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Mora

Da tempo la corteggiavo invano e con estrema insistenza, volevo conquistarla ad ogni costo ma non riuscivo a sedurla, mi chiedevo se fosse frigida o virtuosa, proverbialmente una donna troppo corteggiata tende ad allontanarsi per cui decisi di abbandonare la caccia lasciando fare al tempo.
Era bellissima con quei capelli corvini, le labbra carnose, gli occhi scuri, la pelle delicata, candida come la neve, la seguivo lentamente come si segue la propria ombra ma dentro di me il desiderio correva veloce e come il fiume corre verso la foce incontro ai marosi così coi pensieri la rincorrevo, era tale il suo emanar di luce e calore che quando parlava non s'accorgeva di rivolgersi al mio cuore facendo sembrare appassiti i fiori, cupe le case e i volti. Erano sussulti d'amore, così mi rubò l'anima.
Di colpo sparì, avevo perso ogni contatto con lei ma, quando oramai pensavo di non rivederla più la incontrai per caso, era seduta ad una panchina, da sola, pensierosa, con lo sguardo perso nel nulla si godeva la leggera brezza primaverile.
Ero ancora irresistibilmente attratto da lei, la desideravo in maniera indicibile, che faccio mi chiesi, mi avvicino con una scusa, la saluto e mi ci siedo accanto. Ah, con quanti baci avrei voluto salutarla.
Non potevo perdere l'occasione, dovevo prendere l'inziativa, da quale parte avevo letto che quello del corteggiamento era il prezzo che noi uomini dobbiamo pagare per il privilegio di pisciare in piedi. Non so perché ma mi sentivo così meschino, mi sembrava quasi di essere costretto all'esecuzione forzata di un'incombenza, volevo mettere fine a quel pensiero illogico ma non ci riuscivo, per farmi coraggio mi dissi che nel corteggiamento le donne avevano bisogno di più tempo di noi uomini, forse era questo il motivo per il quale non aveva mai accettato il mio corteggiamento, e poi non siamo mica tutti play-boy, a qualcuno va bene ad altri no, tentar non nuoce, così mi feci coraggio e mi avvicinai.
La salutai e con disinvoltura e mi sedetti al suo fianco. Parlammo del più e del meno, le dissi non sono bravo a fare discorsi seri, soprattutto con le donne, così tagliai corto e le dissi "Mi piaci".
Il mare limpido rifletteva con mirabile precisione il cielo tanto da cancellare la linea d'orizzonte rendendo i due elementi come uno solo. Mentre parlavamo quasi involontariamente la mia mano si posò sulla sua gamba. Indispettita mi disse "Che fai mi metti la mano tra le cosce?". D'istinto risposi "E' la tua coscia che è finita sotto la mia mano". Scoppiammo a ridere. Il ghiaccio era rotto. A lungo parlammo di tutto e di più finché mi fermai e guardandola negli occhi le dissi "Vorrei abbracciare il tuo corpo e con esso la tua anima, i tuoi sogni in cui trovare riparo, abbracciarti per quello che sei".
Restammo in silenzio a lungo guardandoci negli occhi. Senza parlare raggiungemmo la mia auto con la quale ci dirigemmo verso un alberghetto poco distante.
Una volta in camera lentamente cominciò a spogliarsi lasciando coperte le sole parti intime.
Alla vista dell'ignuda carne mal celata dalle vesti la brama accese i miei sensi, come una furia mi pervase l'accidia, preso dalla fiamma della passione cominciai a baciarla lentamente su tutto il corpo, su ogni piccolo spazio cingendola della veste della mia saliva, e quando a me si concesse fu come tuffarmi nell'onda notturna e nuotare in un mare di felicità senza fine in cui si abbeveravano i miei desideri, dove l'acqua limpida lambiva i miei piedi scalzi, era la congiunzione perfetta, il completamento l'uno dell'altra.
I suoi occhi come diamanti scintillavano di voluttà e quando le sfiorai il collo con le labbra lasciandole sulla cute un'impronta di passione a stento frenò un grido, ma prima un fremito poi un brivido profondo le attraversò il corpo da cima a fondo.
L'espressione di quegli occhi che chiedevano amore, la bellezza crudele di quelle labbra irridenti, colme di mistero, regine dell'arte della seduzione mi avvincevano, con l'inquietudine mi colse l'agonia, un intreccio di violenza e dolcezza di carezze e baci ci travolse, un travaso di sensazioni figlie della passione.
Finiva lì la sofferenza di un'attesa durata così a lungo, che mi aveva agitato i pensieri e le membra assai più di una tortura, in quel momento il mio spirito si era elevato sino a toccare il cielo tanto da farmi sentire padrone dell'infinito.
Ci incontrammo ancora per qualche tempo incontri fuggevoli, piacevoli, intensi quanto effimeri, poi sparì nuovamente.
So dove sei, cosa fai, non ti ho più vista ma ti scrivo spesso e volentieri mentre attendo una tua vaga risposta.
Con il tuo silenzio mi fai sentire un molestatore seriale, non foss'altro che seppur di rado ti fai viva interagendo con un trafiletto telegrafico chissà, forse mi sarei arreso da tempo, ma devo ammetterlo, sei in gamba, complimenti, quale miglior metodo del tacere per toglierti dai piedi una persona ingombrante come me, ma sappi non basta il tuo non rispondermi per farmi scomparire dalla tua vita, anzi così facendo mi dai modo di perseverare.
Ah amor portator di silenzio e tristezza che infame mi spegni sotto il peso dei ricordi, un sinistro cigolio che uccide la speranza così m'appare ora il risuonar della melodia che col suo sorriso di pace m'avvolgeva facendomi volare nell'immaginario mio.
Al pensiero di lei la mia mente erra in un mondo fantastico. Inebriante come l'oppio la vedo abbracciata a me in un ballo straripante tra le onde di una musica avviluppante, calda come il vento dell'Africa.
Regina della tristezza, il tuo esasperante tacere è una profonda ferita che non vuol guarire, sei il pensiero fisso che mi tormenta l'anima, che darei se in questo momento potessi per un solo istante sentire l'allettamento voluttuoso farsi breccia sulle tue labbra, assaporar il calore della tua pelle, del tuo respiro, straziarmi all'odore della tua ignuda carne, e baciarti affinché il piacere si diffonda nei pori sino a mescere il mio sangue al tuo per perdermi con te nei meandri della passione più profonda e pura.
Ripensando alle sottili sue mani fredde, bianche come fiocchi di neve, nelle giornate vuote con il fiato che morde in gola camminando tra la brezza canto i miei versi colmi di malinconia alimentando la tristezza.
Nella mia ostinazione a varcare ad ogni costo i confini del possibile ho vissuto nell'illusione e ora attendo il discendere dell'ombre per disfarmi dei pensieri e poter nella quiete della notte vagare e perdermi nel mondo dei sogni laddove ogni desiderio si realizza.
Che darei per fermare il tempo, arrestare la pioggia e poi tornare indietro, come se nulla fosse accaduto, tornare a quei giorni spensierati, come in un sogno, ma ahimè, il mio è un ritorno alla realtà con cui tornano a girar le lancette e con essa riprende il normale corso della vita.



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Scrittura creativa scritta il 12/04/2024 - 21:23
Da Vincenzo Cassano
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