Nemmeno riuscivo a comprendere i miei pensieri per quanto veloci scorrevano, per non parlare delle pupille.. cosi fottutamente dilatate da creare un fatiscente buco nero pronto a inghiottire la luce retinale, quasi ad oscurare il paesaggio, a renderlo piatto e uniforme. Il rischio era enorme certo, ma cos’ho da perdere. Posso regalarmi emozioni mai provate prima, posso assaporare a fondo ciò che realmente è “paura”, posso dare un nuovo inizio come una nuova fine, il dubbio è fantastico. Il toccare la serenità era ciò a cui aspiravo, veder crescere quelle piante appassite e spente.. abbandonate a se stesse, come dei randagi, orfane di una vita non scelta da loro, di una vita già scritta, di una vita comune, di una vita banale. Il non sentire artificialmente le cose. A non essere guidato. A non andare in debito per vizi creati esternamente da altri fattori e non da te stesso. Imparare a respirare.. ca***! Era proprio quello a cui aspiravo, la soluzione era a due passi dal via, era proprio quell’insetto macabro che schifavi a prescindere, senza una valida ragione, fermo all’apparenza. Le lacrime che scendevano erano di gioia, l’esaltazione mentale aveva fermato i pensieri, li aveva resi decisamente più nitidi. Le pupille da dilatate che erano scomparvero, ma anche ciò era apparenza. Inconsciamente avevo smesso di respirare, ciò che realmente s’impregnava era la piattezza emotiva, o meglio, ciò che un fottuto analista è noto chiamar “depressione”. Più tempo passava più le retine perdevano lucentezza, e tutto ciò senza il minimo controllo, tutto ciò senza la minima coscienza, tutto ciò senza la minima speranza. L’effetto era terminato.
Opera scritta il 13/11/2016 - 18:49
Da Alessandro .
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