da riva mirava la burrasca
e quella zattera che al tiepido
fluire
ferma stava.
Un sussurro di pietà
al tremito feroce dei suoi arti.
Il suolo corrotto e inconsistente
diventava
onda molle che invadeva
e tradiva quell’uomo universale,
che al tiepido fluire
fermo stava.
In un rapido sbadiglio
la riva e la tempesta erano sole,
sotto il peso di
un rivolo di luce e di parole
vuote a galla.
Dell’uomo universale
nessuno seppe nulla.
Solo la burrasca,
ch’ oggi tace.
Di seguito lascio una breve esegesi, per gettare un po’ di luce sull’idea alla base di questa lirica, nata spontaneamente, sebbene io sia il primo a credere che la poesia, in generale, sia capace di esprimersi da sola e che la parola poetica ci “gratti” dentro, come dice la Mazzantini, se priva di filtri esegetici.
L’uomo universale vuole essere la più semplice delle creature; non è una metafora, è la cruda condizione umana. É un uomo che vive, un essere vivente che accomuna un po’ tutti, magari la verità stessa di chi siamo. Un uomo che, nella metafora della tempesta, si trova in balia di eventi più grandi di lui, eventi che non lo lasciano indifferente, che non si possono fronteggiare, o forse che necessitano di maggiore comprensione: la sconfitta, il dolore, la morte. E poi c’è quella zattera, immobile in una tempesta incessante: quella zattera, proprio lei, la nostra boa più vicina e sicura, unico retaggio di apparente salvezza, spetta a voi interpretarla.
E poi il finale, quasi a mo’ di romanzo aperto, è l’hapax di conseguenze troppo difficili da comprendere, o forse troppo semplice per un animo frastagliato e scisso come quello dell’uomo universale.
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Spesso sentiamo la terra farsi “molle” sotto ai piedi a causa delle mille avversità della vita e dobbiamo scegliere se lasciarci sopraffare o tener duro agrappandoci a un qualcosa che può salvarci...
Complimenti sinceri, Alessandro!
Come diceva il grande Ungaretti, la parola è impotente, non tirerà mai fuori il segreto nascosto che è in noi,potra solo avvicinarsi molto.
Grazie!