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il nano

Solitudine e silenzio mi avvolgono ormai.
La solitudine è costante anche se c'è gente intorno e il silenzio cala la sera quando rientro.
Accendo il condizionatore che mi fa compagnia e il televisore, ma non sono più capace di guardare, di leggere un libro o anche solo quella semplice guida Lonely Planet della Val D'Aosta .
Succede così. Ma non me ne accorgo.
Dentro la mia testa qualcuno parla sempre.
Parla quando lavoro, parla quando parlo, parla quando la tv è accesa, il libro aperto e quando ascolto un amico, sempre che si possa ancora definirlo ascolto.
Declino gli inviti a cena, li accolgo in prima istanza ma all'avvicinarsi dell'orario pianificato, quando arriva il bivio dell'imprevisto: quell'orario che corrisponde pressappoco a 9 ore prima, spero in una scusa dall'una o dall'altra parte. Alle volte sono fortunato: mi arriva il messaggio e gioisco nel poter ritagliarmi spazio senza aver dovuto trovare il modo di declinare.
Non penso alle donne, non penso alle cose belle, all'arte, non penso alle forme, ai sorrisi, al profumo.
L'erotismo è diventato un atto pratico, poco sentito: una formalità.
Non penso ai ciuffi di pelo curati che si nascondono alla vista o alla pelle liscia che incornicia gli umori che una volta mi davano la spinta di fare.
Non penso alla carne e penso invece al triste sentore di non essere più abbastanza.
Mi sento ad un passo dalla fine dei fatti, con un piede che già poggia lieve sull'erba costretto in un calzetto bianco e corto, dentro un sandalo di cuoio mentre, seduto su una panchina, osservo il vortice di altri, senza sentirmi in grado di agire, di appartenere, di coinvolgere, di esistere.
Esterno a tutto, fuori dal perimetro, senza nessuno che da me voglia imparare nulla.
Ho fatto un passo indietro di troppo e ora sono un ingranaggio di una macchina ferma e in rimessaggio.
Empatizzo con la mia vecchia K75 lasciata senza assicurazione in una polverosa cantina , con i suoi maledetti tubini che dovrebbero pompare olio, benzina e aria.
Dovrebbe bruciare e sfiammare e invece è ferma che strilla e avrebbe tanto da spingere senza pensare a nulla ma è lì ad osservare le bottiglie mezze vuote di aceto che una volta era vino.
Non riconosco lo smalto lucido che avevo e che ora è opaco coperto da una coltre di pessima consapevolezza. Non mi curo, non mi guardo negli occhi, non mi piaccio.
Resto solo con questo ossessivo nano depresso e logorroico nel cervello che parla, parla, parla e non ha voce.
Non saprei nemmeno definire il suono delle sue parole così veloci che non hanno sostanza ma solo concetti che prendono forma e poi svaniscono e lasciano aridi campi di nulla e pece che mi immobilizza.
Ora sono immobile.
Si muovono solo i miei pollici sulla minuscola tastiera del telefono mentre scrivo e questo mi dà gioia.
È l'unica cosa che mi mette tranquillo. L'unica evasione vera da quel rumore di fondo.
Come se le parole di quello uscissero dalle mie dita e finalmente mi lasciassero stare.
Così torna la voglia di preparare una cena per due, di prendere la moto di notte e andare a fare il bagno al mare con la luna che ci guarda , di ballare fino a tardi, di bere, di fumare e di legarla al letto e darle sadicamente delicatezza e baci mentre vorrebbe impeti di violenza.
Torna quella meravigliosa immagine dannata di me che mi dà energia.
Devo evadere.
Le responsabilità mi uccidono.
Devo sdoppiarmi o ne morirò o il mio corpo nel rassegnarsi prenderà malsane vie che portano alla malattia.
Devo evadere dalle troppe responsabilità.
Forse è tardi?
Non è mai tardi per nulla se si sente il battito scandire il ritmo.
Ma se questo tizio nella testa non tace... il battito è solo un lontano ronzio che si confonde con il condizionatore.


Taci, tu che sei schiavo dei numeri, del "si fa" e del "non si fa", degli orari, delle ore di sonno, del prima, del dopo, del mai... del per sempre!
Lasciami!
Taci tu che sei servo delle bollette, delle multe, del "non posso permettermelo", dei cinquanta euro, dei sensi di colpa e del dovere, del futuro.
Taci ma non sempre, solo per un po', solo per il tempo di evadere ché devo scappare da qualcosa ma sei poi torno e non ti trovo sarò solo di nuovo. Fermo. Fermo, immobiile solo in qualche altro luogo.
Schiavo del nulla. Senza nulla.
E adesso che fai? Taci sul serio?


C'è stato un tempo in cui vincevo sempre.
Ora no.
Temo di credere di sapere troppe cose per quelle illusioni. Ed è male!


Dammi un'illusione.
Dammi un'illusione per sorridere ancora.
Dammi un'illusione che sia reale.
Che sia una scenografia, anche dipinta male ma che non possa sparire nel nulla così.
Ma che mondo inutile è se sparisce senza nemmeno lasciare una scia di vapore da osservare? Se cambia senza mutare lentamente? Se svanisce senza nemmeno essere esistito un secondo?
Dammi un'illusione che quando crolli lasci macerie e polvere.
Voglio almeno delle macerie su cui sdraiarmi e un cielo da guardare per calmare il respiro e parlarti, sconfitto e sorridente.
Nano inquieto. Maledetto. Ti amo.




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Racconto scritto il 20/07/2022 - 16:23
Da Michele Facchini
Letta n.411 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


Congratulazioni per il meritato riconoscimento. Scrivi assai bene!

Marina Assanti 08/08/2022 - 17:54

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Complimenti per il miglior racconto del mese!! Non mi ero sbagliata!!

Anna Cenni 08/08/2022 - 11:00

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... e questo mi dà gioia...
È l'unica cosa che mi mette tranquillo.

Scrivi!


Lisa Franceschi 22/07/2022 - 16:25

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Ami il nano, direi, stai a un passo avanti, credo sia l'accettazione del nano il primo passo per ritornare a prima!! Scrivi qui ora, è un altro passo, ma oltre non voglio andare, scrivi meravigliosamente e spieghi il tuo sentire, con poesia!! Benvenuto, da me, che non ti ho mai letto prima di ora.

Anna Cenni 20/07/2022 - 18:20

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