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LA CONVERSAZIONE

Le istruzioni sono:

Immagina questa schiera di personaggi: Quello che vuole sempre dire la sua, quello che dubita per principio, quello che capisce fischi per fiaschi, quello che ama la precisione. Mettili attorno a un tavolo o dove preferisci e falli parlare su una questione di principio o su un argomento di comune interesse.


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I quattro moschettieri

Dopo tanti anni i quattro moschettieri si sarebbero ritrovati. Li avevano sopranominati così al paesello, un antico e vecchio borgo dove le casupole erano strette come le celle di un alveare e nel silenzio della notte quando i cani smettevano di latrare potevi chiaramente percepire il respiro di chi abitava nella casa affianco. Mario, Danilo, Francesco e il Severino ritornavano al paese dopo anni, per dare l’ultimo saluto all’uomo che era stato l’artefice del loro destino, l’uomo che si era preso cura di loro supportandone il carattere non facile e che con la pazienza e la perseveranza propria dell’uomo di fede era riuscito a incanalare la loro esuberanza dando loro occasione di divenire degli uomini responsabili. Il Don, lo chiamavano così da bambini e avevano continuato a farlo nel tempo, era il padre che avrebbero voluto, il padre pronto a ascoltarli a consolarli ma anche a dare buoni consigli a tirar loro bonariamente le orecchie se necessario, senza mai essere troppo severo. Mario e Danilo erano figli della stessa donna ma avevano padre diverso,il padre di Mario era morto quando lui ancora gattonava, e quello di Danilo era divenuto uccel di bosco due anni dopo la sua nascita .
<<Un delinquente senza timore di Dio>> ripeteva sempre la loro madre, che a stento riusciva a mantenerli andando a lavorare nei campi. I due, dato il carattere molto diverso: pur volendosi un bene dell’anima erano sempre ai ferri corti.
Mario, era uno che voleva avere sempre l’ultima parola, mentre il fratello dubbioso per principio, non gliela dava mai vinta, facendolo infuriare. Qui, interveniva quel sant’uomo del Don che interrompendo la funzione veniva fuori a separarli dalle frequenti scazzottate; riportando tra i due la pace.
Francesco, per tutti il Fiffi, era figlio del macellaio, un omone burbero e violento che pretendeva di insegnargli il mestiere a suon di schiaffi, tant’è che al paese girava voce: che dagli sganascioni ne aveva avuto un trauma; che lo aveva reso un poco strano.
Il Severino, era figlio della signora Amelia, la governante del medico condotto: una donnina minuta ma ferma di propositi che se non avesse dovuto lavorare così tanto fuori casa, lo avrebbe sicuramente messo in riga lei, il suo figliolo. Da lei il Severino aveva ereditato la passione per la precisione. A lui si affidavano i tre amici nel caso ci fosse qualcosa da ricordare, disporre, controllare. I quattro dopo il funerale si ritrovarono al bar del centro, solo un attimo di esitazione nello studiarsi, poi si tuffarono l’uno nelle braccia dell’altro e fu come se mai si fossero lasciati. Davanti a una tazza di caffè fumante ripercorsero gli anni della fanciullezza, a quando con le loro gesta e i loro scherzi facevano vociferare il paese.
<<Ricordate il parrucchino del sarto?>> disse Mario ridendo <<dopo lo sciampo lo metteva a asciugare al sole, noi glielo rubammo e glielo facemmo ritrovare di un bel giallo canarino>>
<<Andò per il paese borbottando per settimane, che il sole non era più lo stesso.>> Concluse Danilo ridendo.
<<Già,sino a quando non ricevette quella lettera anonima che lo informava che eravamo stati noi a tingerla>> proseguì a bassa voce Fiffi.
<<Ancora mi chiedo chi, se oltre noi nessun altro sapeva>> continuò Severino scrutando gli amici. <<Su via ragazzi confessate, dopo tutti questi anni ora lo potete dire: ci eravamo ripromessi se ricordo bene “puntualizzò ancora” che nessuno avrebbe mai dovuto aprir bocca>>
<<Quante storie, sono stato io, ma non ho aperto bocca, ho solo inviato una lettera: perciò ho mantenuto i patti>> ribatté Fiffi non capacitandosi del perché, terminata la frase fossero tutti scoppiati a ridere.
Proseguirono così fino a tarda sera, annaffiando di tanto in tanto i ricordi con della birra fresca,con l’intento di onorare a modo loro la memoria del tanto amato parroco.
<<Ricordate >> disse Danilo <<il caro vecchio Don quella volta che impregnammo di polvere urticante la sua veste?
Noi lì, durante la messa a goderci lo spettacolo, mentre lui poveretto continuava a predicare, resistette sino alla fine, poi paonazzo in viso corse fuori e si tuffò nella fontana dei pesci sul retro della chiesa mentre continuava a ripetere.
“Vada retro satana, vada retro.”
Quando seppe che eravamo stati noi, ci ordinò di recitare venti atto di dolore e rimase lì a ascoltarli tutti.>>
<<Non erano venti io ne ricordo trenta>> disse Mario.
<<Macché trenta, tu ricordi male, erano venti, più cinque padre nostro>> replicò Severino.
<<No, no, state sbagliando tutti, io ricordo che ci fece recitare il rosario per un mese di fila. Ricordo che quando mi disse (Fiffi, domani vieni a messa con il rosario), io andai con Rosario il tabaccaio e lui si arrabbiò tanto, eppure …>>
<<Ma va là, stai zitto tu, che hai sempre capito fischi per fiaschi. Dopo tutti questi anni non ho ancora capito se questo ci fa, oppure se è così per davvero>> disse Danilo.
<< Era bravo il Don un periodo volevo farlo innamorare di nostra madre e comportandomi male gli diedi occasione di avvicinarla, per un po’ si frequentarono. Nostra madre trovava conforto nelle sue rassicurazioni, io credo che fra loro stesse nascendo qualcosa. Forse, se non avessero avuto paura delle chiacchiere di paese …>>
<< Ma non dire idiozie, il Don e la mamma, ma quando mai! Tu scherzi, dubito fortemente, anzi dico di più. Impossibile. Era troppo un sant’uomo, mai e poi mai avrebbe tradito il suo Dio.>>
<< Eppure, una volta mi è sembrato di averli colti in un momento in cui stavano per baciarsi, lui era vicinissimo a nostra madre e,>>
<< Senti Mario, cambia discorso, solo l’idea mi sporca il loro ricordo, non vorrei vedermi costretto a chiuderti quella boccaccia, adesso non c’è più il Don a salvarti la pellaccia.>>
<< Salvare me, ma quando mai! Eri sempre tu a avere la peggio e a frignare come una donnina.>> <<Su via ragazzi smettete, il Don ci ha nominati suoi eredi, è quindi venuto il momento di essere seri e decidere cosa fare dell’eredità>> disse Severino porgendo le bottiglie di birra vuote alla barista, e facendole cenno di portarne delle altre.
<< Se siete d’accordo metterei tutto nelle mani di Severino>> disse ancora Mario rivolto agli amici.<< Qui il contabile è lui e con lui tutto filerà liscio come l’olio.>>
<<Purché non vada come quella volta in cui il Don pensando che Severino fra di noi fosse il più affidabile oltre a dargli il compito di tenere i conti delle questue e in ordine i registri parrocchiali non gli affidò anche quello di suonare le campane, ricordi Severino ? Puntualizzò con ironia Danilo.
<< Se lo ricordo? Non me lo sono mai perdonato. Nessuno sapeva che il Don, “pace all’anima sua” mettesse la sveglia della sacrestia un’ora in avanti per poter fare le sue cose con comodo, tanto meno lo sapevo io. Così quando vidi che l‘orario della sveglia non coincideva con quello del mio orologio pensai bene di metterla all’orario giusto e fu così,che mandando all’aria tutti i programmi del Don, le campane suonarono quando non dovevano e in chiesa si videro arrivare allo stessa ora una coppia di sposi e un corteo funebre. In paese cominciò a girar voce che il Don andava di matto e anche dopo tempo, ogni qualvolta il Don raccontava l’accaduto: si vedeva che gli venivano i sudori freddi per l’imbarazzo.>>
<<Vi siete chiesti, domandò Danilo perché il Don ha scelto noi come suoi eredi? Gli abbiamo reso la vita un inferno, e lui ora ci fa questo regalo.>>
<<Be ma è chiaro,>> rispose Mario <<voleva renderci pan per focaccia. Nella clausola ultima del testamento c’è o non c’è chiaramente specificato che parte di quei soldi andranno utilizzati per il recupero di ragazzi difficili? A noi ne verranno affidati quattro, a cui dovremmo fare da tutori e che Iddio ci aiuti! Perché il Don sicuramente li avrà scelti peggio di noi. Si dissero i quattro, guardandosi per un attimo seriamente negli occhi. Per poi scoppiare in una fragorosa risata.
Al Don, gridarono infine i quattro amici alzando il bicchiere di birra in segno di saluto al cielo e che Dio l’abbia in gloria.



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Scrittura creativa scritta il 27/06/2013 - 19:09
Da Claretta Frau
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Commenti


Complimenti, Claretta, per il tuo simpatico racconto. Ciao

Daniela Cavazzi 09/07/2013 - 09:37

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