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Una sera l'amore

Ero lì mentre e cercavo di godermi gli ultimi tiri di quell’ultima sigaretta che con sé portava gli affanni di una lunga giornata.
Feci un lungo sospiro,per cambiare quell’aria che da ore ristagnava in me.
Uscì dagli automatismi che di me fanno Ludovica,che di me fanno giovane donna dall’aria affabile,che vedete
Mi riducono a definizione.
Amo emulare la muta dei serpenti quando,col calar del sole,m’accascio a terra con l’illusione di poter cambiare,di potermi rinnovare.
Di poter spegnere la luce per fare spazio ad un buio che con i suoi mille fori trafigge di luci una città,che non è mai quasi bella quando è sveglia,mentre tutti già dormono.
E’sera,e tra un sospiro e l’altro guardando la premura con la quale il sole lascia il proprio spazio alla luna senza esserne padrone,mi chiesi cosa fosse in realtà l’amore.
Non è l’epoca delle associazioni libere,dunque mi figurai due innamorati al tramonto,il sorriso di un bambino,il dare sé all’altro e d’improvviso,in media res, senza ch’io potessi aggiungere parola alcuna m’immobbilizzai,e guardando in sé stessa la vita,senza essermi mai sentito veramente così,vivo.
Divenni la serenità che d’improvviso potevo carpire da una luna che adagio s’era posata,lentamente,a metà del cielo.
Assorbii la nostalgia di quel sole nei confronti di quella luna, alla quale lascia quello spazio che mai chiama proprio,a lei,senza uno sguardo;
Impossibilitato nel tocco,impossibilitato nella parola,immobile nello sguardo.
Eppure quelli che chiamiamo contrasti sono separati da uno spazio che noi chiamiamo dell’uno o dell’altro,ma che con presunzione e con un pizzico d’amore azzardano a chiamare “ nostro”.
E’ il loro spazio,è il loro modo di amarsi.
Eppure non si toccano,non si baciano,non si guardano e forse neppure si sono mai visti.
Tu luna,mia amata,ombra che mai osa seguirmi ma che io chiamo necessaria per continuare a splendere.
Tu,mio sole,mio astro divino,ch’io chiamo mio perché necessario a far brillare il mio buio,che non fa mai così tanta luce quando tu,amato,lasci a me quello spazio che tutto il giorno tieni per me,che prepari per me,senza impormi limiti spaziali o temporali.
A volte vai via prima,a volte mi lasci aspettare,a volte impetuosa tento di coprirti,e m’illumini i confini,cosìcchè guardandomi possano vedere anche te.
L’attesa è la corda che il tempo tende tra noi due,quando tu ,tu l’attraversi per raggiungermi
io sarò già andata via e potrai ,con nostalgia assaporare le sfumature del mio essere che lascio affinchè tu possa riconoscermi;
affinchè tu possa assorbirmi,affinchè tu possa sentirmi
pur rimanendo tu sole,io luna.
..E alzai gli occhi al cielo rivolgendomi al genere umano che presuntuoso,con le sue carni,chiama proprie le anime.
Tu che mi circoscrivi,io che non mi lascio soffocare da te.
Io che sfuggo,tu che mi trattieni nei gesti,nelle movenze,tu che chiami tuo uno spirito che non t’appartiene.
Tu che chiami amore due labbra che si sfiorano,tu che osi chiamare amore due corpi che si sfregano.
Tornai in me e con la rabbia di un bambino piansi e chinai il capo a portar rispetto all’amore che innocente si posava su di me.
T’immagino così mia amata e vento tu,accarezzami.
Che la pioggia possa sciogliere questo mio involucro
Che il sole possa trafiggere questa lurida armatura
Ch’io possa amare,ch’io possa amare l’albero il mare la panchina il sentiero
Ch’io possa amare senza sentire il bisogno d’essere amato
Ch’io possa toccare senza sentirmi toccato
Che l’amore possa non avere bisogno d’essere circoscritto fra due corpi che ingenui lo stanno
Soffocando.



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Racconto scritto il 28/05/2017 - 14:41
Da Ludovica Gabbiani
Letta n.5102 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


Ciao Ludovica un bel racconto,
cerca di farti notare comunicando con gli altri autori. buon pomeriggio

GIANCARLO "LUPO" POETA DELL 28/05/2017 - 17:36

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