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La forza di vivere

Giulia si è seduta su di uno scoglio, il suo sguardo si perde in lontananza, oltre l’orizzonte, il mare davanti a lei è di un azzurro intenso, quasi calmo, solo di tanto in tanto sente il rumore delle onde che s’infrangono contro la scogliera, dovute forse a una barca o a una nave in lontananza.
E’ormai pomeriggio inoltrato, il sole è basso sull’orizzonte e il cielo comincia a tingersi di rosa.
Ogni volta che vuole ritrovarsi sola con se stessa, corre proprio lì, in quell’angolo di mondo che le sembra essere tutto suo, dove può liberare tutti i suoi pensieri anche quelli più nascosti, anche quelli che le fanno male, che vorrebbe non avere mai avuto.
Ha bisogno di stare sola, di ricostruire la sua vita, di dare un nuovo scopo alla sua esistenza.
Luigi era uscito dalla sua casa dopo quindici anni di vita insieme: una convivenza agitata, turbolenta, piena di contrasti, d’insofferenze, ma finalmente era finita.
Non era stata certo indolore la decisione di chiudere una storia che per lei era stata così importante, ma lo aveva deciso finalmente per il proprio bene, per la propria salute mentale.
Gli ultimi anni erano stati, infatti, i più disastrosi, anche perché era diventato sempre più difficile tollerarsi a vicenda, sopportare i difetti l’uno dell’altro, ormai non era più possibile “fare finta di…”, riuscire a non vedere, a non sentire, a non dire.
Ogni giorno saltava fuori qualcosa che non andava, qualcosa che comunque rompeva il tran tran quotidiano e da lì la decisione di farla finita.
Luigi aveva indugiato molto sulla sua decisione di andarsene, per lui sarebbe stato comunque “comodo” rimanere in quella casa, senza crearsi problemi quali trovarsi un nuovo alloggio, organizzarsi una vita da single, ma sapeva che in cambio non avrebbe più dato niente perché ormai non aveva più niente da dare, soprattutto a Giulia.
Luigi era un uomo alto, robusto, tutto muscoli, un po’ grossolano nei modi, amante delle moto e del rischio; la sua passione preferita correre come un pazzo sulla strada come un ragazzino, senza sentire sulle proprie spalle nessuna responsabilità.
Era rimasto infantile, ancora legato alle sue passioni giovanili e non era mai riuscito a dare una svolta reale alla sua vita, tanto che a quarant’anni si ritrovava già con un matrimonio fallito alle spalle, un figlio adolescente e una convivenza ormai andata a rotoli.
In tutti quegli anni trascorsi insieme, Giulia aveva cercato di stargli vicino, aveva persino provato ad aiutarlo a diventare un padre responsabile, ma non c’era riuscita.
Lei invece era sempre stata una bambina “adulta”. “diversa” da tutti, da sempre.
La sua vita era stata segnata da un episodio della sua prima infanzia.
Ad appena due anni, era stata, infatti, operata di tonsille ed era andata in coma acetonico e sarebbe sicuramente morta, se non fosse sopravvenuto un evento straordinario.
Per puro caso, infatti, proprio quel giorno nella clinica dove era stata ricoverata, i medici stavano presentando un nuovo farmaco che avrebbe dovuto contrastare gli effetti dell’acetone da tonsillectomia e quale occasione migliore per loro se non quella di provare subito la sperimentazione con una bambina in coma e in pericolo di vita.
L’esperimento per fortuna fu un grande successo e la bambina fu salva, senza danni apparenti al cervello.
La sua testa però non era più la stessa e il coma sicuramente le aveva aperto delle “finestre” su un mondo che a Giulia non piaceva.
Da allora la bambina era come se fosse dotata di qualcosa di “speciale”.
Una bambina strana, indipendente, che giocava a fare l’indiano e credeva di essere un indiano, che non giocava come le altre bambine.
Una bambina che ogni tanto usciva con degli “avvertimenti” e delle “premonizioni” sulla vita dei grandi che incontrava.
Quella a esserne più sconvolta era la madre, una donna forte, pratica, sempre con “i piedi per terra” che non riusciva a darsi delle spiegazioni sul fatto che la figlia fosse così “strana”.
La madre non credeva certo a “finestre”, a magie e, come le altre donne del suo tempo, cercava in tutti i modi di fare stare zitta quella figlia che la metteva in imbarazzo.
In fondo al suo cuore, sua madre l’amava, ma non le perdonava di essere così diversa dalle figlie delle altre amiche.
Aveva fatto di tutto nella sua disperazione, era ricorsa anche a un esorcista, poi l’aveva portata anche da un mago per cercare di aiutarla a guarire dal suo “male”, ma tutto era stato sempre inutile e inefficace.
Ancora adesso, a molti anni di distanza, la madre non le ha perdonato quanto l’ha fatta soffrire per questo e ancora le rinfaccia tutte le “corone di spine” che ogni giorno trovava in quel piccolo materasso.
Suo padre invece la accettava così, per quello che era.
Con lui Giulia condivideva la passione per la storia, per gli sport acquatici ed era bello la sera potergli raccontare la giornata, senza dover omettere e nascondere anche ciò che le poteva essere capitato di “strano” e che la rendeva “speciale”.
Il padre le stava insegnando a non dire sempre tutto né alla madre né al resto del mondo e lei si fidava di suo padre e credeva in quello che lui le andava dicendo e la rincuorava e la sosteneva anche nei momenti più difficili.
La sua era una mente matematica, i numeri le fioccavano in testa con rapidità e semplicità.
Finite le scuole medie, lei avrebbe preferito frequentare il liceo scientifico ma le disponibilità economiche familiari non le permettevano questa scelta e così si era accontentata di iscriversi a ragioneria e per fortuna, così come già le aveva insegnato la vita, doveva trovare ciò che di buono esisteva in quella nuova strada da percorrere.
Giulia era una ragazzona alta, slanciata, un bel viso sempre sorridente, solare e pronta a scherzare ad ogni opportunità.
La vita allora le sorrideva e lei si sentiva la ragazza più felice di questo mondo.
D’accordo con il padre aveva deciso di iscriversi ai corsi di nuoto e Giulia in acqua era un pesce, scivolava nell’acqua con facilità, i muscoli delle sue braccia erano potenti e le sue spalle muscolose; nuotava e per le compagne era un’ avversaria temibile.
Il nuoto non era la sua sola passione, le piaceva anche andare a giocare a pallavolo e le sue giornate passavano fra la scuola, lo studio pomeridiano e i suoi allenamenti di nuoto e di pallavolo.
Aveva poco tempo da dedicare alla discoteca o alle feste con gli amici perché lo sport la assorbiva molto e i suoi genitori erano orgogliosi di lei e dei risultati che andava via via raccogliendo.
Al nuoto aggiunse poi il piacere di fare i tuffi e i risultati che otteneva erano ottimi.
Suo padre poi non la lasciava mai sola e la seguiva sempre in tutte le competizioni, per incoraggiarla e starle vicino.
Aveva allora quindici anni, un’età che tutti ricordano con gioia, ma per lei invece fu il periodo più tragico della sua vita perché morì suo padre.
La morte improvvisa del padre le aveva fatto crollare il mondo addosso, aveva perso la persona a lei più cara, il suo angelo custode, la persona che vegliava su di lei da sempre proteggendola e da quel momento Giulia si sentì sempre più sola con la sua “diversità”.
Aveva continuato, comunque, ad andare a scuola, a studiare, a fare i suoi allenamenti in piscina, come sempre, cercando di reagire al dolore che aveva dentro e certo, non si sarebbe potuta immaginare che di lì a poco le sarebbe successa un’altra tragedia.
Era in piscina con le sue compagne di squadra, stavano facendo dei tuffi, come sempre.
Giulia si tuffa, le compagne aspettano che risalga dal fondo, ma Giulia non riemerge come sempre.
Attimi preziosi durante i quali le ragazze e gli allenatori s’interrogano sul perché Giulia non stia risalendo, poi la paura, il pensiero che possa esserle accaduto qualcosa, si gettano in acqua per soccorrerla, per vedere cosa stia succedendo.
Momenti tragici, momenti di grande confusione, momenti di incredulità per tutti i presenti.
Giulia è là, sul fondo piscina, esanime.
I primi arrivati la presero subito e la portarono fuori dall’acqua.
Fu poggiata sul bordo piscina, ma non dava segni di vita.
Intorno il silenzio si fece pesante, nessuno aveva il coraggio in quel momento di dire niente.
Attimi d’incredulità, di stupore, di dolore, ma un fischio, quello della sirena dell’ambulanza, risvegliò tutti e ricominciò subito il trambusto per fare arrivare al più presto i soccorritori.
Giulia fu trasportata all’ospedale, i medici le riscontrarono un trauma cranico, aveva una frattura al collo ed era molto grave ma non erano in grado di fare una prognosi.
Giulia invece non aveva mai perso conoscenza, era sempre stata cosciente e aveva vissuto attimo per attimo il suo incidente, il tuffo sbagliato, la corsa in ambulanza, ma il suo corpo prima guizzante ora era immobile, non poteva più muoversi né parlare: era tutta paralizzata.
Giulia era lì, stesa in un letto di ospedale con mille tubicini attaccati da tutte le parti, il suo viso era inespressivo, la pelle pallida, quasi trasparente, nessun movimento, nessuna reazione.
Fu operata immediatamente, senza grandi speranze, a detta dei medici.
La madre le era sempre accanto, cercava di darle coraggio, le parlava anche se sapeva che la figlia non le avrebbe mai potuto rispondere; non riusciva a darsi pace per quello che le stava accadendo, né la voleva perdere.
La mamma, infermiera di professione, le era sempre vicina, la osservava ogni minuto del giorno e della notte per scorgere la minima reazione nella figlia, ma non accadeva mai niente di nuovo.
I medici continuavano a dire che era grave ma che aveva una fibra forte, resistente e che il suo cuore, un cuore da sportiva, era in grado di sopportare anche una situazione così grave.
Furono mesi d’inferno, Giulia rimaneva sempre immobile in quel letto, la madre, sempre vicina, cercava di rispondere a ogni suo bisogno, le parlava, la stimolava, le faceva massaggi in tutte le parti del corpo, la accarezzava e si chiedeva se sua figlia sentisse tutte queste attenzioni, ma soprattutto sperava che il suo amore l’avrebbe aiutata ad uscire da quell’incubo.
Mesi di degenza, mesi di rieducazione che sembravano interminabili e inutili.
Giulia reagiva poco per non dire per niente.
Poi, un giorno, Giulia ebbe una visita, una visita inaspettata e impossibile: accanto al suo letto vide suo padre che le sorrideva, che annuiva alle sue domande mute, che la carezzava.
Quella “visione”, il sapere che suo padre era lì, vicino a lei, per rincuorarla e sostenerla, le dette la forza di reagire e da quel momento cercò di riattaccarsi alla vita.
I primi tempi le amiche, i compagni di scuola, i vicini erano sempre lì intorno al suo letto, ma lei non poteva dire niente, fare niente e con il tempo rallentarono le loro visite fino a farsi prima sporadiche poi smisero del tutto.
La ragazza che avevano conosciuto, la ragazza sportiva, sempre in movimento non c’ era più, al suo posto ora c’era solo una “bambola di pezza” e non ci riconoscevano certo la loro amica di un tempo.
Solo la madre le stava sempre vicina tanto che il loro rapporto s’intensificò e madre e figlia si riavvicinarono veramente.
Il tempo, la riabilitazione e soprattutto la voglia di vivere di Giulia cominciarono poi a dare i loro frutti.
Giulia cominciò a migliorare giorno dopo giorno, riprese lentamente a camminare e a parlare e cominciò così a tornare ad essere autonoma anche negli spostamenti anche se il suo equilibrio ne aveva risentito e lei si sentiva ancora instabile quando camminava e temeva sempre di cadere da un momento all’altro
Tornò a casa con sua madre che le stava sempre molto vicina, ma una cosa l’aveva imparata: aveva imparato a stare zitta a non raccontare tutto ciò che “vedeva e sentiva” alla madre per evitare di rovinare il bel rapporto che si era creato fra di loro in tutti quei mesi, si ricordava bene le parole di suo padre e le sue raccomandazioni.
La sua bella gioventù era scomparsa, ma per fortuna non era scomparsa la sua voglia di reagire, la sua voglia di tornare a vivere,
Ritrovò le sue compagne, ma non era niente più come prima, tutto ormai era diverso, non poteva uscire con loro, aveva dovuto rinunciare a tutte le sue passioni.
Si dedicò di più allo studio, riuscì a diplomarsi a pieni voti, fece subito dei concorsi ed entrò in un ufficio pubblico della sua città, molto apprezzata dai suoi colleghi ma soprattutto era ricercata anche dagli utenti che, una volta conosciuta, ne apprezzavano la disponibilità e la sua voglia di aiutare il prossimo.
E Giulia si dedicò ancora di più al lavoro, era ormai il lavoro che le dava la forza di reagire.
Le amiche ormai si erano dileguate, lei non poteva fare quello che le altre facevano: non poteva ballare, non poteva correre, non poteva fare sport.
Si sentiva ancora di più “diversa”.
In quel periodo aveva fatto amicizia con un ragazzo gay, avevano unito le loro “diversità", si comprendevano a vicenda e l’uno consolava l’altro. Lei poteva parlare delle sue sensazioni, di quello che “vedeva”, di quello che percepiva e lui la ascoltava in silenzio, senza criticarla, senza dare giudizi e lei si sfogava e riusciva a mantenersi serena e a compensare i suo disagi.
Insieme avevano fatto piccoli viaggi, uscivano insieme, si divertivano e anche se le malelingue li perseguitavano, Giulia era felice della loro amicizia.
Il destino però voleva ancora accanirsi contro Giulia e un brutto giorno Piero si ammalò e morì e Giulia si trovò di nuovo sola e non capita dal resto del mondo.
Ancora una volta si rifugiò nel lavoro a capofitto, migliorò la sua posizione e tutti la stimavano per quello che faceva, ma non certo per il suo carattere: troppo diretta, troppo sincera, troppo onesta con se stessa e con gli altri.
Aveva ripreso a raccontare quello che “vedeva” e questo infastidiva non solo sua madre ma anche chi la conosceva e cercava di starle vicino.
Le sue amicizie erano poco durature perché spesso anche le “amiche” si dileguavano.
Aveva avuto per questo sempre paura a innamorarsi, anzi aveva sempre evitato situazioni intriganti e che potessero metterla in difficoltà.
Giulia era una ragazza romantica, con tanti sogni nel cassetto ma con una “spada di Damocle” sulla testa che le impediva di vivere a pieno la propria vita.
Poi un giorno incontrò un bel giovane, sportivo, con la moto, ma già divorziato con un figlio.
Quel giovane le fece tenerezza, aveva visto che era solo, che aveva bisogno di affetto e se ne innamorò, tanto da dedicarsi molto a lui.
I primi tempi furono felici, Giulia credeva di vivere un sogno.
Giulia aveva messo in secondo piano anche i suoi problemi di salute e non si preoccupava più che una sua caduta sarebbe stata per lei fatale.
I loro weekend erano sempre divertenti, uscivano con la moto, andavano ai raduni, giravano in lungo e in largo per l’Italia e a Giulia sembrava di aver ricominciato a vivere veramente.
Poi lentamente l entusiasmo di Luigi diminuì e Giulia conobbe la parte più egoista del suo carattere, quella che le faceva più male perché lui aveva cominciato a trascurarla e a mettere le sue “passioni” avanti a tutto, anche a lei, non la portava più ai raduni, preferiva andarci da solo, non aveva più voglia di uscire con lei, lei che nel frattempo era ingrassata e non aveva più il suo corpo snello come una volta.
Una vita a due durata quindici anni, tanti, ma non sufficienti a creare quel legame di coppia duraturo nel tempo.
Negli anni il loro rapporto era cambiato, ma era difficile capire quando tutto era cominciato.
Giulia ha un brivido di freddo.
E’ancora seduta davanti al mare sullo scoglio, si sta risvegliandosi dal torpore in cui era caduta, la sua vita le è passata davanti come un film, un eterno presente che le rimane dentro, che la fa riflettere.
Il sole ormai è sparito dietro l’orizzonte, il cielo è di un rosso infuocato che va piano piano diluendosi nei colori del giallo e dell’arancio per poi scomparire del tutto.
Ancora una volta si trova a dover raccogliere tutto il suo coraggio, tutta la sua forza per riprendere in mano la propria vita.
Aveva lei preso la decisione di mandarlo via da casa sua, pur sapendo che sarebbe stata di nuovo sola.
Aveva continuato a vivere con la madre ormai vecchia e con un gatto al quale non si era mai decisa a dare un nome e che chiamava “gatto”.
Nel frattempo, per fortuna, aveva fatto nuove amicizie, una in particolare, una collega di ufficio, le era stata vicina, l’aveva aiutata a superare quel brutto momento e da lì aveva ripreso a risalire la china nella quale era scivolata.
Anche lei, come il padre, l’aveva aiutata a chiudere le sue “finestre”, e le diceva sempre:
“Le finestre devono essere chiuse, ogni capitolo della propria vita deve essere chiuso, ogni evento ha un inizio ed una fine. Non devi vivere nel passato, devi vivere nel presente, ricordati sempre “carpe diem” dicevano i latini.
Non lasciare passare le opportunità del presente per la paura di un passato ormai passato e di un futuro che non esiste ancora.
Vivi il tuo quotidiano, impara ad apprezzare quello che hai, chi ti sta intorno, chi ti vuole bene, realizza i tuoi sogni nel presente”.
Le parole dell’amica le riecheggiano nella mente con forza, con prepotenza.
Giulia si sveglia completamente dal suo torpore.
Ha risvegliato nuovamente il suo coraggio e la sua determinazione e una scintilla sembra accendersi nuovamente nella sua testa, gli occhi le si illuminano, il sorriso torna sulle sue labbra.
Un ultimo sguardo all’orizzonte, ormai è sera, intorno a lei tutto ormai è scuro, ma nella sua mente invece c’è tanta luce, tanta chiarezza.
Ora sa cosa deve fare, deve solo vivere, giorno dopo giorno, con il suo entusiasmo di sempre.
Le viene in mente Lucia, una sua amica che ha una’agenzia di viaggi.
E’ tardi, ma sicuramente la troverà al cellulare.
Prende il cellulare, la chiama, c’è la segreteria telefonica, ma non importa, sa che ascolta sempre i messaggi e con voce decisa dice:
“Ciao, Lucia, sono Giulia, sai, mi è venuta in mente una cosa, vorrei prendermi qualche settimana di ferie per farmi un viaggio, mi piacerebbe fare una crociera, magari una di quelle per “single" oppure un viaggio in America. Conto su di te. Chiamami.A presto.”



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Racconto scritto il 26/09/2013 - 01:02
Da Roberta Sbrana
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