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INCIPIT PER UN RACCONTO BREVE

Le istruzioni sono:

Da questo incipit scrivi un racconto breve:
"Sei partita da due mesi e da due mesi, a parte una cartolina nella quale mi comunicavi di essere ancora viva, non ho tue notizie."


~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

Cartolina dall\' India .

Sei partita da due mesi, e da due mesi a parte una cartolina in cui mi comunicavi di essere ancora viva, non ho tue notizie. <<Elena che fine hai fatto?>>, continuavo a ripetermi, mentre nella sala d'aspetto del commissariato aspettavo fremente che qualcuno si degnasse di ricevermi. Finalmente dopo due ore interminabili arrivò il commissario che mi accolse nel suo ufficio, agitata gli raccontai le mie paure.<<Ci eravamo ripromesse di rimanere in contatto, commissario, ma Elena, sembra scomparsa nel nulla. Questo silenzio, è molto strano, e poi quella cartolina … perché comunicarmi che è ancora viva? Il suo non doveva essere un viaggio pericoloso, è, come se dietro a ciò, ci sia una richiesta velata, d’aiuto.
Quando uno scrive, generalmente dice: ciao, tutto bene, a presto, mi sto divertendo.
No! qui è, concisa, dice semplicemente, “sono viva” e null’altro, non risponde neanche al cellulare.
In due mesi una sola cartolina e nessuna telefonata.
Se permette ho tutti i diritti di preoccuparmi. Possibile, che sia io, la sola a percepire che in tutto ciò ci sia qualcosa di molto strano? No! Commissario, lei non può continuare a dirmi che è una persona adulta, e che può essersi resa irreperibile di sua spontanea volontà; non può, io la conosco bene.
Elena, è una ragazza molto responsabile, non mi avrebbe mai lasciato così a lungo senza notizie.>>
Il commissario prese a grattarsi la testa, si capiva chiaramente che era infastidito. <<Due mesi signorina, due mesi non sono tanti, per un adulto che si allontana spontaneamente per un viaggio, magari ha conosciuto qualche bel ragazzo, e adesso se la sta godendo; e lei qui, che inscena, questo po’ po’ di pandemonio. Comunque, senta che facciamo>> disse <<io mi metterò in contatto con il consolato e vedremo cosa ci potranno dire, adesso vada e stia tranquilla, ritorni alla sua vita di sempre, appena saprò qualcosa, la contatterò.>> Non ci potevo credere l’idiota mi liquidava così senza fare concretamente un bel niente: “stronzo” borbottai mentre andavo a prendere l’automobile al parcheggio.
Mentre guidavo, riandai con il pensiero a Elena.
Era una giovane donna di trent’anni, con la passione per la moda, io una fotografa, ci eravamo conosciute, durante una sfilata a Milano, e fra noi, si era subito creata una forte empatia: tant’è che avevamo deciso di cercarci un appartamentino “avremmo diviso le spese: Milano è carissima” e andare a vivere assieme; da quel momento, avevamo condiviso sempre tutto, lei era la sorella che non avevo mai avuto.
Partiva spesso per questi viaggi, girava il mondo in cerca di stoffe particolari e di pregio da presentare poi, agli stilisti, era molto apprezzata perché riusciva sempre a scovare qualcosa di raro.
Questa volta il suo viaggio, l’avrebbe portata in India. Mi aveva spiegato che doveva vedere un tipo di stoffa decorata con: il “kasooti” un arte del ricamo molto antica, a cui le donne del luogo si dedicano tutt’ora. Alla stoffa vengono applicati a mano, in un modo complesso, con dei fili colorati: dei pezzetti di specchi, monete, e gioielli; queste stoffe vengono utilizzate poi, per ricavarne borse reggi seni ecc.
Ad ogni suo viaggio, ricevevo una montagna di cartoline, lei, me ne inviava sempre tante per rendermi partecipe dei suoi spostamenti e, anche perché io ne facevo collezione. Quindi, in due mesi una sola cartolina per me, che ne ricevevo sempre tante, era molto, molto strano.
Parcheggiai l’auto sul vialetto sotto casa, con ancora quel pensiero nella testa: una sola cartolina.
Aprii l’uscio ed entrai nell’appartamento: mi sfilai le scarpe lanciandole lontano, e mi lasciai andare sul divano. Ero stanchissima, nessuno pareva volesse aiutarmi eppure a me quella cartolina, faceva presagire qualcosa di brutto. Mi addormentai, e sognai Elena che, vestita da vesti coloratissime danzava, mentre dal cielo cadeva giù, una pioggia di cartoline bianche: io le raccoglievo freneticamente, in ognuna di esse all’improvviso, appariva una scritta rosso sangue che diceva “aiuto”.
Mi svegliai madida di sudore: che cosa voleva dire quel sogno? La cartolina pensai, andai a cercarla frettolosamente; stava lì, all’interno della mia borsa, l’avevo portata con me al commissariato, la presi fra le mani. <<Cosa vuoi dirmi, qual è il tuo messaggio, fammi capire>> urlai disperata.
Stavo per metterla giù sul tavolo, quando notai che un orlo del francobollo era piegato.
Incuriosita, cercai lentamente di sollevarlo: non era facile, era incollato per bene; rischiavo di strapparlo. Ricordai allora, di aver visto una volta in un film, qualcuno staccarlo con del vapore. Andai in cucina feci scorrere l’acqua calda, e passai la cartolina sui fumi bollenti, fremente riuscii nel mio intento. Mi spostai poi in sala, dove avevo una grossa lampada, e cercai quanta più luce per vedere bene. Intravidi qualcosa, ma non riuscii, a focalizzare, era troppo piccolo, mi occorreva una lente d’ingrandimento.
La trovai nel cassetto della scrivania e, con la mano che mi tremava, la posizionai lì, dove prima c’era il francobollo e lessi: “Golconda carubis” che mai voleva dire quella parola? Doveva essere qualcosa d’importante; perché, metterla altrimenti sotto ad un francobollo? Cercai frettolosamente il telefono, e digitai il numero privato del commissario. <<Pronto>>, mi rispose una voce impastata dal sonno. <<Commissario, le telefono per la mia amica Elena,>> dissi <<ho scoperto qualcosa di molto importante.>> <<Elena! Chi Elena, chi diavolo è lei?>> Urlò la voce, dall’altro capo del telefono.
<<Ma, non ha visto che ore sono?>> <<Imbecille>> pensai, << la mia amica si trova in pericolo e lui dorme.>> Guardai l’orologio, segnava le tre e trentacinque. <<Ok mi scusi, ma ho scoperto qualcosa di molto interessante,>> Il commissario brontolò ancora un po’ infastidito, poi mi disse che ci saremmo potuti incontrare alle otto e trenta al commissariato. Chiusi la comunicazione, mi rimisi a letto, ma non riuscii più a dormire. Alle otto e venti ero davanti agli uffici, come arrivò il commissario, lo bloccai subito.
<<Commis … >> avevo appena accennato a dire, che lui mi zittì: con un gesto della mano.
<<La prego signorina; si accomodi in ufficio, devo prima prendere un caffè, non ho dormito bene stanotte: sa … “una zanzara”.>> Lo seguii senza sentirmi in colpa, e attesi paziente che trangugiasse quell’interminabile caffè. Quando ebbe terminato mi fece cenno di parlare ed io gli raccontai, del sogno e di quello che avevo trovato sotto il francobollo. Per il sogno disse che era una sciocchezza, ma per la scritta sotto il francobollo convenne con me che la cosa era un po’ bizzarra. Insieme provammo poi a capire che significato potesse avere. Non riuscivamo a trovare un nesso: sapevamo, che la prima parola Golconda è il nome di un paese indiano ormai in rovina, ma quel “carubis” ci era proprio sconosciuto.
Il commissario promise che in mattinata si sarebbe messo in contatto con il consolato italiano in India, e mi invitò a far rientro a casa; così che lui potesse svolgere tranquillamente alcune indagini.
Di mia iniziativa, decisi diversamente e mi recai in biblioteca, per cercare informazioni sull’India.
Elena si era avventurata lì per delle stoffe, in quale guaio poteva essersi cacciata? Sfogliai tantissimi libri, e dopo vari tentativi, trovai: che la parola che più poteva accostarsi a carubis era carrubo. Cosa diavolo aveva a che fare la pianta del carrubo, con le stoffe di Elena e con l’India? Sempre più appassionata continuai la ricerca, e così, venni a conoscenza che l’India è ricca di giacimenti diamantiferi e, che il nome carato, deriva dalla parola: carrubo, da qui i semi; chiamati carubis. In India, in antichità le gemme, erano pesate con i semi del carrubo che avevano peso più o meno identico, approssimativamente, 0’2 grammi. Quindi il messaggio voleva dire “diamanti”. Elena si trovava immischiata in qualcosa che aveva a che fare con i diamanti. Andai di corsa al commissariato. L’ufficiale mi ricevette subito, dalle notizie che era riuscito ad avere anche lui era arrivato alla mia stessa conclusione. Dal console italiano in India, gli era giunta notizia che a Golconda si stava concludendo un’operazione, molto importante su un traffico di preziosi e che presto avremmo avuto notizie. Della signorina Elena gli era stato riferito che mancava da circa due mesi dall’albergo dove aveva alloggiato, e che, da segnalazione: avevano di già avviato le ricerche, quindi non dovevamo far altro, che attendere. Furono ore interminabili, feci rientro a casa, ma rimasi tutta la sera con l’orecchio teso, aspettando una telefonata che non arrivava mai. Verso le sei del mattino, dopo una notte insonne, ricevetti la telefonata del commissario. Il trillo del telefono nella casa immersa nel silenzio rimbombò, e mi diede un tuffo al cuore. Trepidante e speranzosa sollevai la cornetta. La voce del commissario mi giunse forte e professionale. <<Signorina >> disse <<l’operazione carubis si è conclusa nel migliore dei modi, dopo domani, sbrigate le formalità di rito, potrà riabbracciare la sua amica: che è viva e sta bene. <<Evviva!>> urlai grazie commissario, grazie.
La sera al telegiornale annunciarono: sgominata banda internazionale di trafficanti di diamanti: si servivano di capi ricamati con metodo kasaati per esportare clandestinamente preziosi trafugati; liberata prigioniera italiana, sequestrata dai malviventi. Dunque era così: Elena si era trovata coinvolta in quel giro sporco proprio facendo visita a delle donne che ricamavano il kasaati. Pare che i malviventi si servissero della loro abilità di ricamatrici per far applicare i diamanti veri in quei tessuti e per farli passare poi indisturbati alla frontiera. Elena aveva visto troppo, ed era stata rapita e tenuta prigioniera proprio a Golconda. Con uno strattagemma aveva convinto una delle ricamatrici a spedirmi la cartolina, sperava che io capissi, e così fortunatamente era avvenuto. Aveva corso un bel rischio pensai: per fortuna si era risolto tutto nel migliore dei modi. Spensi il televisore, e mi distesi sul letto. Ora potevo riposare: presto avrei riabbracciato la mia amica del cuore, e con un sorriso sulle labbra, mi addormentai serenamente.



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Scrittura creativa scritta il 10/09/2012 - 12:15
Da Claretta Frau
Letta n.1274 volte.
Voto:
su 9 votanti


Commenti


Bel raccopnto. Tutto è bene quel che finisce bene.
Complimenti.

nello maruca 13/09/2012 - 16:19

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