IL LUNGO VIAGGIO
Non sono coperto, nonostante la temperatura autunnale. Evidentemente ho dormito sopra il copriletto che non mi sembra nemmeno sgualcito. Non ho nemmeno il pigiama addosso. Indosso il gessato grigio, quello preferito. Penso che tutto ciò sia strano e cerco di ricordare cosa sia avvenuto la sera del giorno prima ma non rammento niente. Mi avvicino alla finestra che lascia filtrare le prime luci del giorno.
Sollevo le tapparelle ma non troppo, quasi per il timore che la luce possa infastidirmi. C’è una leggera nebbia che si sta sollevando lasciando intravedere il prato cosparso dalle foglie rosse e giallastre degli alberi ormai quasi spogli. Decido di scendere in cucina per far colazione. Il profumo di caffè mi arriva, delizioso, su per le scale.
Mia moglie Simona è già lì ed ha apparecchiato la tavola, come al solito.
Anche lei indossa il suo più bel vestito, quello della festa.
Vorrei chiederle il motivo, sapere se dobbiamo andare da qualche parte, così vestiti di primo mattino, ma non oso farlo per timore di confessarle che non ricordo niente.
Mi accosto a lei e le sfioro la guancia con un bacio, come faccio da anni.
Ci sediamo entrambi. Sul tavolo c’è lo yogurt, la marmellata, le brioche calde, il burro, e due tazze già colme del cappuccino decaffeinato ancora fumante.
Mangiamo con soddisfazione, senza parlarci. Appena finito l’aiuto a sparecchiare ma lei mi fa cenno di lasciar stare. Vuole farlo lei. Ha sempre voluto farlo lei, da tanti anni.
Acconsento tacitamente, con un semplice gesto della mano e vado in salotto.
L’ambiente è già illuminato dalla luce naturale del giorno che entra dall’ampia vetrata che dà sul giardino.
Suona il telefono e mi accingo a rispondere ma Simona, che nel frattempo è venuta anche lei in salotto, mi dice di lasciar perdere.
Dopo alcuni squilli scatta la segreteria telefonica.
E’ mia figlia Deborah e lascia un messaggio che non è diretto a noi, a quanto pare.
Dice che farà un po’ tardi all’incontro fissato per le nove ma di non iniziare senza di lei.
Tutto ciò mi appare strano ma non chiedo. Prendo una rivista e la scorro mentre Simona pulisce la polvere che sull’arredamento in stile antico si nota subito.
“Come stai, oggi? le chiedo, quasi distrattamente. “Meglio, oggi, non sento più alcun dolore” mi risponde.
Passa il tempo così, io leggo e lei procede con i suoi lavori di casa.
Sono quasi le nove e sento la porta d’ingresso che si apre.
Dev’essere mio figlio Denis, il più piccolo, perché è l’unico ad avere le chiavi di casa. E’ piccolo, poi, per modo di dire perché è alto quasi un metro e novanta. E’ comunque il più giovane dei tre miei figli.
Sento che si dirige verso il mio studio anziché passare a salutarci. Penso che la cosa sia strana ma il fatto non mi preoccupa. E’ fatto così.
Salgo in bagno, al primo piano e trovo Simona che si sta pettinando.
Il suo volto è pallido. Non l’avevo ben osservata, in cucina, mente stavamo facendo colazione.
E’ chiaro che non sta bene ma non voglio chiederglielo. So che sarebbe inutile. Immagino che direbbe “sto bene, grazie”. E’ la sua abitudine.
Sento suonare il campanello ed odo delle voci. Scendo a vedere e, dalla porta socchiusa, intravedo i miei tre figli seduti attorno ad un tavolo, in salotto. Nessuno si è accorto di me perché mi sono fermato fuori, ad osservarli.
Mi sento prendere la mano. E’ Simona, scesa anche lei.
Faccio per parlare ma lei mi zittisce, con garbo.
Deborah ha preparato del caffè e lo sta servendo ai fratelli.
Mi sembrano affranti e questa riunione, in casa mia, mi appare un po’ strana, ma decido di non intervenire e di stare ad ascoltare.
“Così è andata” afferma Giorgio, il più anziano, come se pensasse a voce alta.
“Tu pensi che papà sapesse?” interroga Denis. “Penso proprio di si. E se volete saperlo credo che le cose non siano andate come ha detto la polizia.” “Anch’io sono di questa idea” interviene Deborah. “Per fortuna che hai le chiavi di casa” dice Giorgio rivolto a Denis. “Se tu avessi suonato quasi certamente la casa sarebbe saltata in aria.”
“Certo che se non è stata una disgrazia, la cosa è stata preparata bene” osserva Deborah. E aggiunge: “il caffè sul fuoco. La fiamma del gas spenta dal caffè che è traboccato. Se non fosse stato che il tumore era già in metastasi, avrei pensato alla disgrazia.”
“Papà lo sapeva di certo e non ha mai voluto dircelo” osserva Denis. “Hanno detto che la mamma avrebbe avuto non più di due mesi di vita e che avrebbe sofferto moltissimo.”
“Papà le ha sempre voluto un gran bene ed ha deciso così” dice Giorgio, pensieroso.
Io guardo Simona che mi sorride dolcemente.
Sento che i miei figli discutono ora della casa, che è meglio metterla in vendita.
“Dobbiamo andare” mi sussurra Simona, “ci attende un lungo viaggio”.
Faccio cenno di sì, col capo, perché solo ora ho capito.
Guardo per un’ultima volta i miei figli. Vorrei andare in salotto ed abbracciarli, dire a loro che io e la mamma li amiamo. Vorrei dire loro di non condannarmi per quello che ho fatto e che ora ricordo distintamente. Ma so che è inutile. So che non possono vedermi e nemmeno ascoltarmi. So anche che mi hanno già perdonato questo mio ultimo gesto d’amore per la mamma.
Apro la porta di casa ed usciamo dopo averla chiusa senza far rumore.
Poi ci incamminiamo lungo il viale tenendoci teneramente abbracciati.

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sono una parola....commossa



Forse a voler rispettare quella scelta, condivisibile o meno, fatta per amore.
Piaciuto molto lo stile di scrittura...
Ciao Adriano



devo dire che questi passaggi del "Capo" sul sito sono belli e piacevoli
Un abbraccio Adriano

