È mercoledì mattina e in banca c’è la solita fila lenta, impastata di sbuffi, sguardi nei cellulari e il ronzio basso del condizionatore. Sono in attesa da un quarto d’ora quando, alle mie spalle, sento una voce cortese ma decisa.
«Scusate, abbiamo un appuntamento per il divorzio... dobbiamo solo pagare 15 euro.»
Tutti si voltano, un po’ per curiosità, un po’ perché "divorzio" è una parola che tira l’attenzione. Un funzionario, dietro al vetro, fa un cenno: «Venite pure avanti.»
Li osservo mentre camminano verso lo sportello. C'è una compostezza quasi cerimoniale nel loro incedere. Nessuna fretta, nessun imbarazzo. Solo una strana calma, come se sapessero esattamente dove mettere i piedi, come se questa separazione fosse stata pianificata a lungo — una tappa finale più che una rottura.
Di spalle, mi colpiscono subito le scarpe: nere, pulite, senza fronzoli. La donna ha una zeppa piccola, quasi invisibile, e l’uomo indossa delle stringate lisce, simili a quelle che si mettono ai funerali o ai colloqui. Jeans scuri per entrambi, dello stesso identico blu. Il tipo che si sceglie per sembrare in ordine ma comodi. E poi quei soprabiti cerati, neri, resistenti, perfetti per una giornata grigia come questa.
Hanno lo stesso modo di stare in piedi, lo stesso modo di inclinare leggermente la testa quando parlano con l’impiegato. Mi viene da chiedermi se si siano guardati stamattina prima di uscire di casa. Se abbiano detto qualcosa tipo: "Vesti semplice", oppure se, dopo tutti questi anni, si siano semplicemente sincronizzati, come due orologi messi vicini troppo a lungo.
Chissà cosa pensavano mentre si vestivano.
Se hanno fatto colazione insieme, se c’era silenzio o musica in sottofondo.
Se lui ha ancora le sue tazze a casa di lei.
Se lei ha lasciato di proposito la chiave sul mobile dell’ingresso.
Eccoli lì, davanti allo sportello, che pagano 15 euro. Quindici euro per chiudere qualcosa che, magari, era iniziato con un "ti amo" sussurrato su un autobus o con un biglietto lasciato sotto il tergicristallo.
Escono dalla banca senza una parola, la porta automatica si chiude alle loro spalle.
E io resto lì, ancora in fila, con la sensazione che quel silenzio — il loro — dica più di qualsiasi firma su un modulo.
Si erano piaciuti diversi, si separano uguali.
«Scusate, abbiamo un appuntamento per il divorzio... dobbiamo solo pagare 15 euro.»
Tutti si voltano, un po’ per curiosità, un po’ perché "divorzio" è una parola che tira l’attenzione. Un funzionario, dietro al vetro, fa un cenno: «Venite pure avanti.»
Li osservo mentre camminano verso lo sportello. C'è una compostezza quasi cerimoniale nel loro incedere. Nessuna fretta, nessun imbarazzo. Solo una strana calma, come se sapessero esattamente dove mettere i piedi, come se questa separazione fosse stata pianificata a lungo — una tappa finale più che una rottura.
Di spalle, mi colpiscono subito le scarpe: nere, pulite, senza fronzoli. La donna ha una zeppa piccola, quasi invisibile, e l’uomo indossa delle stringate lisce, simili a quelle che si mettono ai funerali o ai colloqui. Jeans scuri per entrambi, dello stesso identico blu. Il tipo che si sceglie per sembrare in ordine ma comodi. E poi quei soprabiti cerati, neri, resistenti, perfetti per una giornata grigia come questa.
Hanno lo stesso modo di stare in piedi, lo stesso modo di inclinare leggermente la testa quando parlano con l’impiegato. Mi viene da chiedermi se si siano guardati stamattina prima di uscire di casa. Se abbiano detto qualcosa tipo: "Vesti semplice", oppure se, dopo tutti questi anni, si siano semplicemente sincronizzati, come due orologi messi vicini troppo a lungo.
Chissà cosa pensavano mentre si vestivano.
Se hanno fatto colazione insieme, se c’era silenzio o musica in sottofondo.
Se lui ha ancora le sue tazze a casa di lei.
Se lei ha lasciato di proposito la chiave sul mobile dell’ingresso.
Eccoli lì, davanti allo sportello, che pagano 15 euro. Quindici euro per chiudere qualcosa che, magari, era iniziato con un "ti amo" sussurrato su un autobus o con un biglietto lasciato sotto il tergicristallo.
Escono dalla banca senza una parola, la porta automatica si chiude alle loro spalle.
E io resto lì, ancora in fila, con la sensazione che quel silenzio — il loro — dica più di qualsiasi firma su un modulo.
Si erano piaciuti diversi, si separano uguali.

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