e ancora stupisce l’odore di quella “stua” di legno che fin da bambino ti conduce per via.
I prati di fresco tagliati dai forti profumi di erbe che trascini in città e quei sapori del mangiare sui prati.
Quel sentire il sole, innescare i moti dell’aria intorno.
E le gare di allora, a dare per primo un nome a quella
nube rincorsa, da veloce e mai sazia sorpresa.
E rotolare sul pendio nel fieno appena seccato, gioia
per noi, un po’ meno per chi aveva falciato e sgridava.
Vivere tramonti alle nove di luglio, a seguire l’ombra
ritirarsi fino a nascondersi nella sera, e fermarsi
distesi, ascoltare campane inondare la valle e
conosciuti fremiti, accartocciarti l’anima, ogni volta stupita.
Le campane di Aprica ancora, rimangono dentro
un timbro noto solo lassù che ti porti a Bologna
come di una gioia, unita a una pena che non sai e
ti manca.
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