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Manuella

La serata era bella, sembrava a tutti l’ideale per la traversata.
Poche nuvole si rincorrevano davanti alle stelle, la brezza dal mare faceva fremere le camicie degli uomini, le gonne colorate delle donne, i lembi delle copertine nelle quali erano avvolti i bambini più piccoli.
Quando lo scafo cominciò ad avanzare nell’acqua, da principio adagio, poi sempre più velocemente, Manuella emise dei gridolini di giubilo. Come lei tutti i ragazzini assiepati a prua, trovarono in un primo tempo divertente ricevere gli spruzzi salati sulla faccia, sulle magliette presto fradice. Man mano però che l’imbarcazione si inoltrava in mare aperto, l’oscurità sempre più fonda incuteva un crescente timore nei ragazzi, che si stringevano ormai silenziosi uno all’altro. Tranne i più piccoli che, come Manuella, corsero, inciampando in ogni sorta di ostacolo – persone coricate, fagotti, piedi – alla ricerca della propria madre.
Manuella trovò la sua raggomitolata su se stessa, appoggiata a una gomena arrotolata: il marito, il papà di Manuella, le accarezzava i capelli e la pancia, sussurrandole che sarebbe andato tutto bene, che in Italia tutto sarebbe stato a posto, che sarebbe stato meraviglioso far nascere lì il nuovo bambino. Manuella si accoccolò dove potè, la mamma si accorse di lei e la abbracciò, proprio quando stava per cominciare a piangere. Non sapeva cos’era, se il senso di paura del buio e il freddo della notte, o questa faccenda del nuovo bambino, suo fratello dicevano… come se fossero sicuri che sarebbe stato un maschio. Maschio o femmina, a lei in ogni caso non stava bene. O forse sì, ma a patto che la mamma tornasse subito a ridere e a giocare come faceva prima, con lei; mentre ora, con quel pancione, si stancava subito, era sempre coricata.
Papà aveva detto che sarebbero andati in una bella casetta, che lei Manuella avrebbe avuto una camera da dividere col nuovo arrivato, era già tutto pronto, papà da un bel po’ lavorava in Italia; la mamma aveva detto che da solo non resisteva più, meglio fare la traversata prima che nascesse il bambino, meno problemi… Io ho il 'certificato', aveva detto il papà, sarà solo una questione di tempo, poi l’avrete anche voi. Aveva chiesto a suo papà cosa fosse, il 'certificato': le aveva risposto che era come una bacchetta magica, che chi ce l’aveva poteva andare quanto voleva, tra l’Albania e l’Italia…
Manuella da allora pensava a suo papà con il cappello da fata e la famosa bacchetta, che volava di qua e di là dove voleva, e non vedeva l’ora che arrivasse anche a lei il certificato...
Le vennero anche in mente le parole che aveva sentito ripetere dalla nonna: ma perché tuo padre non ha pazienza, non aspetta ancora un po’… sicuramente ancora qualche tempo, poi anche voi potreste andare tranquillamente, magari in aereo…
“Sììììì!...IN AEREO !!!!” aveva gridato Manuella.
Ma suo padre non dava mai retta alla nonna, ed ora erano lì, per fortuna che la casa era pronta, che 'sapevano dove andare', aveva detto la mamma.
La barca rollava, la mamma forse vomitava, e intanto Manuella si addormentò, sognando camerette fatate dove lei e la sua sorellina, che almeno fosse una sorellina, no? avrebbero potuto giocare alla maestra e al negozio, il suo gioco preferito.
Il risveglio fu brusco, dal sogno che però intanto era diventato un incubo, con lei che batteva i denti mentre il nonno la trasportava sulla vecchia carriola arrugginita, su e giù, ondeggiando sempre più violentemente, mentre lei piangeva, aveva tanta paura di cadere “no, nonno, noooo!”
I denti li batteva davvero, ed era la barca ad ondeggiare violentemente. Non cominciò a piangere, solo perché aveva promesso a papà e mamma che non avrebbe pianto, nel momento in cui tutti si sarebbero agitati molto, e certo era quello il momento.
Infatti tutti gridavano, si muovevano, la mamma era in piedi, aggrappata a papà, la chiamavano perché si alzasse. Lei, Manuella, sarebbe stata con lo zio Albi, l’avrebbe tenuta lui, mentre scivolavano giù dalla barca. Tutti scendevano, spruzzando, gridando, era impossibile non gridare, e Manuella gridò a pieni polmoni quando l’acqua come un ghiaccio nero l’avvolse tutta. Lo zio la teneva con la testa sopra le onde, un po’ nuotando un po’ camminando con l’acqua che gli arrivava alle spalle. Manuella urlava mamma mamma, perché aveva promesso che non avrebbe gridato né pianto, ma ora gridava e piangeva, voleva con tutte le forze essere rimasta a casa.
Risalirono la spiaggia come pecore bagnate e disperate, lo zio Albi abbracciava Manuella e le sussurrava una canzone che le aveva sempre cantato, fin da quando era piccolina.
Parlava di una casa sul monte, dove il camino fumava e la cena cuoceva, e la nonna filava.
Manuella era stanchissima, pensava che fosse quel buio sabbioso il regno dei morti che le diceva sempre il nonno, non poteva essere più brutto e triste di così…
Poi lo zio la posò sulla sabbia, tutt’intorno c’erano relitti bagnati come loro, e altre persone che si affaccendavano con coperte e asciugamani. Improvvisamente due mani forti le strinsero le braccia: “mamma!” gridò, ed era proprio lei, che rideva e piangeva baciandola, tutta bagnata.
L’ultimo pensiero di Manuella, prima di cominciare il viaggio in auto verso quella casa della favola di suo papà, l’ultimo pensiero prima di riaddormentarsi fu per il pancione della mamma.
L’acqua non l’aveva fatto sparire. Lei, in fondo, l’aveva sperato…



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Racconto scritto il 18/08/2013 - 16:53
Da Irene Fiume
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