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Poesia scritta il 01/01/1970 - 01:00
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Commenti


13 Maggio 1943


Sono passati tredici anni dall’ultimo, terribile- direi anzi – orribile bombardamento di Cagliari!
Non ricorderei ancor tristemente quella data se, il caro Ballero, non avesse risvegliato nel mio animo, col suo articolo sulla partenza di S.Efisio, delle emozioni incancellabile a me causata dalla fatidica data che, più d’un cagliaritano, certamente, non potrà mai scordare.
Purtroppo, assieme alle poche persone che presenziarono alla partenza di S.Efisio, in quell’anno, almeno per quanto durò la cerimonia e fino all’uscita del Santo dalla chiesa che ne porta il nome (che emozione ho provato l’altro giorno, nel vedermi ritratta dietro il simulacro, io che in quella lontana mattina, avevo assistito tremante della partenza del nostro S. Guerriero senza minimamente pensare che, a tredici anni di distanza, una fotografia, un giornale, avrebbero documentato per sempre l’aver presenziato a quella cerimonia.
Io mi trovai lì, sola, sperduta come le altre poche povere donne che piangevano un parente, che piangevano un parente, che invocavano, che pregavano sommessamente.
Ecco . era da poco tornato S.Efisio, il sole splendeva e riscaldava un po’ gli animi di noi superstiti, che avevamo assisitito alla distruzione, alla morte dei nostri amici, parenti, compagni e di persone a noi ignote: le strade erano impraticabili.
Come oggi, era il mese di Maria, quello che, credo, sia il più dolce perché è saldamente ancorato ai sentimenti buoni; era il mese dei fiori e tutta Cagliari era un cimitero, mentre il Cimitero era completamente turbato ed i nostri morti non trovavano neppure lì la pace neanche più nelle tombe sconvolte.
Tredici lunghi anni, ma la data per chi ha assistito allo sfascio delle nostre case, all’impotenza di non poter tirare fuori dalle abitazioni le persone che vi morirono, gemendo giorno e notte, quella data è tuttora presente ed è incancellabile.
Era mezzogiorno: il sole brillava dall’alto suo seggo e sembrava volesse infonderci coraggio.
La mattina assieme ad una mia collega d’ufficio che era anche la mia compagna di sofferenza, eravamo andate, rischiando la vita ed a piedi alla Basilica della nostra cara Madonna di Bonaria e l’avevamo tanto implorata per frar cessare l’orrore in cui vivevamo da circa quattro mesi.
Al ritorno passammo anche nella chiesa di S.Rosalia, che era stata colpita in parte dalle bombe.
Uscite dall’ufficio ed adornato l’altarino della Madonna e del Sacro Cuore, con qualche pizzo e trina ancora non distrutti, nonché con qualche fiore scendemmo la scala di legno che conduceva alla mensa di fortuna del nostro cantiere over ci accingevamo ad iniziare il magro pranzo(ma fortunato chi poteva ancora avere quello).
Appena incominciato, udimmo il frastuono delle pesanti bombe che cadevano senza che nessuno di noi avesse udito l’allarme.
Afferrai la mia collega e più presto che potemmo, arrivammo alla porta del vicino rifugio di pietra (preparato dalla Società di cui facevamo parte ed ove alcuni miei colleghi passavano tantissime lunghissime e terribili notti).
Giunte al sicuro, udimmo lo scatenarsi della polvere nemica sulla nostra povera città.
Fu una cosa terribile; alcuni uomini entravano e cadevano svenuti ; alcuni altri piangevano di dolore per aver visto questo o quell’altro compagno addirittura falciato da qualche grossa scheggia o inghiottito dal fuoco.
Per circa tre ore ci tennero come bersaglio, si cercava di accendere qualche fiammifero, ma le pallide luci si spegnevano immediatamente per lo spostamento dell’aria causato dalle varie bombe che caddero su ed intorno al nostro rifugio.
Poi qualcuno ci avvisò che era cessato l’allarme, pian piano uscimmo, con l’animo tramortito a riveder la luce e con essa, i disastri, l’orrore di quelle poche ore!
Di fornte all’attuale Clinica Medica, che allora era in costruzione, aveva preso posto la Croce Rossa in un ampio rifugio naturale: vidi cose orribili, terribili, eppure lo voglio dire, vidi tante barelle, una appresso all’altra ; vidi in una di esse un uomo con la testa completamente scoperchiata della sua parte ossea ; vidi una madre senza un braccio e vicino un bimbo di circa un anno o poco più, anch’esso ferito, non ricordo più dove.; udii lamenti, pianti, per tutta la serata, vidi tante altre barelle., tanti altri orrori.
Visto che il caro Ballero, che immagino è fratello del mio allora collega, ha parlato di quel triste 1943 in cui S.Efisio partì da solo per il solito pellegrinaggio a Nora, ebbene, io che, insieme a Cagliari, come tanti altri ho assistito alle rovine ed ai disastri di questa nostra città, ho voluto ricordare che, con il 13 Maggio 1943 cessarono i più terribili e micidiali bombardamenti della zona della Sardegna maggiormente colpita.
Dire cosa si vedeva per le strade, non è possibile, ripeto e credo di aver avuto un coraggio che, francamente, solo nelle occasioni più tremende e nelle prove più grandi l’essere umano dimostra di possedere.
Perciò, per molti, per tanti, quelle strade di S.Efisio, S.Giorgio, S.Margherita, forse sono delle vie qualunque, per me, per tanti altri invece, vivranno perennemente nel nostro cuore e nel nostro spirito, perché è forse facile far sbiadire alcuni ricordi piacevoli, ma quelli spiacevoli in genere non si possono dimenticare.
Perciò, caro Ballero, anch’io mi unisco a te in questo giorno che, penso, ricordi anche tu e che certamente ti strapperà una lacrima come compianto per quei poveretti che, straziati, la più parte morì senza neppure una sepoltura, anzi venne sepolta nelle proprie case!

Maria Erminia Nioi


Francesco Cau 26/11/2019 - 14:19

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bella poesia come tristi i ricordi della guerra.

Antonio Girardi 25/11/2019 - 14:32

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Toccante poesia. Io nel 1943, non ero ancora nata ma ho assimilato molto di quei giorni attraverso i racconti ed i ricordi dei miei genitori. Proprio per questo è un periodo che amo molto, perché mi fa pensare alla loro gioventù!Bravo!!!

santa scardino 25/11/2019 - 14:11

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