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Preparatevi pure per la vostra festicciola. Imbandite le vostre tavole con i cibi più invitanti e le bevande più intriganti.


Ripulite per bene da cima a fondo la vostra accogliente casa in modo che nessuna traccia di polvere o briciola o formica scappata dal suo nascondiglio possa essere vista.


Gli ospiti, parenti amici e amici degli amici, devono avere l’impressione di trovarsi di fronte al meglio di quello che quel giorno avrebbe potuto offrire. Non possono andare via dicendo che oggi era preferibile fare qualcos’altro. No. Non può esistere. Non potete giocarvi il rispetto e la reputazione per un po’ di polvere o un calzino fuori posto.


Quindi dateci dentro con le pulizie, con la cucina ed il pentolame e poi quando arrivano loro, gli ospiti, datevi da fare con i salamelecchi; con vuote parole che si aggiungono ad altre vuote parole più vuote di una casa disabitata e disinfestata. Date pure il via ai “come stai?”, senza attendere la risposta che comunque è abbastanza prevista del tipo “tutto bene” oppure” se non fosse per questo governo o per questa crisi o per le stagioni che non sono più come quelle di una volta” o per tutta una serie di altre cazzate per le quali vorreste stare meglio ma che comunque non rappresentano mai il vero motivo del vostro non stare meglio. Poi cominciate ad ingoiare chili di alimenti in misura superiore alle reali necessità; a bere spropositatamente. A parlare spropositatamente. Non accorgetevi delle banalità, della scontata inutilità delle notizie e delle presunte conoscenze artatamente sfoggiate e palesemente sconosciute.


A me, però, lasciatemi qui. Da solo, non mi invitate. Non ho un grande interesse per la vostra tavolata e per le vostre parole. Non vorrei cominciare anche io a blaterare. Lo so, non è male l’idea della convivialità e delle pacche sulle spalle e di qualche parola sprecata per ricevere un sorriso altrettanto sprecato o pseudo vero o pseudo finto. Niente di così grave. Ma credo che sia giunto il momento di starmene qui, in camera, sdraiato ad ascoltare Nick Drake. Un po’ malinconico, incasinato e depresso, ma vero e poetico. Si si , io rimango qui. A pensare a come arrampicarmi sulla vita così scivolosa e strana. Anche bella, certo. Ma che si fa fatica a vedercelo, a volte, il bello. Punterò le unghie per non scivolare o per non farmi riportare in fondo e dover ripartire un altra volta. Mentre il tempo passa e vorresti concludere qualcosa, cazzo!


Quindi scalcio, punto anche i piedi e cerco di arrivare in quell’ angolo di mondo dove so è custodita la risposta del secolo alla domanda del secolo. La risposta che darebbe un senso a tutto questo travaglio millenario. A guerre, pubbliche impiccagioni e abbondanti libagioni. Al soldo virtuale, alla tv dozzinale, e al governo maiale. A corruzione, filantropia e misoginia. A vite castrate, morti sprecate, arance buttate.


Eccolo, l’ho raggiunto, l’angolino. C’è un piccolo cofanetto. Lo afferro, lo apro. Trovo un bigliettino. Lo spiego. Lo leggo. Ma…ma…c’è solo la domanda! Dopo tutta questa fatica. Merda! Vabbè, continuerò a cercare, non mi arrendo.


Vi saluto.


———————————————————————-


Ah, quale domanda? Ok, ok, eccola:


“E’ nato prima l’uovo o la gallina?”




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Racconto scritto il 25/09/2015 - 17:01
Da gabriele marcon
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