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= Poesia
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MIA MADRE RACCONTA

Avevo cinque o sei anni e in quel pomeriggio invernale, oltre a far freddo, piovigginava. In quel tempo non si conosceva il termine "televisore" come apparecchio domestico erogatore di notizie audiovisive, che dal 1954, se non ricordo male, cominciò ad infiltrarsi e quindi a poco a poco a dilagare nelle case della gente con tutti i pro e i contro, che tutti conosciamo e che d'allora lo stesso produce.
Mia madre, come tutte le madri, per salvaguardare la mia salute non voleva che io uscissi da casa per andare a giocare fuori con altri miei compagni di strada, che mi attendevano fuori, avendo preso appuntamento, già concordato nelle ore antimeridiane di ricreazione a scuola.
Io insistevo, ma lei m'imponeva con autorevole grazia di ascoltare le sue parole. A mio malgrado ubbidii, tenuto conto che aveva veramente ragione: fuori, oltre a sporcarmi, avrei potuto giocare con i miei compagni solo al riparo, magari dentro qualche stalla o altro luogo poco accogliente e igienico, non certamente a casa di qualcuno dei miei compagni, perché i genitori degli stessi di solito disdegnavano far giocare i bambini nelle loro case per tutte le birichinate che di solito potevano commettere. La strada, infatti, era l'unico luogo ideale per tutti i giuochi di noi ragazzi.
Ascoltai, quindi, il monito di mia madre e lei subito, lieta, mi premiò, com'era suo costume, dicendo che mi avrebbe narrato un racconto, che le aveva tramandato la sua vecchia nonna Rosa.
Io ero sempre attratto dalla narrazione di fiabe, racconti e storielle, ma soprattutto lo ero di più quando le predette narrazioni erano esposte e poi commentate profondamente da mia madre. Lei aveva quel senso narrativo e critico elementare, che piacevolmente mi faceva partecipare alla descrizione tanto, da sentirmi talvolta io stesso uno dei personaggi, più o meno protagonisti, che in quel momento per mia predisposizione d'animo sentivo a me più vicino.
Ci sedemmo. Lei prese il suo scaldino ed a me porse il mio, che rispetto al suo era più piccolo, dicendomi di sedermi sulla mia piccola sedia di fronte a lei. Mi fece una carezza, sfiorandomi con le dita una guancia, e poi col viso sereno e soddisfatto cominciò il racconto:
"Calogero e Filippo erano due fratelli, che si volevano bene. I loro genitori, Iacopo e Lucia, erano due lavoratori della terra che, sebbene poveri, con tanti sacrifici, ma con affetto avevano allevato i loro due figli, dando loro una buona educazione.
Calogero e Filippo erano cresciuti nell'amore familiare e nel rispetto reciproco, condividevano le poche gioie e i molti sacrifici con i genitori, ma si sentivano forti come leoni e ricchi come principi.
Abitavano in campagna e le loro ricchezze erano l'amore reciproco, la salute, la piccola casa, arredata sobriamente con poche cose, ma pulita, il lavoro quotidiano, l'aria ossigenata, il sole, la luna, le stelle e la provvida pioggia, che rendeva fertile la terra, che poi dava i naturali frutti, di cui l'umile famiglia si nutriva.
La loro ricchezza era anche il privilegio di stare tutti insieme nel lavoro, nel consumare un frugale pasto, nell'ascoltare alla fine della giornata lavorativa gli insegnamenti degli avi, tramandati da padre in figlio, nel sentirsi parte integrante di un ceppo familiare e l'orgoglio di appartenervi, di aver molto sofferto e poco gioito per le alterne vicende familiari, alle quali ogni famiglia nel tempo è spesso esposta.
Insomma possedevano poco materialmente, ma la loro ricchezza interiore li aiutava a vivere in maniera egregia, facendo loro gustare quotidianamente la vita e i doni della natura.
Un giorno, purtroppo, la serenità di quella famiglia fu sconvolta: il loro padre, Iacopo, morì; si ammalò di polmonite e i rimedi del tempo non gli permisero di guarire.
La famiglia si depresse e il colpo più duro i due fratelli lo ricevettero poco tempo dopo, quando anche la loro madre si ammalò, forse per la pena della perdita del marito, e poi non vide più il sole, ma il buio eterno dentro quattro fredde ed esigue mura.
I due fratelli Calogero e Filippo, restarono soli e provvedevano come potevano a tutte le loro incombenze quotidiane.
Un giorno, uno di loro, Filippo, s'innamorò di una ragazza che già conosceva sin da piccolo, una brava ragazza di nome Pinuzza, che abitava in un'altra casa rurale non molto lontana dalla loro. Anche Pinuzza conosceva Filippo sin da piccola: i suoi genitori ogni tanto, infatti, si recavano insieme a lei a far visita a Iacopo e a Lucia. Filippo, avendo chiesto a Pinuzza se voleva sposarlo ed avendo avuto dalla stessa il consenso, nonché quello di suo padre, al quale aveva chiesto la mano della figlia, ritornò a casa felice ed annunziò subito al fratello Calogero che fra breve tempo avrebbe sposato Pinuzza.
Così lui, Filippo, avrebbe avuto l'affetto di una donna e la loro casa si sarebbe illuminata non solo con la presenza di una giovane donna, ma anche di eventuali bambini.
Calogero accolse con tanta gioia le parole del fratello, che dopo qualche mese convolò a nozze con la giovane Pinuzza.
Calogero e Filippo dopo la morte della madre divisero in perfetto accordo le poche sostanze dei loro genitori, tra cui un piccolo appezzamento di terreno.
Subito dopo il matrimonio Calogero andò ad abitare da solo nella piccola casa che insisteva sul suo appezzamento di terreno ereditato, limitrofo a quello del fratello, lasciando Filippo unitamente alla moglie Pinuzza nella stessa abitazione, dove lui aveva precedentemente vissuto con i genitori.
Erano contenti Calogero e Filippo, coltivavano con profitto i loro appezzamenti di terreno e ogni tanto, di sera, seduti attorno al tavolo della cucina che li aveva visti crescere, dopo aver cenato, tra tanti discorsi, attinenti al loro lavoro e ad altro, ricordavano anche i loro genitori, che anche Pinuzza aveva conosciuto e verso i quali sentiva anche lei tanta stima, ma soprattutto affetto.
La casa di Filippo un giorno fu allietata dalla nascita di due bei gemelli: una bambina e un bambino, che furono chiamati rispettivamente Lucia e Iacopo, come la madre e il padre di Filippo, allora era questa la prassi.
La nuova famiglia così aumentò numericamente e Calogero, che lavorava il suo terreno, limitrofo a quello del fratello, si accorse che Filippo lavorava ancor più intensamente rispetto a prima e con più lena falciava il grano. Mentre guardava lavorare il fratello, Calogero pensava alla sua famiglia e diceva tra sé:
- Mio fratello deve mantenere la moglie e due figli, io invece devo mantenere solo me stesso; non mi sembra giusto che io debba possedere la stessa parte di mio fratello, quindi stanotte prenderò otto covoni di grano e senza che egli se ne accorga nella notte col chiarore della luna li porterò nel suo appezzamento di terreno. Così verso mezzanotte mise in pratica la sua idea, poi soddisfatto della sua azione se ne tornò a casa e, sdraiatosi sul letto, si mise placidamente a dormire -.
Il fratello Filippo, intanto, pensava anche lui affettuosamente al fratello Calogero e così diceva alla moglie:
- Pinuzza, mio fratello Calogero è rimasto solo ed oltre a lavorare la terra deve provvedere anche alle sue faccende domestiche, pur essendo un po' malato. Non è giusto che noi ci teniamo tutto il raccolto della nostra terra. Sai, Pinuzza, cosa ho pensato di fare? Stanotte, mentre lui dorme, andrò a portare otto covoni di grano nel suo appezzamento di terreno -.
Col consenso della moglie così fece.
Il giorno dopo Filippo e Calogero si recarono nei loro rispettivi appezzamenti di terreno e notarono, contando le loro biche, allora si faceva così, che erano numericamente sempre le stesse. Ogni notte ognuno di loro ripeteva verso l'altro la stessa affettuosa azione, ma di giorno si accorgevano che tutto restava inalterato.
Nessuno dei due riusciva a spiegarsi quel mistero, ma una notte il caso volle che i due fratelli s'incontrassero nello stesso momento, in cui ognuno di loro stava per iniziare quel solito notturno lavoro.
Calogero e Filippo, scoperta così per puro caso la loro reciproca generosità senza parole si abbracciarono, provando la grande consolazione che si ha quando si ama e si è silenziosamente ricambiati.
Ed ora, siccome sono le sette e sta per venire tuo padre io vado a preparare la cena, mentre tu apparecchi la tavola".
Così mi disse mia madre, terminato il suo racconto, ed io con le immagini dei personaggi nella mia mente le andai dietro, indi mi accinsi ad apparecchiare la tavola, mentre già sentivo gli scatti della serratura della porta di casa che si apriva: era mio padre che, finito il suo lavoro, sempre a quell'ora, alle sette e dieci della sera, rientrava a casa ed io, contento, gli andavo incontro con affetto ad abbracciarlo.



Gino Ragusa Di Romano


Dal mio libro "Speranze e delusioni" - Pellegrini Editore - Cosenza 2007




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Racconto scritto il 08/11/2014 - 10:46
Da Gino Ragusa Di Romano
Letta n.1299 volte.
Voto:
su 19 votanti


Commenti


Avevo già letto questo bellissimo testo e avrei voluto commentarlo con un eccellente. Lo faccio adesso unendo le mie congratulazioni per il riconoscimento ottenuto.
Ciao
Aurelio

Aurelio Zucchi 11/12/2014 - 14:48

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commovente

Cheta La Notte 08/12/2014 - 01:26

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Un racconto con una grande morale!! Complimenti, è davvero stupendo!! Buona serata,

Chiara B. 02/12/2014 - 18:26

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Complimenti per questo tuo bellissimo e significativo racconto.
Congratulazioni.

Paola Collura 02/12/2014 - 17:59

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Grazie a tutti. I vostri commenti sono applausi ai personaggi del racconto, nonché un inno all'amore, all'amicizia, alla fratellanza ed a tutti i nobili sentimenti, che dovrebbero essere messi in pratica quotidianamente da ognuno di noi. Ad maiora!

Gino Ragusa Di Romano 02/12/2014 - 11:55

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Complimenti per il riconoscimento della Redazione a quest'opera che parla di una realtà, da sempre, nota a noi del sud. Serena giornata.

Salvatore Linguanti 02/12/2014 - 08:52

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Un bellissimo racconto, scritto egregiamente e curato nei particolari e dettagli, ma soprattutto sottintende dei valori e un messaggio davvero inteso e significativo.
Complimenti Gino
Ciao Elisa

elisa longhi 02/12/2014 - 08:08

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Complimenti Gino, racconto meritevole di riconoscimento. Ciaooo

Fabio Garbellini 02/12/2014 - 07:20

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COMPLIMENTI GINO!MERITATO RICONOSCIMENTO!

Anna Rossi 02/12/2014 - 04:05

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Complimenti Gino! Sei un animo semplice pieno di bontà si vede nel tuo scritto. Molto meritato questo riconoscimento della redazione. Un caro saluto...

Gio Vigi 01/12/2014 - 23:07

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Congratulazioni Gino per il meritato premio.
Molto bello, complimenti di cuore...

Giuseppe Aiello 01/12/2014 - 22:17

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CONGRATULAZIONI GINO racconto meritevole

genoveffa 2 frau 01/12/2014 - 21:34

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Bellissimo racconto scritto con quel "garbo" che impreziosisce la tua
narrazione e da linfa ad un meridione
i cui grandi valori spesso vengono
dimenticati od offuscati da altro!
Un saluto di stima
Giancarlo

giancarlo gravili 09/11/2014 - 17:51

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Insegnamento d'amore e generosità, molto bello il racconto complimenti Gino

genoveffa 2 frau 09/11/2014 - 07:50

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...Quando la semplicità esplode in BELLEZZA e il famoso AMORE, tanto decantato in mille salse, a volte anche di sapore tutt'altro che gradevole, di colpo di appare di uno SPLENDORE CONCRETO a troppi sconosciuto. Quello che solo fa veramente belle VITA e CONVIVENZA!
BRAVO! Vera

Vera Lezzi 08/11/2014 - 18:43

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