Di Roma me ne hai avvelenato gli angoli
al punto che né io le appartengo
né già più lei appartiene a me
Sarà forse che te l'ho presentata io
e poi dalle percezioni mie si è divincolata, dimenata,
infine scivolata via, - provo a supporre - caduta nelle palme tue delle mani;
così se guardo a voler toccare la cupola al Pantheon
saranno i tuoi occhi a precipitarmi addosso
e il prato a Villa Borghese lo misura il ritmo
delle cose che mi dicesti.
Agli aculei delle tue vocali
rispondono le spinte dei ricordi
lungo i marciapiedi sulla Colombo
e non c'è mezzeria che non porti incisa
la disgrazia del nostro riconoscerci simili.
A patti scendemmo - Il mio Ade, tu,
e io madre e figlia insieme -nel siglarlo
mi cucisti intorno
al capo la corona d'ossa che
m'ha reso regina sola nel mio stesso inferno;
e ad oggi non una radura di grano, collina spoglia
stelo di primula e gambo di papavero
che sia ricolma, rigogliosa, verdeggiante
ma in bilico, sempre, in attesa - vana, sia chiaro -
di vederti voltato di nuovo,
tornato, da dove non saprei dirlo,
con quel sole,
quello che m'hai tolto di mano, portato via,
e il gomitolo attorcigliato delle vie eterne
che sono vive della mia Città.
al punto che né io le appartengo
né già più lei appartiene a me
Sarà forse che te l'ho presentata io
e poi dalle percezioni mie si è divincolata, dimenata,
infine scivolata via, - provo a supporre - caduta nelle palme tue delle mani;
così se guardo a voler toccare la cupola al Pantheon
saranno i tuoi occhi a precipitarmi addosso
e il prato a Villa Borghese lo misura il ritmo
delle cose che mi dicesti.
Agli aculei delle tue vocali
rispondono le spinte dei ricordi
lungo i marciapiedi sulla Colombo
e non c'è mezzeria che non porti incisa
la disgrazia del nostro riconoscerci simili.
A patti scendemmo - Il mio Ade, tu,
e io madre e figlia insieme -nel siglarlo
mi cucisti intorno
al capo la corona d'ossa che
m'ha reso regina sola nel mio stesso inferno;
e ad oggi non una radura di grano, collina spoglia
stelo di primula e gambo di papavero
che sia ricolma, rigogliosa, verdeggiante
ma in bilico, sempre, in attesa - vana, sia chiaro -
di vederti voltato di nuovo,
tornato, da dove non saprei dirlo,
con quel sole,
quello che m'hai tolto di mano, portato via,
e il gomitolo attorcigliato delle vie eterne
che sono vive della mia Città.
Opera scritta il 23/04/2019 - 22:25
Da Matih Bobek
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Commenti
e qui
innanzi a tanta bellezza, non oso commentare
innanzi a tanta bellezza, non oso commentare
laisa azzurra 25/04/2019 - 15:03
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Piaciutissima anche a me!!!
Maria Isabel Mendez 25/04/2019 - 00:04
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MATIH...Bellissima la città ormai divenuta triste senza più colore senza più quell'intimità complice del tuo amore. Ti è stata rubata, è stata la tua ruffiana ed ora nasconde troppi ricordi! Roma è la città eterna, nei secoli rinasce ed illumina sempre con un nuovo sole....Prova a guardarla sotto la sua nuova luce.Poesia molto bella piaciuta tantissimo.
mirella narducci 24/04/2019 - 13:07
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