di ridere, e piangere, e poi mettersi ad urlare. Ed era la prima volta, che le capitava una cosa simile. Cos'era?


Gettò all'aria i compiti. Dannazione. Come aveva fatto ad essere così stupido? Le aveva detto in pratica di amarla. Dannazione! Ma le era venuto così facile parlarle. Era quello lo stramaledettissimo problema di sempre. Con lei era facile tutto. Scherzare, sorridere, parlare. In fin dei conti era fin troppo facile amarla. Si appoggiò al muro. Era un uomo, doveva reagire. Ma non era facile. Si sentiva perso. Lei era a pochi passi, vicina e lontana come non mai. Le aveva detto che sarebbe potuta tornare quando voleva. Ma non era sicuro di aver detto una cosa molto sensata. Un conto, era dire, che si era abituato ai suoi tormenti, un conto era la realtà, quando tutti i suoi tormenti, si riacutizzavano con così dolorosa precisione.
Lei era giovane e bella. Lui si sentiva, come un rudere da demolire. Non era riuscito a mentirle, a inventare qualcosa, no, le aveva detto solo ciò che credeva nel più profondo, e sapeva che era stata la cosa, giusta da fare, anche se adesso ci stava male. Male sul serio. Come avrebbe fatto ad affrontarla in futuro? Forse, era davvero giunto il momento di farsi da parte, e in modo definitivo. Forse...ma non sapeva se ne avrebbe mai trovato il coraggio. E già sentiva le lacrime rigargli il volto. Non voleva perderla, ma rischiava davvero di perderla? In fondo non l'aveva mai avuta.


Giada se ne stava sdraiata sul letto, a guardare il soffitto. Gli occhi, umidi di lacrime. Erano passate due settimane, da quando era andata la prima volta, nell'appartamento del professore. E da quel giorno, non era stata più in grado di fare a meno di pensare a lui, e a quello che le aveva detto sull'amore. Aveva cominciato a guardarlo di nascosto, a osservarlo...e sempre più spesso aveva fatto in modo di capitargli a tiro. Le mattine, quando lui aveva la prima ora, si dava un gran daffare, per incrociarlo in cortile, e magari estorcergli un passaggio. E spesso nei pomeriggi, gli era capitata in casa. E lui non l'aveva mai mandata via. Anzi, l'aveva sempre accolta con il sorriso. E lei ora si sentiva morire. In quelle occasioni avevano parlato di tutto, senza riserve, e ogni volta che l'aveva sentito ridere le si era aperto il cuore. Spesso non vediamo quello che abbiamo sotto gli occhi...le aveva detto una volta. Ed era così. Come era stata cieca! E ora, come poteva fare? Si era innamorata, dell'unico uomo che non poteva avere. Ma lo amava. Tra loro, si era instaurato un buon rapporto, e ormai si davano del tu, come se si conoscessero da una vita, ma era proprio quello il problema. Cosa doveva fare? Ora che si era innamorata di lui, cominciava a comprenderlo. E si era accorta di quando fosse triste in quegli ultimi tempi. E lei non voleva. Certo, non voleva vederlo neanche accanto all'altra donna...ma. Ora basta, doveva parlargli. Doveva andare da lui. Anche se per l'ultima volta. Maledizione! Come aveva fatto a trovarsi in un simile pasticcio? Lui era l'unico che la capisse, l'unico con cui poteva essere se stessa, e se ne era innamorata...per davvero. Lo amava. Si alzò di scatto doveva andare da lui. Subito.


Era appena uscito dalla doccia. Aveva infilato un paio di vecchi jeans, e si era buttato a dosso una camicia, che aveva lasciato aperta. Si passò una mano tra i capelli ancora, bagnati. Era stanco. Le ultime settimane, erano state particolarmente pesanti. Il campanello, ruppe il filo dei suoi pensieri. Chi poteva essere? Andò ad aprire, senza curarsi troppo del suo stato. Sulla soglia, stava Giada. Gli sembrava molto scossa.
«Giada, cosa c'è, è successo qualcosa?» Era preoccupato.
«Posso, parlarti?» Lui le sorrise.
«Certo, entra.» Lei entrò, ma sembrava strana.
«Giada, cosa c'è? È stato Ettore, a farti star male?» Se era così l'avrebbe ucciso con le sue mani. Eppure negli ultimi tempi gli era parso di capire, che quello era un capitolo chiuso e archiviato.
«No. Ma ho bisogno di dirti una cosa.»
«Sai che mi puoi dire tutto.» “Tranne che ti sei innamorata.” pregò in cuor suo.
«Io...ultimamente sono...sì sono preoccupata per te.» Questo non se lo aspettava.
«Per me? Io sto bene, Giada.» Più o meno. Lei scosse la testa.
«Non è un buon periodo per il tuo amore, vero? Ti vedo sempre così triste...» Che cosa poteva mai dirle?
«Giada, te l'ho già detto. Non sempre si può essere felici.» Lei fece un passo verso di lui.
«Sì, l'hai detto. Ma non è giusto. Non te lo meriti...»
«Giada...» Lei aveva gli occhi lucidi di lacrime.
«No! Stammi a sentire, devi andare da lei, glielo devi dire...anche se io...io non posso...sopportarlo...» Cosa le aveva detto? Si erano avvicinati ancora.
«Giada, cosa stai dicendo?»
«Io non posso sopportare di vederti con un altra donna!» Ora lei era appoggiata al suo petto. Allora aveva capito bene. Lei lo stringeva, tra le lacrime, e lui non poteva più andare avanti così. Le baciò i capelli.
«Giada, non c'è nessun'altra donna.» Gli costava ammetterlo.
«Cosa?» Lei sai staccò di colpo da lui. «Allora mi hai mentito.»
«No. Questo non devi dirlo.»
«Ah, no? E allora, il tuo grande amore? La donna che non potevi avere? Se non è mentire questo, cos'è?» Trasse un respiro.
«Giada. Io non ti ho mai mentito. Mai.»
«E allora spiegami, perché non capisco proprio! Io ti amo...e non so più che pensare. Non sei l'uomo che credevo.»
«Giada. Ascoltami. Non ti ho mentito mai. Mi hai capito? Mai. Ogni cosa che ti ho detto è vera.»
«Che vuol dire che non c'è un altra donna, allora...sei...»
«Sono innamorato di te.» Giada sgranò gli occhi.
«Di me? Non può essere...» Lui, le si avvicinò prendendola tra le braccia.
«No? So bene di essere troppo vecchio, e tutto il resto. Ma ti amo da tanto, ormai.»
«Quella mattina...quando sei venuto per il caffè...»
«Caffè? Giada, il caffè era l'ultima cosa che mi serviva. Volevo vedere come stavi, ero preoccupato perché non ti avevo vista a scuola.» lei tremava, tra le sue braccia.
«Vuoi dirmi, che ero gelosa di me stessa?» Sospirò. «Perché non me l'hai detto prima?»
«Perché ti avrei, persa. Averti accanto, senza poterti dire nulla è stata una tortura.»
«Emilio...cosa ti ha fatto cambiare idea?»
«Non potevo continuare così. Ci stavamo facendo solo del male. L'ho capito, quando ti ho vista.»
«Allora, è vero? Mi ami?»
«Più di quando immagini.» lei si strinse a lui.
«Ti amo anche io...e non sei vecchio, sai?» Lui le sorrise, e chinò il volto a cercare il suo, per baciarla.
La gioia provata in quel momento fu più forte di tutto il male, che pur senza volere si erano fatti.


FINE




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Racconto scritto il 20/01/2018 - 19:38
Da Marirosa Tomaselli
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Commenti


Storia molto romantica e vera. Ma l'amore non ha ostacoli e se è vero amore, vince le differenze di età.

Teresa Peluso 21/01/2018 - 08:47

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