Talvolta l’insonnia, ahimè! forgia discordia.
La mente tende al vago
congedo in cui cado
e cieco
più nulla chiedo al cielo.
Albergo seppur ancora acerbo
fra aiuole e rovine della Ragione;
un agnello sconvolto dal merlo
conforto sofferto in Controllo.
Perso come una cara creatura
che respira l’aria canora d’estate,
che nel bestiame non si vuol gettare,
che sa mentire e sentire: un Attore, un Dottore.
L’innocente, indenne, attende una casa.
Osa fare a gara col male
e tace per ore sognando fiabe.
L’anima, lesa, ti riporta a casa?
Mio sire ma qual è il suo fine?
Decine di ferite da esibire
agiato nell’abuso del lieto mito…
Ricerca realmente l’amante Aiuto?
Rumore fu. Da numerose domande
argante capii: «Farai la tua parte.
Dolente capirai d’esser il solo paziente
parlante ad insorgere nel disordine».
E dunque, in pasque di sangue e angustie
ritaglio uno spiraglio figlio del mio risveglio;
viaggio in cui alleggio e sbaglio, ostaggio di uno scoglio
o di un imbroglio, morendo nel freddo del mio fondo.
Un giorno, ferito, l’anima, timida, ha recitato:
«Ora la consapevolezza morde impavida».
Ad oggi fuggo nell’affanno d’autunno
e non giungo, per l’appunto, se non in un inganno.
Intanto la mandria invecchia, sta andando.
Ecco a te: un dono dal covo in cui ora sono
solo, negli angoli dei miei incubi bui,
lodo, l’eterna terra tradita, caduta, nella lotta infinita.
Conosco il cosmo e l’abisso che indosso?
Ti confesso: la mia essenza avanza e canta sola Speranza.
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