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INCIPIT

Le istruzioni sono:

da questo incipit (tratto da "Mandami a dire" di Pino Roveredo) crea un racconto: "Dolce tesoro mio, come stai? Anche oggi ti ho cercata al telefono e tu non c'eri."


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UN TUFFO NEL CUORE

"Dolce tesoro mio, come stai? Anche oggi ti ho cercata al telefono e tu non c'eri." o meglio io provo a chiamarti, ma nessuno risponde, il cellulare nemmeno suona ed io non so più cosa pensare. Ho provato a diverse ore della giornata, di notte, al mattino, ma da due settimane il tuo telefono non dà segni di vita e rimane silenzioso.
Potrei tornare là su quell’isola, ma chi mi dice che sei sempre là ed anche se riuscissi a prendere un aereo, non saprei dove venire a cercarti.
Ci siamo conosciuti per caso in quella vacanza stupida che nemmeno volevo fare.
Ero arrabbiato con i miei amici che mi ci avevano trascinato, ma la mia rabbia era svanita quando ti avevo vista quella prima volta.
Alta, slanciata, un corpo statuario, una bella abbronzatura, i capelli neri lunghi e lisci sulle spalle. Il viso sapientemente truccato faceva risaltare i tuoi occhi grandi e scuri.
Le tue lunghe gambe e il modo di camminare potevano farmi pensare che tu fossi una fotomodella o una indossatrice, ma c’era qualcosa che mi affascinava di te più di tutto e quello era il tuo sguardo, uno sguardo quasi malinconico, che certo non si addiceva ad una bella ragazza come te, che poteva avere il mondo fra le sue mani.
Avevi indosso quel bikini giallo molto sexy, ma un foulard colorato legato sui fianchi ti faceva sembrare molto castigata. Ti avevo guardata anche prima, quando eri seduta comodamente sulla poltrona con le gambe accavallate. Sentivi il mio sguardo su di te, anche se io cercavo di guardarti di sfuggita per non imbarazzarti e tu abbassavi gli occhi. Ad un certo punto ti chinasti sulla tua grande borsa di paglia colorata, spostasti il tuo accappatoio sempre giallo e infilasti una mano nella borsa alla ricerca di qualcosa, il pacchetto di sigarette uscì come d’incanto da chissà quale angolo della borsa, cercasti poi l’accendino e con gesti lenti e studiati ti accendesti una sigaretta.
Fumavi lentamente, aspiravi il fumo con grande piacere, sembrava rilassarti.
L’escursione prevedeva una gita in catamarano in un’insenatura da sogno e quello era il momento di scendere a terra a nuoto e di andare a mangiare sulla spiaggia dove degli indigeni avevano attrezzato delle capanne con il cibo tipico di quelle isole.
La spiaggia era bianca, la sabbia fine e l’insenatura era tutta circondata da alte palme e da un sottobosco di piante tropicali fitto e verdeggiante.
Alcune palme piegate dal vento avevano le foglie che quasi lambivano il mare e la sabbia e offrivano un riparo ed una frescura ai turisti accaldati dal sole cocente.
Sotto le palme, erano state allestite delle capanne con una copertura sempre di foglie di palma, utili per un riparo provvisorio anche dalla pioggia e soprattutto per allestire il pranzo tipico preparato dagli indigeni del posto, su tavoli improvvisati con ceste e contenitori colorati.
E’ là che saremmo dovuti andare a mangiare e l’unico modo per arrivarci sarebbe stato quello di tuffarci in mare e raggiungere la riva a nuoto.
I miei amici si erano già tuffati in acqua, ridendo e scherzando, ma io stavo indugiando, mi ero fermato per continuare a guardarti, ma cercavo di non farmi vedere troppo interessato a te e per questo ogni tanto guardavo i miei amici in acqua che urlavano a squarciagola il mio nome.
Quando tornai a guardarti, mi accorsi che avevi spento la sigaretta, avevi rimesso tutto a posto la borsa e ti eri tolta il foulard dai fianchi. Eri bellissima con quel bikini giallo che esaltava ancora di più la tua abbronzatura.
Mi eri sembrata fino ad allora imperturbabile, sicura di te, ma ogni tanto il tuo sguardo si posava sui turisti che nel frattempo si gettavano in acqua dal barcone.
La tua espressione allora cambiava, tu stavi esitando, avevi paura a tuffarti e improvvisamente mi eri sembrata una bambina impaurita. Il mio sguardo allora si fece più insistente, ti guardai negli occhi e mi avvicinai a te deciso, dicendoti:
“Signorina, ha bisogno di un aiuto, venga… mi dia la mano… ci tuffiamo insieme,”
Tu mi guardasti con un’espressione fra meravigliata e divertita, mi facesti un timido sorriso e mi porgesti la mano.
Ci guardammo ridendo, ti presi la mano e la strinsi forte, poi gridai:
“Uno..., due… e treee…, ti trascinai dietro a me e ci tuffammo in mare.
Ci trovammo immersi in quell'acqua celeste, cristallina e trasparente.
Quando riemergemmo, ci tenevamo sempre per mano: nessuno dei due aveva lasciato la presa.
Nuotammo fino a riva poi, arrivati nell'acqua bassa, io mi alzai, mi volsi verso di te e per aiutarti ad alzarti ti porsi nuovamente la mano che tu afferrasti subito e insieme continuammo a camminare nell'acqua, mano nella mano, e sembrava che nessuno dei due avesse voglia di lasciare quella presa, forse per non rompere quel legame misterioso che sembrava unirci.
I nostri sguardi si incrociavano continuamente, le nostre mani si stringevano ed io sentivo dentro di me una meravigliosa sensazione di felicità.
“Giorgio, muoviti, ma che fai, stai dormendo?” La voce del mio amico Marco stava risvegliandomi da quello strano turbamento.
“Arrivo, sto arrivando”, risposi quasi automaticamente.
“Signorina, è sola? Posso sapere il suo nome?”
Mentre dicevo queste parole mi meravigliavo di me stesso, non avrei mai pensato di rivolgermi ad una coetanea chiamandola “signorina”, ma quella era l’unica parola che mi fosse venuta in mente.
“Laura, rispose,… si, sono sola, …i miei genitori sono rimasti in albergo, non amano molto questo tipo di escursione, ma io non volevo perderla.
“Laura, bel nome, mi piace, vieni con noi, allora, siamo un gruppo di matti, ma siamo divertenti”.
Laura sorrise e si affrettò a dire: “Grazie, vengo volentieri. Corriamo, i tuoi amici ci aspettano”.
Quelle sono state due settimane di sogno, le più belle vacanze della mia vita.
Nei giorni successivi ci trovavamo sulla spiaggia, eri sempre trafelata come se tu arrivassi da chissà dove, ma io ero troppo felice di vederti per pormi e porti delle domande.
Erano ore intense, dense di abbracci, di baci, di amore, di parole, di sogni.
Per noi era importante solo stare insieme, sembrava di conoscerci da sempre, era come se ti avessi già incontrato, tanto eravamo affiatati, ridevamo insieme, dicevamo le stesse parole, i nostri occhi si cercavano e si perdevano gli uni negli altri.
Non posso certo dimenticare quel pomeriggio quando, dopo aver fatto l’amore, mi abbracciasti e mi dicesti “Grazie, amore mio, hai dato un senso alla mia vita, non potrò mai dimenticarti”.
Ti guardai sorpreso, i tuoi occhi erano velati di lacrime, ma tu ti mettesti a scherzare per rompere quel momento particolare ed io mi lasciai ancora una volta trasportare dalla tua esuberanza e dalla tua semplicità.
In quei giorni ci siamo raccontati la nostra vita, ci siamo confidati, ci siamo amati.
Ma solo ora mi rendo conto che tu non mi hai mai detto niente di te stessa, non so dove abiti, dove lavori, cosa fai realmente.
Abbiamo parlato tanto, ma solo tu sai tutto di me, io, invece, non so niente di te.
Poi quel giorno sei arrivata con le lacrime agli occhi e mi hai detto:
“Giorgio, domani mattina devo partire, la mia vacanza è finita” e mentre dicevi questo le tue labbra rosee sembravano diventare sempre più pallide e tremanti.
“Laura, ma che dici, anch'io devo tornare a casa, anche per me sta finendo la vacanza, ma noi non ci perderemo, ti amo troppo per perderti, ti verrò a trovare anche in capo al mondo, dammi il tuo numero di telefono e ti raggiungerò ovunque.
Tesoro mio, in quel momento vidi nei tuoi occhi un bagliore di felicità, sembrò che le mie parole fossero riuscite a tranquillizzarti, mi prendesti una mano e la sfiorasti con le tue labbra. Mi scrivesti il tuo numero sul mio braccio, dove c’è ancora.
Ricordi, ti abbracciai dolcemente, un abbraccio che voleva comunicarti tutto il mio amore, tutta la mia folle pazzia per te, ero innamorato da morire e lo sono tuttora.
Ma quel numero di telefono lo hai usato solo due volte, una prima volta quando eri in aeroporto per dirmi che eri pronta alla partenza e la seconda volta solo per un messaggio in cui mi dicevi “sono arrivata, tutto ok”.
Ecco perché sono confuso, non riesco a capire il tuo comportamento, non riesco a capire come dopo tanto amore, tante parole, tanta paura di perdermi, tu sia potuta sparire nel nulla.
Non riesco nemmeno a pensare che tu non possa amarmi perché ero sicuro del tuo amore, ti sentivo sincera, ti sentivo vera, ti sentivo innamorata.
Ma tutto mi dice che ti ho persa e non riesco a farmene una ragione.
Dove sei, con chi sei, cosa stai facendo?
Domande senza risposta che mi sono rivolto più volte in queste settimane, inutilmente, giorno dopo giorno.
Credevo che quel numero di telefono sarebbe stato il nostro fedele complice, ma mi sbagliavo, mi rendo conto che quel numero ora non mi serve a niente perché di fatto tu non ci sei dall'altra parte.
Tesoro mio, ora ti sto scrivendo questa lettera, la posterò su facebook, tu il mio nome lo sai, se vuoi, puoi fare presto a rintracciarmi e rispondermi.
Io non posso rassegnarmi e devi sapere che una tua risposta farebbe di me l’uomo più felice di questo mondo.

Giorgio aveva terminato il suo messaggio, lo salvò sul desktop e rimase fermo davanti al computer, doveva ancora decidere cosa fare di quel messaggio, se postarlo o lasciarlo lì in una cartella.
In maniera automatica cominciò a cliccare sulle varie pagine: piccole notizie di poco conto, soprattutto legate al gossip, niente di importante, spesso notizie inventate, supposizioni, quella sera non voleva certo impegnarsi in qualcosa di diverso.
Ad un certo punto il suo sguardo si posò sulla foto di una ragazza, assomigliava a qualcuno, assomigliava a Laura. Giorgio ingrandì la foto, la guardò meglio…
Sentì un tuffo nel cuore.
“No, è proprio Laura, ne riconosco i lineamenti, rivedo i suoi occhi,… ma è in un letto di ospedale…!
Legge la notizia: “Giovane escort, di ritorno da una crociera nei Caraibi, tenta il suicidio.
Intervistata da una nostra inviata sul motivo di quel fatale gesto, ha risposto:
“Non ce la facevo più a fare quella vita, l’ho capito solo dopo aver incontrato il vero amore, un giovane che ho conosciuto in quell'isola caraibica. Mi ero sempre rassegnata a quella vita, ma tornata a bordo, ho trovato tutto insignificante e insopportabile. Mi sono resa conto che non avrei mai avuto la possibilità di cambiare, non mi avrebbero mai permesso di uscire dal giro e non vedevo nessuna via di uscita.
Dopo aver conosciuto l’amore vero, non avrei più potuto sopportare di vivere in quel modo, meglio morire allora. Non potevo immaginare una vita senza di lui né avrei mai avuto il coraggio di confessargli il mio passato. E’ per questo che volevo farla finita, ma non sono stata così brava perché sono sempre viva.”
Giorgio aveva letto e riletto quel trafiletto e si era sentito travolgere da emozioni contrastanti, poi aveva cominciato a provare una gioia interiore crescente che lo spingeva ancora una volta verso quella giovane ragazza.
Doveva solo fidarsi del suo cuore, dei suoi occhi che gli avevano rivelato da subito la sua vera natura, era stato colpito dalla sua tristezza, dalla sua rassegnazione, dalla sua semplicità, aveva visto la Laura vera, quella nascosta che non aveva mai trovato la forza di uscire fuori.
Il trafiletto riportava anche l’ospedale dove era ricoverata la ragazza e ormai Giorgio aveva letto abbastanza. L’ospedale era a un centinaio di chilometri da casa sua.
Ora sapeva cosa doveva fare.
Si mise la giacca, prese le chiavi della macchina e scese di corsa le scale.
Doveva correre, doveva andare a riprendersi la sua Laura, quella vera.



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Scrittura creativa scritta il 14/01/2014 - 00:40
Da Roberta Sbrana
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