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Farla finita: quel proposito tante volte procrastinato gli si affacciava di nuovo alla mente. Era, infatti, ormai imminente il Capodanno, l’ennesimo, tra i tanti passati nell’ inedia.
Purtroppo anche per morire bisogna compiere una scelta, cosa che lui, l’inetto –così lo chiamava sua moglie-, non aveva mai imparato a fare. «Il pericolo è il mio mestiere» avrebbe voluto dire: niente di più falso. Aveva condotto una vita misera e solitaria, un topo in una gabbia che odia ma dalla quale non può e, soprattutto, non vuole uscire. Quelle quattro mura lo spazientivano ma erano, al contempo, l’unico luogo in cui riuscisse a vivere. Vivere, parola grossa.
Insomma, non gli riusciva proprio di stare al mondo. «Chissà se nell’altro, ammesso che esista, avrei fortuna migliore» si chiedeva spesso. Era il vertice delle sue allucinate ossessioni. Una mania che non gli dava tregua. Quante volte aveva provato a compiere il cosiddetto insano gesto! «Mai cosa fu più sana del suicidio», avrebbe, invece, sentenziato lui. Aveva di sicuro perso il conto di quei fiacchi tentativi andati sempre in fumo per via di motivazioni ancor più fiacche. «Questa è l’ultima volta che vedo splendere il sole» pensava tra sé e sé ogni qual volta era diretto verso l’oblio.
Ricordava come se fosse ieri l’ultima volta. L’ebbrezza di poggiare il piede nel vuoto, i brividi d’eccitazione lungo la schiena, la mente svuotata. Poi la vertigine. I fantasmi della sua miserabile esistenza danzavano nella voragine che gli si parava innanzi. Nitidamente li aveva visti uscire dal petto e fluttuare felici, neri e saettanti, sempre più lontano. Si sentiva finalmente soddisfatto di se stesso. Stava per varcare la soglia dell’Ignoto, quello vero. Il panico, suo fedele e instancabile compagno, sotto forma di una bestia livida e ringhiante, era volato via insieme agli altri fantasmi. Tutte le mancate azioni della sua vita sarebbero state riscattate da quest’ultimo grande gesto.
E invece. . . come era andata a finire? Sua moglie, quell’arpia, gli si era lanciata addosso fermando la sua folle corsa verso la felicità.
Ora nessuno lo avrebbe potuto fermare. Erano due anni che sua moglie se n’era andata via da casa, con una sceneggiata da film di quart’ordine. Gli aveva lanciato addosso tutto quello che le capitava a tiro. Era invasata, presa da un furore cieco. Su di lui erano piovuti bicchieri, suppellettili di ogni tipo, finanche i piatti del servizio “buono”, mai usati, in vista di famigerati ospiti che nella loro maledetta casa non avevano mai messo piede. Malgrado ciò, le ferite più grandi gli erano state inferte da quelle parole terribili che la moglie aveva saputo dirgli.


Gli aveva portato via tutto: mobili, elettrodomestici, i pochi soldi sul conto, la dignità, quei dischi su cui un tempo remoto avevano ballato, uniti in un abbraccio fatale. Aveva avuto il coraggio di strappargli anche Billo, quel cagnaccio adorabile che lei detestava.
«Manco ad un cane saresti capace di badare da solo, matto come sei…nemmeno un figlio hai saputo darmi…Io ti ho dato tutto! Tutto! Non mi ci far pensare! E tu, egoista fino al midollo, hai ben pensato di farti fuori e lasciarmi qui, da sola, ad affogare tra le pillole, l’unica cosa che potresti lasciarmi in dono, miserabile che non sei altro! Beh, ti auguro di vivere a lungo ma di morire pazzo e solo, così come ti meriti!».

I ricordi gli si accavallavano nella mente sempre più confusa, offuscata dai farmaci e dall'alcol. D’improvviso un immenso bagliore seguito da un lungo e protratto boato. «Saranno le trombe del Paradiso che annunciano il mio arrivo?» si chiedeva, ormai, in trance.
Erano i fuochi d’artificio, sempre puntuali ad aprire le porte di un nuovo anno.




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Racconto scritto il 16/01/2015 - 18:31
Da All_of_me loves_all_of_you
Letta n.1174 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Non so dire a me stessa perché mi abbia così tanto rattristata lo scoprire che, a scrivere questo amarissimo racconto, sia stata una donna, non un uomo come mi aspettavo...Forse è solo perché questo aggiunge tristezza a tristezza...
Mi è stato detto tante volte che le poesie sono spesso invenzioni, fantasie non corrispondenti a situazioni personali...Ma io mai riesco a sentirle tali...Mai riesco a leggere e basta senza sentire intensamente vicine tutte le parole che leggo...Senza star male a leggere eventualmente una storia vera e nulla dire, direttamente, a chi scriva.
Vera

Vera Lezzi 16/01/2015 - 22:31

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