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“Già lo chiamano Rabbunì” disse Saraj la sua ancella.
Saraj era la figlia di un pastore che molti anni prima, in una gelida notte, mentre vegliava il suo armento seguì una luce, strana, mai vista prima, forse sembianze nell’oscurità e condotto ad una delle tante grotte che c’erano in quei campi trovò una famigliola povera gente come lo era lui.


Quel giorno Claudia, la bella Claudia Valeria Procula, moglie del Governatore Pilatus era seduta tra la folla ai piedi di quella montagna. Lasciate le vesti di broccato vestiva una tunica come Saraj; un velo le copriva i capelli raccolti all’ultima moda imperiale.
Quando quell’uomo “il figlio del carpentiere” parlò, le sue parole erano più che poesia: “..e beati voi, perché.. perché grande è la ricompensa nei cieli”. Discese dal monte e mentre passava tra di loro, Claudia d’istinto con una mano gli sfiorò la tunica. Quel Rabbì si fermò e datole una mano la fece alzare. Quando i loro occhi si incrociarono, le sorrise e nel cuore di Claudia fu come un clangore di spade e quel cuore non fu più lo stesso.


Poi tutto precipitò.


La notte era scesa ancora una volta sulla Città Santa. Le fiaccole accese sulla Torre Antonia segnalavano che la ronda notturna vegliava ora più che mai sulla città. Erano giorni che al Governatore Pilatus giungevano dispacci poco rassicuranti. Quel predicatore, un altro di quel popolo infido e cospiratore, diverso dagli altri popoli che Roma soggiogava, era arrivato tra le mura.
Arrestato dal sinedrio e a lui consegnato ora era in catene.
Pilatus sapeva che quell’uomo era un “uomo” giusto.
Aveva in realtà fatto seguire segretamente sua moglie Claudia.
Incuriosito volle vederlo e scese nelle segrete.


Pilatus era un giocatore incallito, oggi diremmo un ludopatico, e non c’era bisca o taverna di giuoco a Roma che di nascosto non frequentasse.
Quella notte portò con sé dadi e coppa per il tratto.
Voleva dare una possibilità a quell’uomo e renderlo libero: “Che la sua sorte sia giocata” pensò e fattosi aprire la cella gli disse:
“Rabbì vinci! Ed io ho il potere di rilasciarti!”
Quell’uomo non rispose.
Riprese: “Rabbì, iacta alea!”- Non rispose ancora.
Nel dir questo gli porse la coppa per il tratto.
Pilatus non udì il trottolio dei dadi in essa, anzi quella coppa divenne sempre più pesante nella sua mano a tal punto che il braccio cedette a quel peso e la coppa cadde sul lastricato della prigione.


Subito ne uscirono due serpi che ritte sulle code insidiavano i calzari del Governatore.


Inorridito, dopo aver posato lo sguardo su quei rettili, arretrò di scatto e fuggì di corsa verso l’uscita.


La “Pax Romana” continuava il suo corso.


Molti anni dopo quando Claudio era imperatore di Roma, una taverna stava sulla via Salaria. Era la moglie del taverniere a condurla. Una demenza aveva colpito l’uomo: nelle sue allucinazioni vantava di essere stato un magistrato, e poi un console del senato, e poi un gran governatore; visioni di serpenti, croci e cadaveri scomparsi, erano parte della sua follia.


La donna, Licinia, dissimulava nel suo aspetto un altro passato, certamente più nobile di quello che ora appariva.


Drappelli di soldati che scortavano gli schiavi condotti alle saline imperiali, sostavano in quella taverna per rifocillarsi; e mentre all’interno la truppa mangiava, beveva e schiamazzava facendosi beffe dei racconti assurdi del taverniere, di nascosto Licinia usciva nella calura e ristorava come meglio poteva quei poveretti.


Passava con la brocca dell’acqua per dissetarli e qualche boccone di focaccia cotta sulla pietra o fatta di crusca erano quei pochi alimenti che poteva dar loro al momento.


Anche quella volta lo fece.
Ma uno di quelli in catene le disse: “Perché lo fai?”


“Sentii un predicatore su un monte, e nessun altro parlò più come lui” - rispose Licinia -
“perché i poveri e i sofferenti” - mi disse – “li avrai sempre con te!”


Quello schiavo le sorrise, di un sorriso che le raggiunse dagli occhi il cuore e la chiamò per nome:
“Claudia!”




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Racconto scritto il 10/05/2024 - 10:38
Da Stelio Utisele
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