il tocco lieve dell'anima
di Martha Rivera Garrido
Non innamorarti di una donna che legge,
di una donna che sente troppo,
di una donna che scrive…
Non innamorarti di una donna colta, maga, delirante, pazza.
Non innamorarti di una donna che pensa,
che sa di sapere e che inoltre è capace di volare,
di una donna che ha fede in se stessa.
Non innamorarti di una donna che ride
o piange mentre fa l’amore,
che sa trasformare il suo spirito in carne e, ancor di più,
di una donna che ama la poesia (sono loro le più pericolose),
o di una donna capace di restare mezz’ora davanti a un quadro o che non sa vivere senza la musica.
Non innamorarti di una donna intensa, ludica,
lucida, ribelle, irriverente.
Che non ti capiti mai di innamorarti di una donna così.
Perché quando ti innamori di una donna del genere,
che rimanga con te oppure no, che ti ami o no,
da una donna così, non si torna indietro.
Mai.
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Eppure lei appariva così fragile.
E lui pensava di poterla trattenere proprio per questa sua vulnerabilità,
pensava...
Ma lei non aveva piedi che toccassero terra arida, non mani che sfiorassero la mediocrità ed occhi che guardassero involucri vuoti, lei riusciva a toccare l’infinitesimale e recondito tocco lieve dell’anima.
Non era facile starle accanto, ma la sua vita era cominciata da quando l’aveva incontrata, non ricordava una vita precedente, quel che prima era stato il suo vissuto non aveva lasciato traccia nel suo cuore.
Lei era tutto ed il contrario di tutto, lui si perdeva nei suoi occhi e disperatamente cercava di infonderle quella determinazione che pensava lei non avesse, affinchè restasse accanto a lui…per sempre.
Ma lei apparteneva solo a se stessa ed il suo cuore non avrebbe mai potuto sopportare una reclusione in una qualche gabbia, seppur dorata. Amava il vento tra i capelli, il sole di mezzogiorno, i fiori non recisi….amava l’aria, la bellezza, la follia, le mani vissute di gente che aveva lavorato la terra, osservarne i piedi ed immaginare la loro vita dalle suole consumate, amava i cani randagi, i gatti smagriti, i libri dimenticati, gli oggetti inutili che luccicavano, i tasti del pianoforte….suonava, intuiva sinfonie e sfiorava i tasti divinamente fino a produrne melodia.
Passava ore ed ore chiusa in un museo, a guardare oltre le tele, oltre le sagome, i colori, il visibile. Si svegliava di notte solo per osservare le stelle e cantava brani sconosciuti, inventati come fossero splendidi germogli… scriveva… nessuno sa cosa, ma la sua penna volava sulle pagine bianche che prendevano vita… e leggeva, si nutriva di libri ed opuscoli, quotidiani e riviste...ma non ne faceva un vanto e parlava solo se interrogata, sollecitata…
diversamente, osservava.
Danzava come una gitana a piedi scalzi, sensuale e irriverente e lui, stregato, tratteneva il respiro..
La chiamavano “la pazza”, ma in fondo tutti l’avevano ospitata nell’indecenza dei propri desideri indicibili.
La pazza ribelle.
E lui, il povero innamorato.
Ebbene, sono passati gli anni ed il tempo ha versato gocce d’argento sui loro capi…
Lei è ancora lei….nella bellezza della sua follia inconsapevole
E lui è innamorato come allora.
Da allora, ancora insieme,
lui le ha donato ali per volare ed una casa senza mura né serrature....e lei
è rimasta.
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nicol
Complimenti sinceri per questo tuo ultimo componimento, davvero di alto profilo.
P.s.
Mi era sfuggita.
Il mio lodevole giudizio, Laisa e la mia lieta giornata.
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complimenti sentiti
un bacio Ciao"Azzurra"