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Scrivi una storia con questo inizio: Non m’era mai capitato di restare senza un soldo in tasca. Non potevo comprare niente e non avevo più niente da vendere. Finché ero in treno mi piaceva rimirare il tramonto sulla pianura, ma adesso mi lasciava indifferente e faceva tanto caldo che aspettavo con ansia il calare della sera per stendermi a dormire sotto un ponte.


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Reporter di grido

Non m’era mai capitato di restare senza un soldo in tasca. Non potevo comprare niente e non avevo più niente da vendere. Finché ero in treno mi piaceva rimirare il tramonto sulla pianura, ma adesso mi lasciava indifferente e faceva tanto caldo che aspettavo con ansia il calare della sera per stendermi a dormire sotto un ponte. Avevo 26 anni e deciso di trascorrere una settimana con i clochard, dormendo con loro per strada, ero un aspirante reporter che investigava sulla vita dei senzatetto. Ero sotto copertura per conquistarmi le loro simpatie e considerato uno di loro, sarebbe stato più facile scoprire le loro storie, oltre che vivere in prima persona le difficoltà che una situazione del genere comporta. In redazione mi fu affidato questo reportage e dall’articolo dipendeva il mio futuro di giornalista d’inchiesta; da sempre sono suggestionato dal giornalismo romantico, quello legato al saper raccontare e svelare, alle fonti di prim’ordine, agli interlocutori principali e le relazioni con le autorità più dirette e trasparenti, anche con modalità di camuffamento per l’investigazione. Nonostante si ritenga la professione in piena crisi, al giorno d’oggi c’è forse ancora più urgenza di un giornalismo di qualità e di approfondimento deciso a fronteggiare il bombardamento quotidiano di dati, news, punti di vista, commenti, interpretazioni, comunicati, semplificazioni, slogan, tabelle, faziosità, distorsioni e versioni edulcorate, per cercare e trovare quello che i potentati, troppo spesso con la complicità dei media convenzionali, offuscano. Ci sono modelli “in carne e ossa”, che sono la mia fonte d’ispirazione, cioè reporter che hanno sacrificato la propria vita (e, in certi casi, l’hanno persa prematuramente) per la ricerca della verità, e i giornali (la maggior parte online) e gli editori italiani che sono abituati a trattare in maniera indipendente le principali criticità sociali, culturali, economiche, ambientali e storiche. Poco prima di iniziare questa esperienza ho girato un video dove spiegavo i motivi della mia decisione: "Cercherò di interagire con più barboni possibile, calandomi se sarò in grado, nel loro stile di vita ". Mi auguro inoltre che questa esperienza possa rivelare le mie capacità nel riuscire a cogliere il senso della storia dei senzatetto. L’arte dell’arrangiamento è la prima regola di vita che ho dovuto imparare. Il rifugio dove vivere e dove ripararmi, in caso di intemperie e mi sono adattato all’atrio di un portone, un angolo riparato di un cortile, sotto un ponte e sempre in un grande scatolone di cartone. Per mangiare è facile trovare, in strada, qualche anima pia che regali del latte, frutta, pane o altra roba commestibile. Assieme ai più disperati abbiamo trovato la merce invenduta del giorno prima presso il panificio o chiesto i rifiuti al ristorante. Ho anche elemosinato, che si è dimostrata l’arma vincente con cui ho sbarcato il lunario per qualche giorno. Ho preso con me un cane randagio, che è stato un vero amico che non guarda mai nel portafoglio del proprio compagno, ma semplicemente nel suo cuore e nella sua anima. La cosa più difficile ad adattarmi è stata la pulizia del mio corpo; i bagni pubblici mi sono stati di grande aiuto, ma non sempre stanno dappertutto; quindi qualche volta mi sono dovuto arrangiare alla meglio. Anche se tra i clochard c’è molta solidarietà non mancano episodi di razzia, furti o disagi in genere; soprattutto di notte, le difese devono essere aumentate, specialmente se si dorme all’interno dei giardini pubblici, dove i vandali potrebbero lasciare un segno indelebile. Un’altro dei pericoli maggiori è, naturalmente, rappresentato dalle malattie, dal momento che si vive a stretto contatto con la spazzatura e i fattori climatici estremi determinano le peggiori condizioni di vita, la polmonite è una delle malattie più diffuse tra i senzatetto. Il primo giorno ho dormito alla stazione; mi sono alzato alle cinque e mezza, c'è stato anche chi ha dormito fino alle sette, ma io l’ho fatto per rispetto dei viaggiatori. Abbiamo liberato la sala, eravamo otto singoli e due coppie; la sala era riscaldata, ci lasciavano stare, e nessuno ha fatto casino o si è ubriacato. Ho conosciuto Gianni parla sei lingue: "Quattro parlate e scritte: inglese, francese, tedesco, spagnolo. Due solo parlate: cinese e giapponese". Nel suo italiano c'è traccia di pronuncia inglese. Ha girato il mondo. In borsa ha un curriculum che comincia nel '63, scuola alberghiera Tre Stelle di Stresa e finisce sulla motonave Flamingo, Festival Cruise Line. In mezzo, quattro diplomi in Food and Beverage Management, e tredici posti di lavoro: hotel, ristoranti, navi, in tutto il mondo. Ha una domanda di impiego in inglese, ("applicazione", dice traducendo), con tanto di indirizzo e-mail e cellulare ("Usato, me l'ha regalato una suora amica mia"). Il suo indirizzo è quello del Centro Sos, comunità Exodus di don Mazzi: "Ci vado spesso, si possono vedere gli amici e fare quattro chiacchiere, e c'è da leggere". A cento metri dal Grand Hotel Gallia, dove Gianni è stato assistente chef nel '74-'75. Daniele con le sue borse, come un viaggiatore, in una borsa ha la guida della Comunità di Sant'Egidio "Milano, dove mangiare, dormire, lavarsi". C'è tutto, ci sono anche gli ambulatori dove Daniele non vuole andare. Lui dorme in stazione: "Mai stato in un dormitorio. Daniele è stato anche su un pianerottolo, al livello 2 del posteggio sotterraneo, aperto al gelo. Una coperta stesa in verticale a far da muro. Sacchi a pelo, coperte, borse, scarpe, tre lumini da camposanto: "Io qui non sento nemmeno l'umidità". E tossisce. Il suo amico Enzo, titolare del secondo sacco a pelo, è in giro. C'era Donatella, ora è a Bologna. Lì sotto il tunnel del tram c'è altra gente: "Come quei due ragazzi poveri, Antonio e Ludmilla, e i loro cani, vivono in una tenda". La sua dimora Daniele la tiene mezza segreta, "perché gli hanno insegnato che si fa così, non si sa mai". Si arrabbia se lo chiamano barbone "con superiorità", ma ha una sua filosofia della strada: "Il vero barbone è quello che non chiede niente, che fruga nei cestini e fuma i mozziconi". Lui, che ha un sussidio di 160 euro al mese dal Comune, non vede che strada nel suo futuro. Gianni è amico suo, divide con lui anche un pasto completo 6 euro alla trattoria di via Breda: "Gestiscono dei cinesi, sono gentili, e ci sono andato pure io". Ma per lui la strada è provvisoria, dice Daniele: “C'è chi l'ha scelta e chi non l'ha scelta, lui si cura esteriormente e interiormente, per essere una persona normale, ha cultura, sa fare discorsi. Potrebbe lavorare ancora qualche anno, se trovasse lavoro”. Nel posteggio sotterraneo due giovani gestiscono il traffico di droga nella zona e mi hanno riconosciuto come finto clochard e scambiato per un poliziotto sotto copertura e da quel momento per me non c’è stata più pace. Hanno prima ammazzato il mio amico cane, come primo avvertimento e poi hanno inscenato la mia morte accidentale, quando erano stati gli artefici della mia dipartita. I due non sono stati incriminati, ma sono stati rilasciati su cauzione in attesa di ulteriori indagini. Nessuno conosce ancora i dettagli della mia morte, ma il caso è stato chiuso per incidente fortuito, mentre uno dei portavoce della Redazione si è detto "triste" per la "tragica morte".



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Scrittura creativa scritta il 14/04/2017 - 06:40
Da Savino Spina
Letta n.2197 volte.
Voto:
su 3 votanti


Commenti


Complimenti Savino. Bello interessante,commovente il tuo racconto; merita più delle 5 stelle disponibili. Piaciuto molto davvero .Aurelia

Aurelia Strada 20/04/2017 - 15:51

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Fare il giornalista vero e non il dipendente di una casa editoriale è molto difficile. pressioni esterne e interne.
ma ci sono ancora dei professionisti. Sempre più pochi per mille motivi.
Quelli che vediamo in televisione spesso sono solo degli strilloni.
Nei teatri di guerra ci vanno quelli che vogliono davvero vedere e raccontare la verità che a volte non ci viene nemmeno comunicata.
Complimenti Savino per il tuo articolo.
Buona pasqua.

ALFONSO BORDONARO 14/04/2017 - 22:01

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C’è una strage silenziosa nel mondo, di cui poco si parla. Sto parlando dei giornalisti che vengono uccisi mentre svolgono il loro lavoro. Reporter che vengono ammazzati perché vogliono solo raccontare la verità. Ne muoiono a centinaia nelle zone di guerra o in Paesi in cui il governo impone un certo tipo di notizie e, chi non si allinea o prova a denunciare dei fatti (come per esempio la violazione dei diritti umani) viene ucciso. Fa impressione osservare come la totalità degli omicidi non trova giustizia. Nel 99% dei casi, infatti, non vengono trovati né gli esecutori materiali né i mandanti. È giusto morire per la verità nel nome degl'ideali?

Savino Spina 14/04/2017 - 15:30

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RACCONTO SEGUITATO CON MAGISTRALE ARGUZIA.
BUONA PASQUA, SAVINO.
*****

Rocco Michele LETTINI 14/04/2017 - 13:00

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Bello. Molto bello. Intenso e ben scritto. Proprio in stile giornalistico. I fatti, asciutti, senza trascendere nel giudizio personale.

Cristiana Majone 14/04/2017 - 12:08

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Racconto ispirato alla storia vera del giornalista Lee Halpin!

Savino Spina 14/04/2017 - 08:09

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