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Il marinaio pazzo

Ho capito che era un marinaio pazzo, non subito; mi ci vollero alcuni anni e parecchi episodi fuori dalla norma per arrivare a quella conclusione. A convincermi che ci fosse una sana follia, in lui, fu quella volta che rischiò la vita per salvare una barca a vela.
La barca non era nemmeno sua e, per di più, non sapeva proprio chi fosse il proprietario. Perché hai rischiato la vita, gli chiesero la moglie ed il figlio più grandicello; non lo so, rispose lui, ma l'ho fatto per lei, la barca. Chissà che bella vita ha ancora davanti, chissà quali mari solcherà. Non potevo lasciarla morire così giovane.
La gente lo guardava con un misto di ammirazione per il coraggio mostrato, mentre si buttava in mare, ma anche con una certa compassione, come quella che si prova per uno squilibrato mentale. Le onde erano rabbiose, e l'ancoraggio di prua aveva ceduto. La fiancata era ormai appoggiata alla banchina del porto e di lì a poco sarebbe affondata, sottoposta agli urti del maroso. Pareva non ci fosse niente da fare. Tutti guardavano la barca come si guarda uno che sta morendo, alcuni facevano fotografie per immortalarne la fine, e tutti gli altri mostravano una indifferenza che lasciava perplessi.
No, lui non poteva restare inerme; si gettò in mare stringendo l'ancorotto del suo piccolo barchino, lo portò avanti trenta metri e lo fissò al fondo, chissà come.
Poi salì sulla vela e cominciò a tirare la cima ; come per magia la prua si spostò sul fronte dell'onda e la barca riprese il suo ballerino movimento, beccheggiando con grazia.


Un'altra volta uscì di notte e rimase a dormire sulla sua barca, un gozzo siciliano che aveva l'aspetto di una barca orientale, con uno sperone a prua e la vela latina. Rimase a pagliolo a bere e fumare, e quando rientrò disse: stanotte ho capito il mare ed il cielo, ora so che sono una cosa sola. Credo che nemmeno un monaco tibetano possa immergersi in uno stato di meditazione come quello che ho provato io, aggiunse. Poi continuò: peccato che ho dimenticato tutto, ma mentre ero sotto quel manto di stelle ho capito il segreto della vita. E' che non so come spiegarlo. E' stata una sensazione, bisogna solo provarla, non si può insegnare.


Navigava annusando l'aria, come fanno i gabbiani, e questo gli permetteva di capire quel che avrebbe fatto il mare. Una volta gli chiesero, a bordo della barca: che ne dici di questo tempo? Lui rispose: potrà forse piovere, o venire il sole, o restare nuvoloso così com'è ora, io non lo so cosa farà il tempo, ma il mare si mette in bonaccia; è questo che io chiamo il tempo, quel che farà il mare. Non sbagliava mai. Se non era sicuro rispondeva semplicemente: non lo so.


Di lui si dice che non sapesse né leggere né scrivere, ma io so per certo che scriveva poesie. Le scriveva con i suoi occhi, che avevano una luce diversa, quella che le donne cercano per la bellezza dei loro. Quando era commosso, i suoi occhi diventano liquidi, e dentro la pupilla si specchiavano le onde del mare, creando un effetto di stupore. Pareva quasi che uscissero lacrime, da quegli occhi, come se il cuore non riuscisse a contenere tutta quanta la commozione. Ed invece non erano lacrime; erano pupille che galleggiavano dentro una vita piena; erano occhi liquidi, vivi come quelli di uno scugnizzo che non vuol saperne di futuro.


Quel marinaio pazzo è diventato una leggenda al punto tale che molte storie, quelle meno incredibili, sono false, inventate, mentre quelle vere vengono raccontate con una sorta di freno, di pudore, consapevoli che dire tutto potrebbe sembrare un'esagerazione a chi non lo ha conosciuto.
Io posso a mia volta raccontare di quella volta che aveva programmato una gita in mare con la famiglia di un turista, un uomo importante che veniva all'isola da anni. Quel giorno non c'era nessuno per mare; si erano fermati pure i traghetti. C'era un vento forte di ponente e si stava preparando una libecciata fuori dal comune.
Quando confermò che la gita era rimandata, il turista si finse deluso e disse, con un sorriso che non poteva passare inosservato:
« Ma allora hai paura anche tu... e poi non mi sembra un gran mare »
Il marinaio pazzo, per tutta risposta, mollò l'ormeggio e uscì dal porto, scomparendo tra le onde. Quando rientrò, sul far della sera, i soliti curiosi si offrirono per prendergli le cime di ormeggio, e quando sbarcò chiesero:
« Una bella libecciata, eh... forza sette. »
Sapete cosa rispose il marinaio pazzo? Non ci crederete:
« Libeccio?...non me ne sono accorto, sono uscito per meditare ».




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Racconto scritto il 13/12/2024 - 17:12
Da Mino Colosio
Letta n.54 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Bellissimo. Complimenti

laisa azzurra 15/12/2024 - 15:26

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Davvero complimenti!!!

Mirko D. Mastro 14/12/2024 - 07:29

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