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Il caminetto grigio

La neve candida scendeva posandosi delicatamente creando manti burrosi sui bordi delle stradine di Menville, ornando le siepi sempre verdi dei giardini vicino le stalle. Solo il tepore del silenzio notturno si udiva al fianco dei lampioni bianchi alle due di notte, se non, lo scrocchiolio intrepido dei passi sulla neve fresca di Fausto il becchino, passo passo e cautamente cercando di plasmare la sua sete quasi ossessionata della vita altrui. Lui che viveva all’ombra di qualunque cosa potesse toccarlo nella società, lui che viveva e vedeva nella vita e costantemente nella morte organizzando anche le carcasse da diseppellire, l’ossario e tutto il resto del cimitero di Melville, dove anche il suo collega avvolte ne aveva timore. Sempre onesto sveglio e persino stimato per il suo ruolo non semplice e che peraltro degnava anche il giusto motivo di ornamento di un ambito sociale che appunto riguardava tutti, nella grande citta di Menville. Non volle mai sposarsi. Sebbene anche suore svestite, dopo molto tempo di collaborazioni fra funzioni ed orazioni a cui partecipavano ritrovandosi nello stesso piano, cercavano di trovare marito. Ma Fausto mai ne volle sapere pur mantenendo ciò che era sempre stato fino ad allora superati i sessant’anni. Ma comunque anche già da piccolo la sua curiosità pervadeva ogni angolo ogni spazio del suo intelletto prostrandosi alle tantissime svariate moltitudini delle differenze che ci accomunano tra le tante persone che si conoscono. E principalmente e soprattutto quando appena vent’enne incominciò la sua mansione con il suo “vecchissimo” collega. Si accorse come la loro posizione di fronte alla vita ed alla morte mutava l’orientamento del seguire del proprio avvenire vivendo, collocandosi in un punto di panoramica dove le lacrime di un defunto si raccoglievano in un dilatarsi dei tempi che però si uguagliavano alla semplice rotta della vita, ove naturalmente oltre a tutti i rapporti sentimenti e gioie raziocinamente esisteva una vita per una sola nascita ed una sola morte. La loro visione era un pò più in alto del resto dei mortali. Fondendosi con una curiosità al di sopra della norma, Fausto da quasi trent’anni, non riusciva a non intrufolarsi dal caminetto delle case ed entrarvi, senza rubare, senza lasciare le tracce della cenere, senza essere stato mai preso. Di soppiatto ne scendeva silenziosamente tenendo la sua candela a portata di mano, ed una corda che portava agganciata al braccio sinistro. Lentamente curiosava fra il tavolino, tra i piatti con i resti, tra i bicchieri sporchi, nei cassetti della cucina. Notava quali pezze venivano usate quelle che invece rimanevano anche se intatte non utilizzate, saliva le scale, se c’erano, odorava i corridoi bui che conducevano alle stanze con le porte chiuse, le spifferava guardando socchiudendo chi vi dormisse. Finito il giro si sedeva nelle sedie del corridoio a pensare. Quando era stanco si alzava, scendeva le scale e usciva dalla porta principale. S’incamminava verso gli alloggi del cimitero dove aveva sempre vissuto, fianco al suo collega. Si distendeva. Era felicissimo del suo operato, e soprattutto della grande vastità di differenze a cui partecipava nelle sue visite inappropriate all’interno delle case. Conosceva esattamente ogni abitazione, ogni strada ogni angolo ed ogni via d’uscita articolata più o meno interessante per i suoi gusti, addirittura aveva scoperto una parete di una casa a caminetto al terzo piano, che conduceva alla sua cantina costeggiante le pareti delle navate della cattedrale di Melville. Se avesse potuto appena con un martelletto, avrebbe trovato la nuova direzione per quella visita, che nemmeno piaceva tanto, avendo una governante donna di casa troppo pulita, non lasciando spazio a nessuna riflessione del suo genere. In quel momento che era quasi Natale la neve lo divertiva, perchè ostacolava leggermente il suo cammino a tragitto per le scale antincendio fin sopra i caminetti, ogni tanto qualche incontro ravvicinato con i nidi degli uccelli sotto le tegole, riuscivano sempre a mantenere il segreto, non si spaventavano, rimanevano dal nido a guardarlo. Scese ma non sapeva che fosse la casa del sindaco, il quale giustamente aveva qualche occhio di riguardo alla sua incolumità. Così dopo il suo percorso all’interno della grande villa, ma che confondeva la sua grandezza tra i muri adiacenti agli altri palazzi, la porta principale rimaneva non apribile se non con le chiavi che chissà entro quale tasca di quali calzoni venivano tenute, dal camino ne usciva una botola antifumo che non permetteva la risalita, le cantine non avevano finestre. Ed allora dormì sotto un letto di una camera apparentemente per ospiti molto facoltosi, portandosi una bottiglia di un vino, dalla cantina, che credeva proprio dall’etichetta essere almeno un pò più densa rispetto all’annata. Attese che facessero colazione gli abitanti delle sue ambite osservazioni e di soppiatto ad una governante che riaccomodava i letti, aprì la porta e andò via tra la neve fresca di una bellissima giornata azzurra. Fra un pò sarebbe andato in pensione. Stava proggettando di comprarsi un angolo di orticello si sarebbe imbattuto nella coltivazione degli ortaggi. Ma stanco. Una notte che vagava silenziosamente fuori vidde un’abitazione ancora con tutte le luci accese, davano una festa, gli schiamazzi si udivano fin giù nella strada, qualche finestra aperta. Si trovava nella strada che lo portava a casa, continuò a percorrerla. Chi mai avrebbe avuto tutta quella mancanza per lui che nemmeno volle sposarsi. Prese quel poco che aveva dall’alloggio del cimitero, i suoi soldi, i suoi averi le sue piccole gioie, e s’incamminò nel buio di un cielo grigio d’inizio Natale, lasciando la città, e non lasciando più nessuna traccia di se e delle sue fantastiche visite.



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Racconto scritto il 25/04/2016 - 12:57
Da Luca Di Paolo
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