La bava della lumaca
E' una di quelle cose, non l'unica, che per anni ho tenuto nella mia sfera personale, alcune le ho conservate in tale zona perchè di esse sono gelosa, appartengono solo a me, altre, come questa, perchè me ne vergogno, me ne sono vergognata subito, appena iniziata ,questa storia, mi ha suscitato questo sentimento.
A sedici anni, nella cittadina della mia Toscana, dove abitavo, mi muovevo a piedi o con il motorino, il Beta rosso che era stato di mia sorella, e che partiva malissimo, porto il tatuaggio del suo tubo di scappamento sulla mia gamba, frequentavo la scuola, uscivo con le amiche qualche “cotta a solaio”, così si intendeva quando tu ti prendevi una cotta ma lui nemmeno lo sapeva (non era poi così male perchè ti permetteva di fantasticare sull'amore e sui protagonisti a briglia libera).
Abitavo in un palazzo delle case popolari appena fuori dalla porta ( rimasta dalle mura ) della cittadina e, da qualunque strada io passassi, dovevo sempre percorrere tratti senza illuminazione (l'incubo di mia madre), e pur rientrando presto, in inverno era impossibile evitare il buio.
Una sera, camminando sul ponte sul fiume che divide in due la cittadina, con la testa tra le nuvole, mia caratteristica, mi trovai di fronte un uomo che si denudò nella parte che lui probabilmente riteneva fosse interessante per me e che al contrario fu per me veramente un trauma, attraversai il ponte, senza guardare alla strada, e corsi, corsi fino a casa.
Non avevo fratelli bensì due sorelle, il sesso maschile lo conoscevo attraverso i disegni che i compagni di scuola ci facevano sui banchi, anzi sulle sedie, lo intuivo dalle barzellette e nei casi più spinti da alcuni fumetti pornografici che sempre i maschi portavano a scuola... ma era tutto diverso,
non c'era sensibilità e delicatezza nei loro modi ma non c'era cattiveria o intenzione di ferire... lì sul ponte invece sì. Il brutto che la storia continuò per mesi, succedeva ovunque lui sapeva fossi sola, ed io ero terrorizzata, mi faceva schifo perchè nel proseguo oltre a mostrarsi si toccava, condizionava le mie uscite, che comunque facevo, ma il rientro era un incubo. Eppure ho sempre taciuto, vergognandomi, mi aspettava seduto sul suo vespino, sbucava dagli angoli ed io... continuavo a tacere. Iniziò a telefonarmi a casa dicendo cose sconce, molte nemmeno le capivo, ma il tono era sufficiente a schifarmi e spaventarmi...
Una sera in inverno rientravo da un giro con le amiche, ero arrivata al mio condominio, il portone era sempre spalancato, entrando suonavo il campanello, era quello più in alto, varcavo la soglia e dietro all'anta di destra c'era il pulsante della luce scale, avevo sempre un po' di paura i n quel brevissimo lasso di tempo, spesso la luce si accendeva un attimo prima perchè la mamma lo faceva dal piano del nostro appartamento. Ero felice quella sera, mi piaceva uscire ma, tranne alcuni casi, ero sempre contenta di rientrare a casa dalla mia famiglia, suonai, entrai, e mi voltai per accender la luce dietro il portone, non capii che cosa succedesse ma sentii la testa sbattere forte nel muro così come le scapole, mani cercavano di entrare ovunque e una sensazione di schifo, di schifo totale, tante parole dette che lasciavano una bava come le lumache nella mia testa...
Pochi secondi, dall'alto la mamma accese la luce, “Grazia ma che fai ?” “Niente mamma arrivo...”, l'essere schifoso scappò, io salii a casa, mi lavai senza destare sospetti, cenai e andai a letto...
Cominciai a chiedere di lui nella zona dove abitava, seppi che lo faceva ad altre ragazze, che qualcuno lo aveva anche “menato”, per un periodo uscii solo nelle ore di luce, poi conobbi un ragazzo e raramente da quel momento rientravo a casa da sola. Non ebbi più incontri del genere con lui, qualcuno in seguito gli fece pagare il conto, anche il mio e lo ringrazio.
Ecco l'ho detto, vorrei non aver avuto vergogna, averlo raccontato ai miei, ma non l'ho fatto e non ne conosco e comprendo il motivo...
Non l'ho perdonato
Non mi fa pena
Non ho paura
Quando lo vedo, perchè raramente ma succede, lo prenderei a pedate.
Quello sì!
A sedici anni, nella cittadina della mia Toscana, dove abitavo, mi muovevo a piedi o con il motorino, il Beta rosso che era stato di mia sorella, e che partiva malissimo, porto il tatuaggio del suo tubo di scappamento sulla mia gamba, frequentavo la scuola, uscivo con le amiche qualche “cotta a solaio”, così si intendeva quando tu ti prendevi una cotta ma lui nemmeno lo sapeva (non era poi così male perchè ti permetteva di fantasticare sull'amore e sui protagonisti a briglia libera).
Abitavo in un palazzo delle case popolari appena fuori dalla porta ( rimasta dalle mura ) della cittadina e, da qualunque strada io passassi, dovevo sempre percorrere tratti senza illuminazione (l'incubo di mia madre), e pur rientrando presto, in inverno era impossibile evitare il buio.
Una sera, camminando sul ponte sul fiume che divide in due la cittadina, con la testa tra le nuvole, mia caratteristica, mi trovai di fronte un uomo che si denudò nella parte che lui probabilmente riteneva fosse interessante per me e che al contrario fu per me veramente un trauma, attraversai il ponte, senza guardare alla strada, e corsi, corsi fino a casa.
Non avevo fratelli bensì due sorelle, il sesso maschile lo conoscevo attraverso i disegni che i compagni di scuola ci facevano sui banchi, anzi sulle sedie, lo intuivo dalle barzellette e nei casi più spinti da alcuni fumetti pornografici che sempre i maschi portavano a scuola... ma era tutto diverso,
non c'era sensibilità e delicatezza nei loro modi ma non c'era cattiveria o intenzione di ferire... lì sul ponte invece sì. Il brutto che la storia continuò per mesi, succedeva ovunque lui sapeva fossi sola, ed io ero terrorizzata, mi faceva schifo perchè nel proseguo oltre a mostrarsi si toccava, condizionava le mie uscite, che comunque facevo, ma il rientro era un incubo. Eppure ho sempre taciuto, vergognandomi, mi aspettava seduto sul suo vespino, sbucava dagli angoli ed io... continuavo a tacere. Iniziò a telefonarmi a casa dicendo cose sconce, molte nemmeno le capivo, ma il tono era sufficiente a schifarmi e spaventarmi...
Una sera in inverno rientravo da un giro con le amiche, ero arrivata al mio condominio, il portone era sempre spalancato, entrando suonavo il campanello, era quello più in alto, varcavo la soglia e dietro all'anta di destra c'era il pulsante della luce scale, avevo sempre un po' di paura i n quel brevissimo lasso di tempo, spesso la luce si accendeva un attimo prima perchè la mamma lo faceva dal piano del nostro appartamento. Ero felice quella sera, mi piaceva uscire ma, tranne alcuni casi, ero sempre contenta di rientrare a casa dalla mia famiglia, suonai, entrai, e mi voltai per accender la luce dietro il portone, non capii che cosa succedesse ma sentii la testa sbattere forte nel muro così come le scapole, mani cercavano di entrare ovunque e una sensazione di schifo, di schifo totale, tante parole dette che lasciavano una bava come le lumache nella mia testa...
Pochi secondi, dall'alto la mamma accese la luce, “Grazia ma che fai ?” “Niente mamma arrivo...”, l'essere schifoso scappò, io salii a casa, mi lavai senza destare sospetti, cenai e andai a letto...
Cominciai a chiedere di lui nella zona dove abitava, seppi che lo faceva ad altre ragazze, che qualcuno lo aveva anche “menato”, per un periodo uscii solo nelle ore di luce, poi conobbi un ragazzo e raramente da quel momento rientravo a casa da sola. Non ebbi più incontri del genere con lui, qualcuno in seguito gli fece pagare il conto, anche il mio e lo ringrazio.
Ecco l'ho detto, vorrei non aver avuto vergogna, averlo raccontato ai miei, ma non l'ho fatto e non ne conosco e comprendo il motivo...
Non l'ho perdonato
Non mi fa pena
Non ho paura
Quando lo vedo, perchè raramente ma succede, lo prenderei a pedate.
Quello sì!
Opera scritta il 18/09/2017 - 23:15
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Voto: | su 5 votanti |
Commenti
Bravissima Grazia, come sempre ed anche di più.
5stelle Aurelia
5stelle Aurelia
Aurelia Strada 25/09/2017 - 19:29
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e faresti bene. ottimo racconto brava Grazia
enio2 orsuni 20/09/2017 - 12:59
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Grazie Giulia e sì, sono altri i segreti che possiamo tenere, questi fatti devono esser raccontati,vergognarsi è senza senso e pericoloso; grazie Ad Antonio, Teresa e Giulio... cari saluti a tutti!
Grazia Giuliani 19/09/2017 - 22:15
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Un racconto molto bello e personale. Deve esserti costato fatica raccontarlo. Personaggi del genere purtroppo ce ne sono anche troppi e non vorremmo che a incontrarli fossero le nostre sorelle o le nostre madri. Complimenti per il racconto. Giulio Soro
Giulio Soro 19/09/2017 - 17:47
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Racconto autobiografico che propone un tema sin troppo attuale, ma antico come il mondo. Poteva finire male....fortunatamente è rimasto solo il ribrezzo per quell'uomo e la voglia di prenderlo a pedate.
Teresa Peluso 19/09/2017 - 14:45
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Molto bello questo raconto purtroppo sempre di attualità.
antonio girardi 19/09/2017 - 13:28
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Un racconto bello, da cui imparare che non bisogna tacere, ma purtroppo a sedici anni non è facile. Tacendo si fa il loro gioco, perché chi fa questo è gente ignobile che punta proprio sul fatto che le vittime non parleranno. Per fortuna per la protagonista del racconto si è risolto solo con tanto spavento ma poteva accadere anche qualcosa di più grave. Il racconto sembra autobiografico e sembra che causi ancora lo stesso senso di ribrezzo ed è quando emerge dalla narrazione tutta. L'ansia, credo, ti abbia causato alcuni errori di battitura, non di grammatica. Scusa, non vuole essere un appunto, Grazia!
Giulia Bellucci 19/09/2017 - 09:51
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