Ei
Immoto rimase,
nell'incessante corsa
d'un mondo che non s'accorse
del docile accasciarsi
di gambe stanche
dell'irruente serrarsi
d'occhi diversi
e lo sguardo altrove
basso,l'abisso
controvento
ove il sole
non sorse mai;
Ove quel giorno,
stanco
m'accasciai;
E seppi udire
lancette correre
e che docile quel vociare
persone mai stanche di dirsi
mai stanche,
d'andare.
Volli fermarmi
e immobile,
immota la terra sottomquelle gambe
tremulanti,
in mezzo alla mobilità d'un mondo
ove il bujo più profondo
è oscurato dalla luce
d'una consuetudine,
O sorgente
una foce,
ove la gente quando stanca
può riposarsi
e sotto lo sgorgar dell'acque
quel viso stanco,
con le lacrime sue
sciaquarsi;
Non seppi mai bene
ove fu quella fonte,
ed in che direzione andare.
Seppi solo poi fermare
un'assurdo giro immenso
per le anime più scure,
col blu,col cielo
quell'azzuro denso e intenso
e quante volte mi son perso
aggrappato all'ali
dell'uccello
e alto
in alto,volare.
Arrestai il mio tempo
chiusi gli occhi
e contento seppi dentro me viaggiare
e d'un ritorno mai affrontato
delle lagrime amare,malinconia di posti
luoghi odori e boschi
ne ebbi un forte sentire.
E fu un viaggio lungo
che possa dirsi un ora giorno anno
che fu forse la cura,O signore
ad un cuore malandato,
viandate,d'un corpo
orrido badante?
Non lo seppi mai
e che stupore
giunse luce quando quel mio serrare
quei luminosi fari
cessò
e dovetti andare.
Sentii piano e poi forte udire:
Svegliati , amore.
E fu giorno,
fu quel giorno
ch'io seppi di non essere per altri
quel ch'ero per me
che quel cielo ch'io assaporavo
sentivo dolce
e forse per qualcun'altro aspro o salato.
Seppi odiare l'assurda uguaglianza
conformismo d'anime
chiuse in un'assurda stanza
e quelle quattro pareti uguali
di cui si dicono stanchi
che pur sempre venerano,
a quell'infinito cieco
anelano.
Seppi costruire sul grigio muro
dell'assurda quotidianità
quel giorno,O signore
una porta che non mi portasse
e che non facesse uscire
che non permettesse di entrare
ma a cui si potesse guardare
come un modo,un occasione per andare.
Seppi chiudere gli occhi
seppi silenziosamente urlare
Che sciocchi,e voi,voi sapreste andare?
E in quale luogo anima
cielo o folta chioma
io sia stato
posso dir contento,
non fui mai
mai più tornato.
E quel giorno
O mio signore,
seppi
con timide lagrime
che accarezzavano un cuore,
al mondo urlare " Che sia lodato
questo cielo,
questo pezzo di terra sui cui ancora
nascostamente,
ci si può accasciare."
Immoto rimase,
nell'incessante corsa
d'un mondo che non s'accorse
del docile accasciarsi
di gambe stanche
dell'irruente serrarsi
d'occhi diversi
e lo sguardo altrove
basso,l'abisso
controvento
ove il sole
non sorse mai;
Ove quel giorno,
stanco
m'accasciai;
E seppi udire
lancette correre
e che docile quel vociare
persone mai stanche di dirsi
mai stanche,
d'andare.
Volli fermarmi
e immobile,
immota la terra sottomquelle gambe
tremulanti,
in mezzo alla mobilità d'un mondo
ove il bujo più profondo
è oscurato dalla luce
d'una consuetudine,
O sorgente
una foce,
ove la gente quando stanca
può riposarsi
e sotto lo sgorgar dell'acque
quel viso stanco,
con le lacrime sue
sciaquarsi;
Non seppi mai bene
ove fu quella fonte,
ed in che direzione andare.
Seppi solo poi fermare
un'assurdo giro immenso
per le anime più scure,
col blu,col cielo
quell'azzuro denso e intenso
e quante volte mi son perso
aggrappato all'ali
dell'uccello
e alto
in alto,volare.
Arrestai il mio tempo
chiusi gli occhi
e contento seppi dentro me viaggiare
e d'un ritorno mai affrontato
delle lagrime amare,malinconia di posti
luoghi odori e boschi
ne ebbi un forte sentire.
E fu un viaggio lungo
che possa dirsi un ora giorno anno
che fu forse la cura,O signore
ad un cuore malandato,
viandate,d'un corpo
orrido badante?
Non lo seppi mai
e che stupore
giunse luce quando quel mio serrare
quei luminosi fari
cessò
e dovetti andare.
Sentii piano e poi forte udire:
Svegliati , amore.
E fu giorno,
fu quel giorno
ch'io seppi di non essere per altri
quel ch'ero per me
che quel cielo ch'io assaporavo
sentivo dolce
e forse per qualcun'altro aspro o salato.
Seppi odiare l'assurda uguaglianza
conformismo d'anime
chiuse in un'assurda stanza
e quelle quattro pareti uguali
di cui si dicono stanchi
che pur sempre venerano,
a quell'infinito cieco
anelano.
Seppi costruire sul grigio muro
dell'assurda quotidianità
quel giorno,O signore
una porta che non mi portasse
e che non facesse uscire
che non permettesse di entrare
ma a cui si potesse guardare
come un modo,un occasione per andare.
Seppi chiudere gli occhi
seppi silenziosamente urlare
Che sciocchi,e voi,voi sapreste andare?
E in quale luogo anima
cielo o folta chioma
io sia stato
posso dir contento,
non fui mai
mai più tornato.
E quel giorno
O mio signore,
seppi
con timide lagrime
che accarezzavano un cuore,
al mondo urlare " Che sia lodato
questo cielo,
questo pezzo di terra sui cui ancora
nascostamente,
ci si può accasciare."
Opera scritta il 24/10/2017 - 22:31
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