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Legenda
= Poesia
= Racconto
= Aforisma
= Scrittura Creativa


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FIRMINO - Operetta immorale in 72 atti (si dà qui l'atto n.ro zero)

Gutta cavat lapidem; quella voce fastidiosa si ripeté.
<< Non vi sed saepe cadendo… >> rispose Firmino, strofinandosi il naso sull’orlo della manica. Lui credeva di saperla lunga. E credeva di aver annusato abbastanza.
<< Allora vi cingeren il capo di alloro >> la voce mise un punto alle sue allitterazioni universali.
<< Voi spaziate dall’Alfa all’Omega; siete la catacomba del Vostro sapere. Chiedete venia per le vostre scemenze? Avrei capito di più se aveste apocopato tutto >> disse Firmino.
<<È una domanda, o cosa? Non mi pare di aver udito il sacro pastorale, alla fine di tutto. Dal faraone egizio al vescovo cristiano. Abbiatene rispetto, Firmino. Chiedere venia, noi? >> la voce sfuriò con falsa indignazione “che siam sotto le sabbie?”.
<< Siete dunque più d’uno? >> Firmino era riuscito a farsi dire più di quanto avesse chiesto.
La voce non rispose, sulle prime. Sulle seconde continuò con la sua solita astuzia: << loro son più d’uno, ti pare? >>
Alludeva ai genitori che sfuriavano in cucina?
<< Per la Peppa campagnola >> Firmino si chiuse il naso fra le dita.
<< È arrivato il momento di andarcene, non trovi, Firmino? >> La voce era diversa.
<< Sei creatura o creatrice? >> Domandò il bambino.
<< Siamo tanti, non trovi, Firmino? Qualcheduno si sarà pur preso la briga… >> La creatura stava cercando di rispondersi facendo un’altra domanda. Tutto per far casino.
<< Domanda, eccome. Perché no? >> l’interlocutore lo spronò a darsi libero spazio.
<< Mi stavi dicendo, prima di dire qualunque altra cosa, che la goccia scava la lapide… >> Firmino si arrestò avvertendo una carezza, come un refolo di vento dal Medioevo.
<< La pietra! Firmino, traduci come si deve, non esplicare al gotico, che se è così mi tocca declinarti al romanico. >>
<< Non dire scemenze! >> disse Firmino col piglio d’un bivalve che fea trivella proprio là.
<< Hai mai visto le Montagne Nebbiose di cui si parla nei poemi epici? >> Chiese la voce, inquisitiva. E corrispondeva allora a sé stessa, nell’intonazione quanto nel contenuto.
<< Tutti parlano di montagne, ma io ho visto eserciti d’acqua, ho visto eserciti d’acqua legati; ho visto eserciti d’acqua legati più che fascine… >> Firmino stava per proseguire ma l’entità lo fermò.
<< E che nome daremo a questa nuova figura retorica? Non ci risulta ne esista una simile… bravo Firmino! >>
<< Il linguaggio è la mota sede della realtà, e se volessi aggiungere, aggiungerei qualcosa del tipo “il linguaggio è la re-mota sede della realtà”. >> Disse il bambino.
<< Corpo di mille bombarde! Hai incoronato ciò che hai detto in una sola stoccata! Proprio come quel proverbio sulle aquile cinesi! Le aquile e la freccia! >> La voce era al limite dell’esaltazione << allora, forse, ti diremo il nostro nome, semmai ve ne fosse uno. >>
<< Aristotele andrebbe fiero di me. Non credete? >> Firmino stava seduto a gambe incrociate e nessuno si chiedeva il perché. Firmino invece se lo chiese, si chiedeva cose ovvie e su sé stesso.
<< Ah, ah, non si inganna il lettore. Noi siamo nessuno, proprio quel “nessuno” che pensavi fosse nessuno >> dissero le voci.
<< Qualcheduno che conosco, ordunque? >> Domandò Firmino.
<< Che conosci bene, fidati, pargolo >> dissero le voci con un filo di irritazione.
<< So più cose di voi, Eccellenze >> Firmino scorse rapidamente le file di immagini appese al muro. Si stavano muovendo tutte.
<< Allora saprai dirci di cosa siam fatti? Aria, fili d’erba? >> Le entità parvero puntare un dito al cielo.
Firmino capì che stavano osando invocare di nuovo tutto, dall’alfa all’omega.


Alfa ------ Omega



Una sottile linea congiungeva allora la Terra al Cielo, ma non tornava indietro, nient’affatto.
<< Non coglionarci, Firmino, ché qui è tutto un parlottare >> dissero le voci, condensate in una sola. Si sentiva che erano più voci perché dicevano cose che non c’entravano nulla l’una con l’altra. Firmino cercò di seguire il filo del discorso per capire con quanti stesse parlando. A suo dire erano cinque, ma c’era un rumore di fondo che disturbava tutto, perfino il televisore acceso lì a fianco.
<< Chiameremo tutti, chiameremo anche il Pap-e; Pape Satàn, pape Satàn, Aleppe! >> Disse una delle voci. Vi fu un attimo di silenzio.
Firmino prese a consultare la Divina Commedia di Dante. Le sue dita scorsero a caso, ad un certo punto mollò la presa e le pagine iniziarono a sfogliarsi da sole. Capitarono (le pagine) sul Canto VII, verso I, quando Pluto apre la bocca; Cantica I della Divina Commedia, Canto VII; versi dall’I al VI, erano press’a poco le coordinate spazio temporali, Anno Domini 1325, per giunta. A voler essere precisi, - pedanti quasi – IV Cerchio, ove venivano puniti gli avari ed i prodighi.
<< In libagione al culto della medietas che si trova anche nel Colonna, Francesco Colonna, lorsignori, ne avete mai sentito parlare? >> Domandò Firmino.
<< Lo abbiamo visto passare di qui poco fa >> fu la risposta di uno di loro.
Risate.
Si udì uno schiocco sonoro.
<< Serpentasso! Sei il più vecchio fra noi! Non darti al giuoco! >> Dissero le voci, questa volta divise.
Serpentasso parve aver preso la provocazione con demonologia, più che filosofia.
<< Ma io fui colui che tentò. Lo sapete, Sangue disfatto! >> Disse.
<< Che tentò cosa? >> domandarono gli altri, villani.
<< Che tentò cosa? >> Domandò pure Firmino, villano anche lui.
<< Non ho aggiunto complemento alcuno, vi pare? >> Serpentasso prese a ringhiare sotto baffi invisibili.
<< Lo abbiamo capito, lo abbiamo capito, sei il più vecchio, come avremmo potuto esserci anche noi? >> Dissero gli altri.
<< Era al principio della Creazione? >> Domandò Firmino.
<< Mio caro… >> attaccò Serpentasso << hanno usato la mia zampa anche dove non ce l’ho mai messa. Hai presente Jeanne des Anges? Fatti un giro alla Biblioteca Nazionale di Parigi. Mi hanno turlupinato, ecco cosa. >>
<< In che senso? >> Chiese Firmino.
<< Nel senso che gli hanno rifilato la sbobba! >> Ciarlò uno degli altri.
<< Proprio così >> intervenne un altro << han fatto man bassa, in tutti i sensi! >>
<<Che volete dire? >> Chiese ancora Firmino.
<< Eh già, di notte leoni, la mattina cojoni! >> disse Serpentasso, riferendosi alla loro tracotanza boriosa.
Firmino era stato ancora astuto, era riuscito a farsi dire un nome; i suoi studi sulla magia, in particolare l’antica egizia, gli suggerivano che a sapere un nome c’era da averci potere sopra.
<< Jeanne des Anges, quella battona! >> disse un altro di loro.
<< Jeanne des Anges, quella culona! >> proseguì un altro.
<< Jeanne des Anges, quella cogliona, spadosa… >> disse Serpentasso.
<< … Rancida >> disse un altro.
<< … Fetosa! >> concluse Firmino << ho capito, ho capito! Voi citate François Rabelais, nel Pantagruel e Gargantua, ho capito, per la Peppa campagnola! >>
Il bimbo prese una copia dell’opera dalla biblioteca di casa. Era strano, le Eccellenze citavano rigorosamente cose che lui conosceva. Giuocavano con lui? Bè, questo era evidente. Volle testare se gli leggevano anche nel pensiero o era solo una sua impressione. E forse giuocavano a fare gli gnorri e basta.
<< Testa, testa! >> Disse uno di loro.
Si udì un altro schiocco, questa volta fortissimo.
<< Croce, croce! >> Disse imbarazzata quella che fingeva di essere la stessa voce.
<< Vi ho sentiti! >> Esclamò Firmino.
<< Per forza, capo, abbiam parlato... >> ghignò Serpentasso.
<< Vi ho sentiti! Siete tutti diversi… >> Firmino non stava più nella pelle.
<< Ohibò, qui abbiam un candidato… eh sì, un candidato >> si udì uno fregar di mani. Quali mani? Dove?
<< Candidato a cosa? >> Domandò Firmino.
<< Alla fiera nella Casa del Dio dalla Pelle Scorticata… Xipe-Totec! >> Esclamò con giubilo Serpentasso.
Gli leggevano indubbiamente nel pensiero; stava cogitando proprio su di lui. Xipe-Totec. Il dio azteco dell’agricoltura. Un chicco di mais nel calderone mitologico del Centroamerica.
<< Dicci, Firmino, ti piacerebbe lasciarci la pelle? A noi… >> Chiese uno di loro.
<< A voi? >> Chiese lui con un brivido.
<< A noi… >> ripeté la stessa voce.
Firmino capì che erano sinceri solo quando si lasciavano andare, distratti.
E c’era una cosa che lo aveva colpito; dietro la loro ilare convivialità si nascondeva la sofferenza.
<< Sant’avvocata dei porci, daccene almeno altri due orci! >> Disse Serpentasso.
<< Osi menare per il naso quella che sul naso il calcagno te l’ha messo? >> Fecero eco tutti assieme.
<< Nessuno mi ha autorizzato ad essere blasfemo; per questo lo sono. Puzzo di blasfemia. >>
<< Suvvia Firmino, dicci che ne pensi. Si può menare per il naso una che il naso te lo ha smerdato col calcagno? >>
<< E chi altri? >> Fu la risposta dell’infante << chi altri perculare se non la… >>
Silenzio.
<< Madre di Dio? >> Domandò Firmino.
<< La Madre di Dio >> dissero gli altri tirando un sospiro di sollievo.
Era sempre più chiaro che si trattava di demoni fuggiti da qualche girone infernale.
Si udì una sirena, improvvisa, fastidiosissima.
<< Che fortuna, Firmino, che fortuna! >> disse Serpentasso << con un fiato soltanto hai suonato due trombe! >>
E risero, tutti.
<< Ma non potevi esser un filino più classico? >> Lo schernì uno degli altri << ha preso due piccioni con una fava, no? >>
<< La fava ce l’ha piccola piccola >> prese Serpentasso << quel grullo… al massimo ci beccavano due passeri. Ah ah ah. >>
La tromba si acquietò, poi riprese…
<< Sarà l’arcangelo >> disse uno di loro.
<< L’arcangelo chi? Son sette, imbecille >> disse Serpentasso, oh, lui le conosceva le Scritture, che non osava chiamar “Sacre” per timore si aprisse una voragine.
<< Oh, siamo permalosi oggi, nevvero? >> disse un altro di loro.
<< Quando potrò sapere i vostri nomi? >> Domandò Firmino, più pratico.
<< Che dice questo? >> Si difesero quei gaglioffi dandosi pacche alla schiena.
Firmino rise anche per loro. E di gusto. Capì che se si udivano quei rumori, allora… << aria! Siete fatti d’aria. >>
<< Che, ci coglioni? >> Disse Serpentasso.
<< Come faceva San Volfango? >> Rimbeccò Serpentasso << tieni, leggi, imbecille. >>
Firmino non reagì, ma la libreria dietro di lui si scosse e gli cadde sulla capoccia un volume dal titolo contorto e famigliare: Pseudomonarchia Daemonum di Johannes Wier.
<< Leggi, stolto, fa’ com’ebbe a dire Mefistofele… >> disse uno di loro, ritirandosi nell’oscurità.
<< Mefistofele del Faust? >> Domandò Firmino.
<< E chi altri? Diavolo di un matematico! L’hai letto l’Alighieri o ci meni per il naso? >>
<< Ah ah, siete fatti d’aria compressa, lo sapevo…! >> Rispose Firmino.
<< Se così fosse verremo fuori dal compressore, non trovi? >> Uno di loro inscenò una voce arrocchita dal catrame della sigaretta che reggeva in mano.
<< Buongiorno a tutti, belli e brutti… >> canticchiò Serpentasso.
<< …E anche cornutti, con due “t” >> disse quello con la sigaretta. Gettò il mozzicone a terra e lo schiacciò con una zampa pelosa.
<< Ora che lo sai, che siam fatti d’aria intendo… >> Serpentasso stava per spararla grossa <<… dovresti anche sapere che si deve credere solo a chi si ama, no? >>
<< Sì, infatti io non credo a voi tutti >> disse Firmino con somma arguzia.
Serpentasso boccheggiò socchiudendo gli occhi << gran bella stronzata, vero? Te l’hanno insegnata a catechismo, le suore con l’alito di fogna e le calze color cacca di topo. >>
Firmino impugnò un accendino e diede in una scoreggia di zolfo.
<< Santa Maria Novella!… >> disse uno di loro.
<< Ora pro nobis >> ringhiarono gli altri all’unisono.
<< Schiacciacrucca, confessati da me, che due capocciate mie valgono quanto mezza carezza dell’Altissimo >> disse Serpentasso.
<< Scusate, non si dicono parolacce, lo so, ma non mi va di tornare in quel postaccio. Sapete che ho visto in quella fiamma? >> si scusò Schiacciacrucca.
<< Schiacciacrucca… >> chiosò Serpentasso << deliziaci, cosa hai visto? >>
<< Che Dite…! >> Disse Schiacciacrucca.
<< Dite cosa? Noi? >> Rimbeccò Serpentasso. Aveva l’aria di uno che stesse contando baggianate con le dita. E di dita ne aveva un bel po’.
<< Ah, la città di Dite, al sommo della cui Porta stava scritto quel che scrisse l’Altissimo quando ci cacciò da dove stava lui! >> Disse Serpentasso che cercava rogne.
<< Perché, lui dove stava? >> Chiese un altro della schiera.
Si udì uno schiocco, fortissimo.
Urla e poi risate.
<< Se lo chiamano Altissimo, be’ sarà stato in alto… che dici? >>
Risate e poi urla.
Serpentasso intervenne << ehi, ehi, non allarghiamoci troppo, qui c’è uno che comanda ancora, e quello sono io. Fino alla prova contraria di una ipotesi che non si può falsificare. Che dici, genio? >>
<< Io sono Firmino, e credo che di matematica ci capiate più del Padre… >> rispose lui.
Si levò la prima ovazione.
<<… E del Figlio… >> proseguì Firmino.
Si levò la seconda ovazione.
<< … E… dello Spirito Santo >> concluse uno di loro.
Serpentasso fu lì per aggredirlo ma Firmino riuscì a dissuaderlo.
<< Potrete stare qui con me, accordato, come si accorda la matricola al Matricolino. >>
<< È proprio vero, Firmino, i migliori sono nati in estate >> disse Schiacciacrucca.
Uno di loro cercò di parlargli sopra.
<< Nati suppergiù a luglio, fottuti in dicembre, o ho fatto mal di conto? >> Schiacciacrucca spernacchiava sonoramente.
Serpentasso, che era il capo - era evidente -, gli infranse un pungo sulla testa, ammesso che ve ne fosse una da qualche parte.
<< Ohi, ohi, m’è venuto un dolore… indovina un po’, Firmino, indovina dove… >> Schiacciacrucca era la manifestazione di quanto fosse labile la gerarchia dei demoni.
<< Alla testa, presumo >> rispose il bambino.
<< All’ombelico, all’ombelico, perché sai che io ragiono di pancia! >> Disse Schiacciacrucca.
<< Già, lui ha la testa infilata nel culo, e scusa se è poco. Perdonami il francesismo, mio caro >> Serpentasso
<< Il francesismo di culo? >> Domandò Firmino.
<< No, perculo >> precisò Serpentasso.
<< Derculo! Ma vattela a pia’ ‘n-der culo! >> fu la fine osservazione di Schiacciacrucca << che a far derculazioni siam tutti bravi, col culo degli altri. Toh, questa ti piace? >>
Serpentasso accese la sberlottiera. Ma non diede addosso al sottoposto.
<< E gli altri? Son tutti tuoi subalterni? >> Chiese Firmino.
Così ora il bocia aveva chiaro che eran più d’uno, lì dentro.
Serpentasso sapeva che quella domanda era rivolta a lui.
<< Non ho nulla da opinare >> rispose sconsolato. La sua genìa non gli andava a genio per niente.
<< Solo da orinare, a quanto pare… >> sghignazzò Schiacciacrucca.
<< Il pargolo dice che possiamo restare, qui dentro >> disse Serpentasso serioso.
<< Oh, ma che onore! >> Schiacciacrucca pareva incontenibile.
A Firmino vennero i borborigmi.
<< Neanche l’Altissimo ce l’avrebbe concesso, che onore! Giusto! >> Sproloquiò Schiacciacrucca.
<< Cosa volete da me? >> Firmino conosceva i loro nomi, di almeno due di loro, e si sarebbe fatti dire tutti gli altri.
<< Che cosa volete da me? >> ripeté con un velo di sconsolazione.
<< Firmino, vedi, prima ci hai concesso di restare; ora, ti dirò, la notte di Valpurga si avvicina. Saresti in grado di sigillare la nostra amicizia su di una pergamena? Strada facendo ti dirò i nomi di tutti noi >> disse Serpentasso lezioso.
<< Strada facendo? >> Domandò il bambino.
<< Sigillare su di una pergamena? >> Domandò Schiacciacrucca con gli occhi sbarrati.
<< Avanti, canta Schiacciacrucca, canta la tua solita merda in versi >> disse Serpentasso.
<< Al massimo i miei versi di merda, all’inverso, no?>> disse Schiacciacrucca.
Serpentasso canticchiò un pochino.
<< Cristo sentenziava in bolla, in calce, con sigillo in ceralacca che se Caligola avea per senatore un cavallo, tu avesti per madre una vacca! >> Schiacciacrucca era vestito in frac col fifì e raccoglieva plausi e rose.
<< Mai sentiti versi tanto sublimi! >> Disse Firmino.
<< Neppure io >> questa volta Serpentasso dovette spegnere la sberlottiera e farsi da parte.
Schiacciacrucca era il numero uno, aveva sfondato su tutta la linea.
<< Che vuol dire che dovrò sigillare tutto strada facendo? >> Chiese Firmino.
Serpentasso tirò una pedata sull’elegantissimo posteriore di Schiacciacrucca.
<< Accidenti! Come mai? >> il demone si interrogò sul senso di quel gesto.
<< Pedata preventiva >> chiosò Serpentasso.
<< Come la guerra in Medio Oriente? >> Domandò Firmino.
<< Come la guerra in Medio Oriente >> confermarono loro all’unisono.
Pareva che le voci degli altri demoni fossero cessate.
Ma dai.
<< Proprio dove ti recherai tu, Firmino, col nostro Schiacciacrucca, a scoprire la culla della civiltà >>



<< Oh, non credi forse che tutta la letteratura si sia ridotta ad un’unica, grande lamentazione? >> disse Schiacciacrucca, << se vuoi vivere; come vuoi, non mi toccare. >>
<< E perché mai dovrei? >> Lo rimbeccò Firmino.
<< E perché mai non dovresti? >> Rimbeccò il demonio.
<<Perché se’ brutto, e puzzi come una fetecchia, ecco perché >> disse il coraggioso.
<< Ogni scarrafone è bell’a mamma soja >> si difese Schiacciacrucca.
<< Vurja vedere la mamma toja… >> disse Firmino.
<< Non sproloquiare, ragazzo, ch’io ho il dono delle lingue >> sentenziò Schiacciacrucca.
<< Dunque tu credi che per di qui passi tutto? >> Firmino mostrò le terga al demonio.
Lui rise di gusto e il coccodrillo che aveva sotto si passò pure la lingua fra i denti.




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Racconto scritto il 04/02/2025 - 21:44
Da Alfredo Cremonese
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