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Il calore della famiglia

Comodamente seduta nella poltrona dallo schienale curvo del salottino di Nonna Pina, la signorina Ninetta soleva trascorrere l’intera mattinata a fare dei lavoretti all’uncinetto: centrini da mettere sui cassettoni e sulle credenze, sotto la scatola dei preziosi piuttosto che sotto i vasi di fiori o sotto il centrotavola di cristallo che la nonna Pina le aveva lasciato perché sapeva che le piaceva tanto. Non lo faceva per necessità, quello era il suo passatempo preferito, faceva vari lavoretti, e li metteva da parte. Non sarebbero mancate le occasioni per fare un presente: un invito a colazione dai vecchi amici di famiglia, che come loro conservavano il senso del rispetto e dell’amicizia e avevano fortemente radicato in loro il galateo. Inoltre amava regalarli anche ai nipotini, i figli dei fratelli o ai vicini che erano soliti farsi avanti ogniqualvolta avevano bisogno della loro cortesia e, spesso, andavano a far loro compagnia. “Zia Nina”, erano soliti dire i piccoli che frequentavano la loro casa ”mi racconti una fiaba ? quella dei tre porcellini che mi piace tanto?” “Zia perché non ci racconti la favola della fontana d’oro o quella di ‘Putrsnella’(forse era la forma dialettale di ‘Prezzemolina’)?” “Tu sei così brava a modulare e a cambiare la voce quando cambiano i personaggi della favola nei quali sembri immedesimarti!” diceva Rachele, nipote della donna che faceva le faccende di casa da prima che loro nascessero e viveva con loro, era oramai una di casa. Era questo il clima che si respirava nelle case delle persone del loro livello ai loro tempi!
La stanza preferita di Ninetta era il soggiorno. Una finestra davvero molto grande, occupava infatti quasi tutta la parete, consentendo alla luce di illuminare tutto l’ambiente e lei, Ninetta ne aveva bisogno per lavorare il filo più sottile della ”Freccia”, che usava per realizzare quelle meraviglie di pizzi che a volte applicava alle stoffe di seta e ne faceva fodere di un certo valore per cuscini da arredo che regalava in occasione del Natale.
Ninetta e sua sorella sedevano una di fronte all’altra davanti alla finestra, ma Agnese preferiva sedere su una sedia di quelle con lo schienale diritto e alto e che erano posizionate attorno al tavolo dove pranzavano.
La stanza, in verità tutta la casa, era arredata con molto gusto. I mobili antichi, di legno di noce intarsiato, avevano un valore inestimabile. Alle pareti erano fissati quadri a olio, dalle cornici importanti, raffiguranti i componenti della famiglia ripresi a figura intera da un pittore del posto il cui nome non ci è dato conoscere.
Le due donne sembravano parte integrante di quel quadro degno del più grande pittore di tutti i tempi. Ninetta, dalla figura esile e minuta intenta al suo passatempo che richiedeva molta accortezza e pazienza, e Agnese, alta e slanciata, ma dolce nell’aspetto quanto la sorella, muoveva e intrecciava con grande maestria i bastoncini del tombolo seguendo un disegno, che lei stessa di volta in volta creava, spostando gli spilli di qua e di là. Entrambe erano sobrie e seriose nel vestire, sebbene non mancasse un vezzo: un colletto di merletto bianco con il ricamo ‘Chiacchierino ad Ago’, da collegiale impreziosiva e dava loro un che di civettuolo.
Agnese era stata in un collegio di suore, in Offida, un paesino di quattromila anime in provincia di Ascoli Piceno, dove aveva imparato a suonare il pianoforte e a fare dei lavori meravigliosi al “tombolo”. In occasione del genetliaco della sorella, Agnese deliziava i convenuti eseguendo al pianoforte, con grande maestria, le musiche famose di Mozart e Chopin. Dal pianoforte a coda, che occupava una buona parte della grande sala dove gli ospiti venivano solitamente intrattenuti, veniva fuori un suono puro e pulito .
Di tanto in tanto Ninetta e Agnese si lasciavano andare ai ricordi. Allora una luce particolare
illuminava i loro volti e un senso di pace e di serenità pervadeva la loro persona. Lo spettatore che si trovasse a osservarle mentre, ignare, le sorelle con i loro modi da pulzelle di altri tempi, sottovoce, quasi sussurrando si scambiano le impressioni, si danno consigli, fanno reciproci apprezzamenti sui lavori, i materiali, i colori che scelgono per realizzarli, verrebbe anche lui pervaso da un senso di tenerezza e di amore che una simile scena trasfonde.


Il giorno in cui Mariuccia fu introdotta nel soggiorno alla loro presenza, le due donne erano intente a rievocare il bel periodo della loro infanzia e della loro giovinezza, il cui ricordo era indelebile nella loro mente. Allora il loro stimato padre, al quale avevano imparato a rivolgersi dandogli del ‘voi’, era ancora in vita e, amabile e dinamico come pochi, soleva prenderle per mano e portarle a fare delle lunghe passeggiate in campagna o al mare. Durante il percorso aveva l’abitudine di parlare alle sue bambine di tutto quello che catturava la loro attenzione: esaltava il profumo e la bellezza dei fiori e li chiamava con il nome scientifico, invitava le bimbe a imparare a discernere il profumo delle diverse piante, ne svelava l’utilità e la funzione. Papà molto attento, esortava le sue deliziose creature a coprire sempre il capo, sotto il sole cocente, con una paglietta o, in mancanza di quella, con un fazzoletto per evitare un’insolazione. Ripeteva continuamente loro che avevano degli occhi tanto belli e tanto grandi che il prato ci si specchiava come in un lago. E ancora diceva: ”Non tenete lo sguardo fisso sul sole, i vostri occhi di quel bel colore verde chiaro sono particolarmente sensibili e ne potreste avere un danno permanente, mi raccomando fate tesoro dei consigli del vostro papà!”
“Si, padre, voi siete molto saggio e ci dimostrate amore immenso ogni momento della giornata, avete nei nostri riguardi premure che non abbiamo riscontrato in altri papà verso i propri familiari; per il rispetto che meritate e per l’educazione che vi preoccupate di impartirci e soprattutto trasmetterci, noi non vi deluderemo”, erano solite rispondere, quasi all’unisono, le nostre protagoniste.
Non era per caso che il loro genitore fosse così ricco di buone maniere! In paese gli abitanti chiamavano lui ‘don Francesco’, la sua consorte ‘donna Rosa’.
Era una famiglia di discendenza nobile, ma la loro nobiltà si manifestava soprattutto nel comportamento, nel modo in cui si rivolgevano alla gente, che si trattasse di persone conosciute oppure no, nel tenere fede alla parola data sempre e comunque. Tutto il paese pianse la perdita di un cittadino di altri tempi quando, purtroppo, venne a mancare. Tutti vollero accompagnare quel ”brav’uomo d’altri tempi” nel suo ultimo viaggio per le vie del paese, verso il viale del tramonto,
fino alla sua ultima dimora.
Agnese e Ninetta per molto tempo non riuscirono a credere che il loro papà non c’era più. Non lo avrebbero più sentito chiedere loro ”allora, ditemi, com’è andata la giornata oggi? Che cosa avete fatto di nuovo e di bello a scuola? Che cosa hanno detto le maestre in merito al lavoro che avete svolto a casa? E’ andato bene?, Sono rimaste soddisfatte? Su bambine, ditemi!”
“Il mio adorato padre”, diceva Ninetta,”ci ha rispettato come fossimo adulte sue pari quando eravamo bambine e poi da adolescenti e da signorine.” “Non ci ha mai trascurate”, continuava Agnese, “noi, le sue adorate bambine dai riccioli d’oro e dagli occhi verdi eravamo per lui la ragione di vita, il centro dell’universo!”
Mariuccia si era resa conto che le signorine Ninetta e Agnese non si erano accorte che ferma davanti alla porta del soggiorno c’era lei. Non aveva ritenuto opportuno disturbare quelle due sorelle che sembravano più amiche e confidenti nel rievocare il periodo felice trascorso con il caro ‘don Francesco’. Ma non voleva sembrare indiscreta e decise di fare un colpo di tosse. “Oh, prego, Mariuccia, venite pure avanti. Diteci, qual è la ragione della vostra gradita visita? Spero che ci portate buone nuove”, disse Agnese. Era sempre lei, Agnese la più risoluta, scattante, intuitiva la prima a intervenire.
“Sono venuta a pregarvi, signorina, di darmi delle lezioni di pianoforte. Io amo la musica e mi è venuta la passione per il pianoforte quando, al compleanno di vostra sorella avete così magistralmente eseguito le musiche di Mozart. Vi prego di darmi qualche lezione, e spero di non offendervi se mi permetto di assicurarvi che vi pagherò come posso.”
“Cara Mariuccia, non dovete neppure pensare di volermi ricompensare. Vi darò volentieri delle lezioni di piano che sono già state ampiamente pagate dalla cortesia che in più occasioni voi e vostra madre vi siete preoccupate di usarci. Bando alle chiacchiere, prima che spuntino le lacrime da quegli occhini blu. Si comincia domani nel primo pomeriggio. Va bene alle 15,30?”
“Non potrebbe andar meglio. Grazie, grazie …risponde al vero quanto dicono di voi che siete brave e molto generose”




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Racconto scritto il 08/09/2013 - 20:28
Da Marianna Bonno
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