Quando ero fanciullo ,ricordo con mestizia 
La stanza or silente  ,di te padre.
Correvo li ,vedevo il letto ancor disfatto 
E l'aroma  del  tuo corpo  era intriso 
Nelle coperte nel guanciale  il segno dell ‘argentea chioma.
Toccando il viso ,baciando  le guance
Il tocco del ruvido pel.
Era maggio le finestre un poco aperte,
Recavano aromi del nostro orto 
Del gran ciliegio,del pesco in fior.
Eos dalle dita rosee ridestava,il giorno
Ed una morbida chiara luce  filtrava
Il tendame  Che si muoveva come onde 
Del mar alla carezza di libeccio
Ti osservavo estasiato 
Io così piccol  al tuo confronto!
Mi piaceva  guardarti indossar 
I severi abiti,in cui io mi perdevo.
Era il tempo più gaio e sereno 
Quello in cui non si conosce veleno, 
Ne inver  quanto è crudel 
Madre natura, se disgiunge
Le creature che ciascun 
L ‘altra han  cura.
Veniva l estate calda ,
Assolata ,sotto ombra del nostro mar 
Che urlando e spumeggiando rinfrancava
Agosto .
Di poi l’ autunno ,dalle foglie morte,
Profumato  di vino
L’ inverno dal candido manto 
Vedevo la neve dalla tua finestra .
Or e tutto muto,silente ,freddo.
Ove sei antico perduto tempo ?
Eppur li giace il tuo letto ,
Il vestiario e consunto
La Camera  si inonda ancor!
Ma io non son più pargol 
Non corro più a piè nudo 
Non sogno come allor ,
Mi volto e v ‘e solo 
Il tuo ricordo ,
Perché tu sei chiuso nel bianco marmo 
Nella città di coloro che dal sonno 
Non hanno più a destar, 
Ne il giorno li riscalda ancor.
Corrado cioci
Poesia scritta il 15/11/2017 - 16:14Voto:  |  su 1 votanti  | 
	

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Giulio Soro  
 15/11/2017 - 18:09 
                        


